Alcuni anni fa, venne resa pubblica una conversazione tra un comandante delle Guardie rivoluzionarie e un gruppo di miliziani Basiji, che discutevano del Movimento Verde che aveva scosso l’Iran nel 2009. In quella conversazione il comandante disse qualcosa del tipo “questi ragazzi [riferendosi alle persone del Movimento Verde] sono solo dei ragazzi simpatici dei quartieri alti, non c’è nulla di cui aver paura, ma quando scenderanno in piazza i diseredati delle aree povere e indigenti, è allora che dovremo avere paura”. Bene, quel giorno è arrivato.
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Venerdì 15 novembre, il governo iraniano ha colto tutti di sorpresa con un annuncio di profondi tagli ai sussidi per il carburante, che sono un’ancora di salvezza per gli iraniani poveri. Da allora, migliaia di giovani sono scesi in strada, scontrandosi con la polizia, le forze militari e quelle paramilitari. Iniziate principalmente nel sud-ovest del paese, le manifestazioni di protesta si sono moltiplicate ovunque tra sabato e domenica, raggiungendo ogni grande città. È difficile valutare l’entità delle proteste, ma il Fars News, il giornale della Guardia Rivoluzionaria, il lunedì ha fatto circolare la cifra di un totale di 87.000 manifestanti. Questa è tuttavia una stima prudente.
La rabbia degli oppressi
Un rapporto odierno accenna alla situazione in diverse aree povere e operaie di Teheran:
“Ad Islamshahr è in atto una rivolta. A Shahre Qods c’è la guerra e ci sono spari dappertutto. Hanno bruciato la casa del vecchio sindaco. Hanno bruciato le case delle Guardie [rivoluzionarie], tutte le banche sono state bruciate. A Fardis, c’è stata una vera guerra per le strade. Oltre alla Bank Sepah, hanno bruciato altre 24 banche. Ad Andishe è lo stesso. A Fardis, Shahriar, Shahreqods e Andishe ci sono molti morti … le forze di polizia sono esauste e non hanno la forza per opporsi”.
Il regime sta cercando di presentare i manifestanti come bande di criminali, intente al saccheggio e alla devastazione. Un titolo di Jam-e-Jam recitava: “La scomparsa della voce del popolo nel caos della rivolta”. Ma non sono stati i normali negozi a essere stati presi di mira, piuttosto sono state le stazioni di servizio e le banche che sono state bruciate a decine (se non centinaia), assieme ad alcuni edifici governativi e stazioni di polizia e a numerose immagini di Khamenei. A Yazd, la casa dell’imam, che è anche un rappresentante di Khamenei in città, è stata attaccata da una folla inferocita. Nessuno di queste azioni sono devastazioni casuali, c’è un chiaro elemento di classe nelle proteste.
La reazione del regime è stata brutale. Tutta internet è stata bloccata e le comunicazioni sono diventate estremamente difficili. Le fonti di notizie sono state fortemente limitate. Anche la compravendita tramite siti commerciali all’estero, che è sempre stata relativamente semplice, è diventata quasi impossibili. Più o meno tutte le frange armate del regime sono state mandate per le strade, portando avanti una brutale repressione di qualsiasi cosa che somigli a una protesta. Si dice che molte aree si siano trasformate in zone di guerra. Un rapporto da Shiraz affermava che, in alcune aree, gli elicotteri sorvolavano i manifestanti e sparavano indiscriminatamente contro di loro.
Molte scuole e università in tutto il paese sono state chiuse, anche se c’erano ancora proteste all’interno di molte università. Un’università è stata chiusa a causa della “fitta nebbia”. All’università di Teheran, le forze armate hanno chiuso tutti gli ingressi e quasi tutte le uscite, lasciando aperta solo una piccola porta per consentire agli studenti di lasciare i locali. Il regime è in preda al panico e teme che il movimento si diffonda ad altri settori. Sta tentando di spingere il movimento verso violenze indiscriminate, che a sua volta lo isolerebbero dalla massa della popolazione. Ad oggi, ciò non ha funzionato. Mentre molte persone ne stanno alla larga, c’è una diffusa simpatia per i giovani che scendono in piazza.
