Il partito islamico-conservatore di Erdogan ha vinto le elezioni anticipate con quasi il 50% del consenso, 3 milioni di voti in più che a giugno. Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) ha cinicamente trascinato il paese nel caos per presentarsi come l’unico argine al disordine.
Erdogan non ha esitato a scatenare una guerra civile nel Kurdistan turco, fermatasi solo per decisione unilaterale della guerriglia del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), ad aizzare l’odio anti-kurdo per deviare su linee nazionali la rabbia del proletariato turco ed a chiudere giornali e TV non gradite. Il premier uscente dell’Akp, Davutoglu, ha dichiarato in un comizio a Van, nel Kurdistan, che se non avessero vinto sarebbero tornati i tempi delle Toros bianche, riferimento alle Renault usate dai reparti speciali dell’esercito negli anni ’90 per rapire militanti della sinistra kurda.Nelle zone rurali della Turchia, ai capi-villaggio convocati dalle autorità di polizia è stato ingiunto di ottenere un voto plebiscitario per l’Akp, come riportato anche dalla Rete Kurdistan in Italia.
Le bombe esplose al corteo sindacale e kurdo di Ankara per la pace – costate la vita a più di 100 persone – sono anch’esse parte di questa strategia, a prescindere dal grado più o meno diretto di responsabilità di Erdogan nel dirigere gli attentatori. Il punto centrale è che Erdogan si è dimostrato disposto a qualsiasi manovra extra-parlamentare pur di assicurarsi una maggioranza parlamentare ed aumentare la concentrazione del potere nelle sue mani. La borghesia turca, timorosa di un’esplosione sociale, s’è schierata in ranghi piuttosto compatti dietro al suo ‘sultano’.
Anche l’Unione Europea ed il governo tedesco hanno assicurato il proprio sostegno ad Erdogan, confermando che la classe dominante, se si sente minacciata, chiude anche entrambe gli occhi dinnanzi al sangue ed al soffocamento dei più elementari diritti democratici. Qualche timida dichiarazione del Parlamento Europeo piena di ‘inquietudine’ per gli arresti di osservatori indipendenti durante le elezioni, se mai verrà scritta, sarà soltanto una foglia di fico per i liberali più teatranti.
Apparentemente, Erdogan sembra non avere ostacoli davanti a sé ed ha già annunciato una nuova stretta repressiva contro il Pkk. La fazione islamico-conservatrice di Zaman, un tempo alleata di Erdogan e raggruppata attorno al predicatore Fethullah Gulen, capo di un immenso impero finanziario, è ai margini dello scontro politico malgrado sia ben vista a Washington. Il centro-sinistra del Partito repubblicano del popolo (Chp) stagna al 25% dei voti, mentre la destra nazionalista dei “Lupi Grigi” perde parte del suo elettorato tradizionalista verso l’Akp.
Il Partito democratico dei popoli (Hdp), di sinistra e filo-kurdo, passa dal 13% al 10% ma paga più di tutti la militarizzazione dei seggi, i brogli e la politica di terrore di Erdogan. Aver superato il quorum del 10% in queste condizioni è da considerare un successo.
Ma queste elezioni hanno risolto ben poco. L’intervento russo ed il crescente coinvolgimento dell’Iran – tradizionale nemico della Turchia – nella guerra civile siriana a fianco di Assad sono pessime notizie per l’avventurismo imperialista di Erdogan, impegnato anche a bloccare l’avanzata dei kurdi siriani. In sostanza, l’impantanamento turco in Siria, l’ostilità della popolazione kurda ed il rallentamento dell’economia renderanno il nuovo governo un governo d’emergenza, costantemente spinto ad utilizzare la forza per controllare la situazione. E siamo convinti che la classe lavoratrice sia ben lontana dall’aver pronunciato la sua ultima parola.