Francia – Lo sciopero del 5 dicembre: bilancio e prospettive

Lo sciopero del 5 dicembre ha mobilitato un numero di dimostranti che non si vedeva in Francia sin dalle grandi lotte dell’autunno 2010. Mancano dati precisi sul numero di scioperanti, ma è probabile che dal dicembre 1995 nessuno sciopero interprofessionale abbia mai avuto un tale impatto sull’economia del paese.

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Questo successo può avere due effetti immediati: rafforzare la determinazione dei lavoratori che si sono già mobilitati e incoraggiarne altri ad agire e scendere in lotta. Martedì 10 dicembre sarà il giorno in cui si potrà giudicare in che direzione va il movimento. Infatti per questa data sono previsti nuove mobilitazioni e l’estensione dello sciopero a nuovi settori segnerebbe un passo decisivo nello sviluppo della lotta. Lo sviluppo di grèves reconductibles (cioè scioperi riconvocabili di giorno in giorno) è la condizione sine qua non per la vittoria di questo movimento.

Il governo lo sa, lo teme e quindi moltiplica le manovre diversive. Tuttavia, sotto l’impatto dello sciopero del 5 dicembre, emerge sempre più che queste manovre servono solo a coprire le sue menzogne. Ad esempio, quando i membri dell’esecutivo promettono aumenti salariali agli insegnanti, per “compensare” la prevedibile (e drastica) diminuzione delle loro pensioni, riconoscono de facto ciò che hanno negato fin dall’inizio: cioè che con il nuovo sistema dei “punti”, le pensioni diminuiranno bruscamente. E non solo quelle degli insegnanti. Esse diminuiranno per la stragrande maggioranza della popolazione. Sempre più persone ora non credono alla bugia secondo cui l’abolizione dei regimi speciali aumenterebbe le pensioni più basse.

Edouard Philippe (Primo ministro francese) ha dichiarato che svelerà l’intero disegno di legge mercoledì 11 dicembre. Perché non l’ha rivelato prima, se questo progetto è così “giusto” come lui dice? Perché il governo voleva prima di tutto conoscere il livello di mobilitazione e impegnarsi in alcune manovre per disinnescare lo sciopero nei settori più mobilitati. Agli insegnanti (che si sono massicciamente mobilitati contro la riforma), promette vaghi aumenti salariali. Ai lavoratori della SNCF (la società ferroviaria francese) e della RATP (la società che gestisce i servizi di trasporto pubblico nella regione di Parigi) promette una transizione “graduale” verso il nuovo sistema pensionistico. E se questo non funziona, se gli insegnanti e i ferrovieri non tornano al lavoro, il governo potrà dire al grande pubblico: “Guardate, abbiamo fatto serie concessioni agli insegnanti e ai ferrovieri, ma continuano a penalizzare voi, la gente ragionevole…”.

Tuttavia, in questa fase un’ampia maggioranza di “persone ragionevoli” sostiene lo sciopero. E soprattutto molti di loro potrebbero unirsi alla lotta nei prossimi giorni. Allora le manovre del governo crollerebbero come un castello di carte. La sfida per il movimento è raggiungere questo obiettivo il più rapidamente possibile, perché i settori che ora sono i più mobilitati non saranno in grado di resistere in lotta a tempo indeterminato. Tuttavia, il governo si tirerà indietro solo di fronte a un movimento di scioperi riconvocabili che sarà in grado di espandersi costantemente a nuovi settori della popolazione.

Gli obbiettivi del movimento

Il 5 dicembre è stato segnato da una grande combattività, ma anche da una grande radicalità politica. Molti manifestanti hanno respinto non solo la riforma delle pensioni, ma l’intera politica del governo. Come estensione del movimento dei Gilet gialli, la cui parola d’ordine centrale era: “Macron dimettiti! “, la mobilitazione del 5 dicembre è andata ben oltre l’obiettivo fissato dai leader sindacali (cioè il ritiro della riforma delle pensioni). Una donna in gilet giallo ha riassunto perfettamente il punto di vista di molti lavoratori che si sono mobilitati: “Sto lottando per la mia pensione, naturalmente. Ma innanzitutto combatto per vivere dignitosamente prima di andare in pensione.”

In due frasi questa lavoratrice ha dato la vera misura della lotta in corso. I dirigenti sindacali e i partiti di sinistra farebbero bene a trarne ispirazione, invece di limitare l’obiettivo del movimento al mero ritiro della riforma pensionistica.

La necessità di mobilitarsi su un programma più ampio è talmente evidente che lo stesso Philippe Martinez, Segretario Generale della CGT, sta costantemente superando con le sue dichiarazioni gli stretti limiti rivendicativi che la sua stessa direzione sindacale ha posto al movimento. Ad esempio, egli spiega ogni giorno che un aumento dei salari garantirebbe l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico generale. Chiaramente è necessario lottare per un aumento dei salari, non solo per finanziare le pensioni, ma anche e soprattutto per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori. Ma perché non includere gli aumenti salariali tra le rivendicazioni del movimento? Perché limitarsi al ritiro della riforma delle pensioni?

Questo succede perché la direzione della CGT rivendica di procedere “a tappe”. Chiede il ritiro della riforma come condizione preliminare per l’apertura di un tavolo di “negoziazione” per una nuova riforma progressista, una riforma che innalzerebbe il livello delle pensioni e abbasserebbe l’età pensionabile, grazie, in particolare, ad un aumento generale dei salari.

Problema: il governo Macron non negozierà mai una cosa del genere. Il suo obiettivo è ridurre drasticamente l’importo delle pensioni pubbliche e, in tal modo, ampliare il mercato delle pensioni private. Questo governo non negozierà nient’altro, perché questo è il volere della classe capitalista. Al contrario, la riforma pensionistica proposta da Martinez implica di sottrarre risorse dai profitti dei capitalisti, l’esatto contrario di ciò a cui mira l’intera politica del governo Macron.

Invece di rinviare l’attuazione di una riforma progressista delle pensioni – e di un aumento generale dei salari – ad una impossibile “negoziazione” con il governo Macron, la direzione della CGT dovrebbe sostenere la mobilitazione su una piattaforma rivendicativa capace di riassumere tutte le richieste dei lavoratori in lotta: aumenti salariali, assunzioni massicce di dipendenti pubblici, sviluppo dei servizi, abrogazione delle due ultime controriforme del lavoro, costruzione massiccia di alloggi sociali, aumento delle pensioni, abbassamento dell’età pensionabile, ecc. Lo sviluppo di un programma di questo tipo non è complicato: basta aver ascoltato le dichiarazioni dei manifestanti il 5 dicembre e negli ultimi anni.

Anche in questo caso, un programma di questo tipo non sarà mai attuato dal governo Macron. Tutti i lavoratori lo hanno capito. Quindi, il vero prerequisito per una politica progressista non è il ritiro della riforma pensionistica, ma il rovesciamento del governo Macron. Questo obiettivo politico dovrebbe essere il coronamento dell’attuale piattaforma rivendicativa del movimento. Chi pensa che questo possa nuocere alla mobilitazione non ha capito nulla dello stato d’animo delle masse, del movimento dei Gilet gialli e del significato politico del 5 dicembre. Alle loro sottili e vuote argomentazioni, basta opporre le parole della lavoratrice che abbiamo già citato: “Sto lottando per la mia pensione, naturalmente. Ma innanzitutto combatto per vivere dignitosamente prima di andare in pensione.”