Questa esplosione va molto oltre l’aumento dei prezzi del carburante, che ora sono sostanzialmente triplicati. Le aree in cui si sono viste le prime sollevazioni sono state Khusestan, Kermanshah e Fars, tutte province povere e sottosviluppate con un alto tasso di disoccupazione. Molte di queste aree ospitano minoranze arabe e curde le cui proteste sono state affrontate con particolare brutalità negli ultimi anni.
I giovani che scendono in strada trascorrono gran parte della loro vita vagabondando in giro, e facendo, se sono fortunati, dei lavoretti, anche se molti hanno semplicemente rinunciato a cercare un lavoro. A chi cerca lavoro viene richiesta “esperienza”, che è ovviamente impossibile fare se non si ottiene un lavoro. I tassi di criminalità sono più alti tra questi settori, che spesso provengono da famiglie della classe operaia estremamente povere.
Negli ultimi anni, molte di queste famiglie hanno esaurito i loro risparmi dopo che una serie di banche è fallita. In realtà, queste banche non erano altro che piramidi finanziarie e i loro proprietari con molte conoscenze, non sono mai stati messi sotto processo, sebbene siano ben noti. Questo spiega perché le banche rappresentino un obiettivo delle proteste.
Anche gli effetti delle sanzioni statunitensi sono stati devastanti e negli ultimi anni tante famiglie avevano già visto crollare il loro tenore di vita. Le industrie sono in bancarotta, non ci sono posti di lavoro. Quelli che hanno un occupazione vengono pagati in modo irregolare quando e se vengono pagati e quelli che hanno piccole imprese sono costantemente sotto pressione a causa dell’inflazione a spirale, che è stata superiore al 30% negli ultimi due anni (secondo i dati ufficiali)!
I lavoratori del settore industriale in Iran vivono in condizioni di estrema povertà, non sono nemmeno in grado di permettersiun alloggio nelle periferie industriali delle città, ma sono confinati molto più lontano, in villaggi e nelle periferie delle periferie, da dove percorrono grandi distanze per andare al lavoro. Adesso questi viaggi diventeranno molto più costosi. Contemporaneamente, i pezzi grossi del regime e i capitalisti riescono a cavarsela bene usando le loro conoscenze per depredare l’economia.
La Haft Tapeh nel Khuzestan, un tempo uno dei maggiori produttori di canna da zucchero, ne è un eccellente esempio. La compagnia è stata privatizzata per quattro soldi e regalata a due uomini di 27-28 anni, che l’hanno sventrata mentre sfruttavano al limite la forza lavoro. I lavoratori hanno fatto numerosi scioperi negli ultimi anni per rinazionalizzare la società sotto il controllo operaio. Questa lotta ha ricevuto una grande eco nella regione e non solo. Il regime li ha repressi duramente, temendo che simili rivendicazioni potessero trovare terreno fertile in tutto il paese. I giovani nelle strade riflettono la rabbia di questi settori. La loro violenza è la risposta alla violenza costante e spietata della povertà e del decadimento nella Repubblica islamica che hanno subito ogni giorno della loro vita.
La risposta imperialista e la brutalità del regime
Nelle ultime settimane, la parte del regime favorevole alla linea dura, quella vicina a Khamenei e alle Guardie Rivoluzionarie, aveva iniziato ad affrontare alcuni di questi problemi in vista delle prossime elezioni parlamentari. Percependo la rabbia crescente, stavano tentando di incanalarla nel percorso elettorale e di usarla per colpire la cosiddetta ala moderata raggruppata intorno a Rouhani. Ovviamente, una volta scoppiato il movimento, i sostenitori della linea dura che erano diventati improvvisamente dei moderati e i moderati “originali” si sono uniti per schiacciare la gioventù disperata per le strade. La classe dominante al momento appare completamente unita nel reprimere il movimento nel sangue.
