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Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con implacabili persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l’odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a "consolazione" e a mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota di contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si svilisce. La borghesia e gli opportunisti in seno al movimento operaio si accordano oggi per sottoporre il

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La nascita del nuovo anno è stata celebrata con la solita teatralità. A Londra, la gente in festa ha accolto con favore l’inizio di un nuovo decennio con spettacoli pirotecnici, così come molte altre persone a Edimburgo e in altre grandi città. Senza dubbio, il nuovo Primo Ministro britannico Boris Johnson stava celebrandolo con ancora più entusiasmo rispetto alla maggior parte delle altre persone. Dopo aver vinto le elezioni generali del 2019 con una chiara maggioranza, ora è libero di condurre la nazione a una conclusione positiva dei negoziati sulla Brexit. Questa, almeno, è la teoria.

L’8 gennaio, l’India si è bruscamente fermata quando più di 250 milioni di persone in tutto il paese hanno partecipato allo sciopero generale, convocato dai dieci sindacati centrali e hanno manifestato contro le politiche brutali del regime di Modi. A.R. Shindu, segretario nazionale del CITU (Confederazione dei sindacati Indiani), ha dichiarato ai media che 15 Stati erano completamente bloccati.

Venerdì mattina all’alba (3 Gennaio 2020), in un atto di suprema arroganza l’amministrazione Trump ha portato avanti l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, e pure del capo paramilitare iracheno Abu Mahdi al-Mohandes all’aeroporto di Baghdad. Ancora una volta l’imperialismo statunitense sta aumentando l’instabilità del Medioriente.

Le “sardine” prendono le piazze dell’Emilia e sull’onda del successo diventano in pochi giorni un movimento a diffusione nazionale.

Tutti i reazionari stanno festeggiando. Donald Trump ha espresso una gioia particolare per il risultato. “Congratulazioni a Boris Johnson per la sua grande VITTORIA!” ha scritto il presidente statunitense su Twitter. “Johnson si assicura una vittoria schiacciante alle elezioni britanniche” ha esultato il Financial Times, mentre la sterlina stava crescendo nelle borse estere.

Il discorso che il Primo Ministro Edouard Philippe ha tenuto il giorno 11 dicembre ha posto fine a più di diciotto mesi di “trattative” e “consultazioni” che il governo ha tenuto con i leader sindacali. Centinaia di ore di incontri hanno portato a questo risultato edificante: il governo ha annunciato esattamente il progetto di riforma che aveva proposto sin dall’inizio, come se le “trattative” e le “discussioni” non avessero mai avuto luogo.

Lo sciopero del 5 dicembre ha mobilitato un numero di dimostranti che non si vedeva in Francia sin dalle grandi lotte dell’autunno 2010. Mancano dati precisi sul numero di scioperanti, ma è probabile che dal dicembre 1995 nessuno sciopero interprofessionale abbia mai avuto un tale impatto sull’economia del paese.

Quelli appena trascorsi sono stati giorni difficili per la città di Venezia e per i suoi abitanti, data la straordinaria violenza con cui le maree del 12 novembre e quelle successive hanno piegato la città. Questo è il segno che i cambiamenti climatici causati dallo sfruttamento incontrollato delle risorse ambientali e dall’inquinamento scellerato da parte delle grandi industrie ha compromesso il già fragile ecosistema della laguna veneta.

Alcuni anni fa, venne resa pubblica una conversazione tra un comandante delle Guardie rivoluzionarie e un gruppo di miliziani Basiji, che discutevano del Movimento Verde che aveva scosso l’Iran nel 2009. In quella conversazione il comandante disse qualcosa del tipo “questi ragazzi [riferendosi alle persone del Movimento Verde] sono solo dei ragazzi simpatici dei quartieri alti, non c’è nulla di cui aver paura, ma quando scenderanno in piazza i diseredati delle aree povere e indigenti, è allora che dovremo avere paura”. Bene, quel giorno è arrivato.

Pubblichiamo questa analisi scritta lunedì scorso dai compagni della sezione boliviana della Tendenza marxista internazionale. Le prospettive delineate in questo articolo si sono confermate nelle loro linee fondamentali. La repressione continua, mentre due giorni fa il gruppo parlamentare del MAS ha stretto un accordo con il governo golpista di Añez per eleggere una nuova presidenza della camera e ha proposto un progetto di legge per la convocazione di nuove elezioni (senza Evo), che inizia con il riconoscimento della legittimità del governo golpista.

Il 10 novembre alle 4.50 del pomeriggio, il presidente boliviano Evo Morales ha annunciato le sue dimissioni. È stato il culmine di un colpo di stato che si stava preparando da tempo. Un ammutinamento della polizia, i tiratori scelti che sparano contro i minatori, un rapporto dell’Osa (Organizzazione degli stati americani) che mette in dubbio la validità delle elezioni e infine l’esercito che “suggerisce” a Evo che dovrebbe dimettersi sono solo gli atti finali nel fine settimana. Ci siamo opposti a questo colpo di stato sin dall’inizio, sottolineando allo stesso tempo come ne siano state poste in precedenza le premesse.