Sono stati segnalati almeno 200 morti, oltre che a 3.000 feriti. Eppure sono i giovani ad essere accusati di essere dei criminali violenti . Naturalmente, il regime non può negare le cause che sono all’origine del movimento. Alla fine, coloro che sono scesi in piazza oggi fanno parte di quei settori della società che hanno storicamente sostenuto il regime. Quest’ultimo non può semplicemente respingere queste richieste quando tutta la società è solidale con i manifestanti. Ma i governanti fanno capire – con una velata minaccia – che, se le proteste continuano, il paese finirà nel caos e nella guerra civile, come è accaduto in Siria. Sostengono che l’imperialismo statunitense e saudita stanno tentando di usare il movimento per impadronirsi dell’Iran e quindi, protestare significa essere a favore dei loro interessi. È così che alla fine hanno depotenziato il precursore diretto di questo movimento, la mobilitazione che ha scosso il paese all’inizio del 2018 e che ha avuto delle ripercussioni, pure di portata minore, successivamente. Usano la minaccia dell’imperialismo statunitense per giustificare il drenaggio della linfa vitale dal popolo iraniano. Ma questo trucco comincia a non funzionare più. Perché le persone ricche e ben immanicate possono fare impunemente ciò che vogliono? Perché la loro tavola è sempre piena, mentre il resto della popolazione muore di fame? Perché solo i poveri devono sacrificarsi di fronte alle minacce imperialiste?
Questa posizione del regime è anche ripresa da molti a sinistra che si oppongono a questo movimento – e a quelli precedenti – con la motivazione che aprirà la strada per un intervento dell’imperialismo americano in Iran. La logica di queste persone è che dato che non esiste un partito “rivoluzionario” (comunista, socialista, democratico, progressista, ecc.), qualsiasi movimento sarà solo un giocattolo nelle mani del grande male – l’imperialismo americano. Ma, semmai, il risultato di questa politica è quello di creare spazio per i gruppi monarchici, come il Mojahedin Khalgh e altri movimenti controrivoluzionari, appoggiati dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita, che possono usare una retorica rivoluzionaria e diffondere il loro veleno. Ciò che serve non è piangere e lamentarsi della mancanza di un partito rivoluzionario, ma di costruirlo! Di fronte a queste grandi sfide sfide e alle nostre debolezze non dobbiamo fare un passo indietro e adeguarci agli interessi della reazione. Il nostro dovere è quello di discutere le debolezze del movimento e radicalizzarlo aumentando il suo livello di coscienza e il suo livello di organizzazione. Il nostro compito non è quello di moderare le rivendicazioni ma di farne di più radicali che pongano le cose su una chiara base di classe che si opponga sia alla classe dominante locale che ai suoi avversari internazionali.
Altri hanno l’illusione che le democrazie occidentali risolveranno i problemi dell’Iran. Ma queste proteste sono state poco seguite dalla stampa occidentale. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo e altri governi occidentali hanno condannato le misure repressive dello stato. Ma è abbastanza interessante notare che nessuno di loro ha condannato le misure di austerità. Perché queste misure sono state raccomandate dallo stesso Fmi – un’istituzione che ha sede in occidente – come mezzo per regolarizzare le relazioni commerciali iraniane in base alle esigenze del mercato. Da un punto di vista capitalistico, hanno ragione! L‘intervento statale nell’economia iraniana deve finire per diventare più attraente per gli investimenti esteri. Uno dei mezzi per realizzare tutto ciò è indebolire e atomizzare la classe lavoratrice, rendendola pronta per lo sfruttamento da parte di industrie che competono su scala mondiale. Ecco come funziona il capitalismo.
La scommessa più sicura al momento è che l’Occidente sta appoggiando il movimento monarchico per un futuro regime iraniano, basato su Reza Pahlavi: l’ultimo erede dell’ultimo Shah, che fu rovesciato nella rivoluzione del ’79. Queti settori parlano in modo molto radicale della difficile situazione delle masse e della necessità di organizzare una rivoluzione, ma non di un Iran libero e democratico. Invece sono a favore di una nuova monarchia sulle stesse linea della precedente, che a sua volta si era macchiata di crimini sanguinosi! Inoltre, un tale regime renderà nuovamente l’Iran uno stato vassallo degli Stati Uniti. Almeno su questo punto, i mullah hanno ragione. Al momento, nessuno sembra dare credito a queste posizioni, ma in futuro, date le enormi pressioni e la completa mancanza di un’alternativa, tali gruppi reazionari potrebbero trovare una eco tra alcuni strati.
Serve una direzione rivoluzionaria
Nella fase attuale, la principale debolezza del movimento è chiara: è completamente disorganizzato e non ha direzione. Nonostante i tentativi del regime di far deragliare il movimento in rivolte incontrollate, questo non è ancora avvenuto. Tuttavia, la rabbia cieca nelle strade deve trovare un’espressione organizzata se si vuole evitare le molte insidie che ci attendono. Un movimento può continuare a scendere in piazza e combattere contro la polizia solo per un breve periodo di tempo ma c’è un limite a quello che si può ottenere facendo così.
Prima di tutto, è fondamentale organizzarsi, formando comitati controllati democraticamente nei quartieri, che devono quindi essere collegati a livello regionale e nazionale. Questi comitati possono, tra l’altro, organizzare l’autodifesa sia contro la repressione aperta sia contro agenti provocatori che operano senza dubbio in molti luoghi. I comitati si devono diffondere a tutte le scuole, villaggi, quartieri e fabbriche come mezzo per rafforzare ed espandere il movimento.
In secondo luogo, il movimento deve formulare un programma chiaro per attirare strati più ampi. Innanzitutto, deve trattarsi di un programma che richieda la caduta del regime, lo scioglimento delle milizie paramilitari, la separazione delle istituzioni religiose da quelle dello stato e la convocazione di un’Assemblea costituente. Questo deve essere seguito da richieste sociali ed economiche, come il ritiro di tutte le misure di austerità dell’ultimo periodo, un salario di sussistenza adeguato all’inflazione, l’apertura dei libri contabili di tutte le banche e delle principali società, gettando le basi per incarcerare ed espropriare tutti coloro che si dimostra essere corrotti. Altre richieste dovrebbero includere la rinazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende privatizzate e l’introduzione di tale controllo in tutta l’economia statale, oltre a garantire istruzione e assistenza sanitaria gratuite e di alta qualità per tutti.
Il movimento deve coinvolgere tutte le masse lavoratrici che soffrono a causa di questo regime a unirsi a loro: siano disoccupati, agricoltori, studenti o persone della classe media. Ma soprattutto, per vincere è fondamentale che il movimento coinvolga la classe operaia come forza organizzata. Abbiamo già visto negli ultimi anni che i lavoratori sono pronti a lottare. Si deve lanciare un appello per lo sciopero generale in tutto il paese per abbattere il regime dittatoriale. Nel 2011, è stato lo sciopero generale a forzare la caduta del regime di Ben Ali in Tunisia e del regime di Mubarak in Egitto. Allo stesso modo, quest’anno è stato lo sviluppo di uno sciopero generale che ha fatto cadere il regime di Bouteflika in Algeria e quello di Bashar in Sudan. Nonostante tutte le menzogne, fu proprio lo sciopero generale del 1978 e del 1979 a rovesciare lo stesso scià e non le capacità divine dell’Ayatollah Khomeimi. Una volta che i lavoratori saranno mobilitati, questo regime crollerà come un castello di carte.
Infine, il movimento dovrebbe lanciare un appello per la solidarietà ai lavoratori e ai poveri di tutta la regione, dall’Iraq e Libano (dove le masse sono già nelle strade), alla penisola araba, alla Turchia, alla Giordania e all’Egitto, dove movimenti simili stanno montando sotto la superficie. Mentre i governanti di questi paesi sono soliti scontrarsi in aspre lotte intestine, tutti sono uniti contro le masse. Allo stesso modo, è solo tra le masse lavoratrici della regione che la Rivoluzione iraniana può trovare i suoi veri alleati. Una rivoluzione in Iran si diffonderà senza dubbio come un incendio nella regione e oltre.
La rivolta nelle strade della gioventù iraniana evidenzia il vicolo cieco assoluto del capitalismo iraniano. Né il dominio imperialista, né il governo del clero sono stati in grado di risolvere nessuno dei problemi iraniani. Al contrario, in un paese con immensi tesori naturali e culturali, la classe dirigente può solo offrire miseria e decadenza. L’intero edificio dell’Islam istituzionale è coinvolto nella più disgustosa rapina alla luce del sole dei più poveri e spodestati. In precedenza, potevano calmare queste persone facendo appello alle loro credenze religiose, ma questo non funziona più. La religione ha ancora un peso fra la popolazione, ma sotto l’impatto degli eventi, la nebbia della confusione creata dagli islamisti sta scomparendo e le linee di classe vengono nuovamente messe in luce, preparandosi per un altro grande scontro tra le classi.