Per la prima volta nella storia, la maggioranza dei membri del Congresso è composta da veri e propri milionari. Se qualcuno ancora si illude che i Democratici siano un partito che in qualche modo difende l’interesse dei lavoratori, è il caso che ci ripensi. I membri Democratici della delegazione del Congresso sono ancora più ricchi, in media, di quelli Repubblicani.
E se entrare a far parte del celebre 1% mentre si è in carica non dovesse dare soddisfazione, si può intraprendere una carriera post-mandato piuttosto lucrativa tra i “servizi” legati al governo e il settore privato. Molti ex funzionari eletti trovano la propria strada nelle lobby dell’industria e molti lobbisti a loro volta ora concorrono per un incarico amministrativo. Onorari da Speaker parlamentare, incarichi nei consigli d'amministrazione e altro ancora attendono chi lisciato il pelo alle corporazioni d’America mentre era in carica, e viceversa.
Nel 2012 è stata spesa in attività di lobbing la sbalorditiva cifra di 6.7 miliardi di dollari. La stragrande maggioranza di questi cosiddetti professionisti legati a funzioni di governo sono direttamente ricollegabili e finanziati dal grande capitale. Questo si traduce in una spesa di 12.5 milioni di dollari per ogni membro del congresso, quasi 9 volte il budget medio per le spese di gestione del Congresso stesso, pari a 1.3 milioni di dollari. È ancora più di quanto si sia on totale speso durante tutte le campagne elettorali del 2012 che hanno portato all’elezione di queste persone e del Presidente alla Casa Bianca.
Il grande capitale ha di sicuro ottenuto ciò per cui ha pagato, visto che i profitti continuano a salire e i tagli e l’austerity piovono sulla massa dei lavoratori. Non c’è da meravigliarsi se un recente sondaggio Gallup ha rilevato che il lobbismo “viene classificato come la professione meno degna di fiducia ed onesta del Paese”. Incredibilmente persino i membri del Congresso raggiungono sono considerati in maniera più positiva, nonostante avessero un misero 9% di consenso a novembre.
Così mentre uno sparuto manipolo di Americani vive adagiato sugli allori, il resto di noi sta sprofondando in una palude di bassi salari, disoccupazione, mancanza di casa e costante precarietà. I giovani in particolare sono duramente colpiti dalla crisi del capitalismo. Il 15% dei giovani tra i 16 e i 24 anni sono disoccupati, senza contare quelli che non lavorano perché vanno a scuola o non sono più considerati come “in cerca di occupazione”. 37 milioni di Americani hanno contratto un debito studentesco, per un totale di più di mille miliardi di dollari, una media di circa 25.000 dollari a testa. Nel 2010 l’indebitamento da prestito studentesco ha superato quello delle carte di credito, e nel 2011 ha superato i finanziamenti per l’acquisto di auto. Secondo Mark Kantrowitz, editore di FinAid.org, il debito studentesco sta crescendo di 3000 dollari ogni secondo di ogni minuto di ogni giorno.
Alcuni giovani hanno potuto evitare temporaneamente gli aspetti peggiori della crisi vivendo coi propri genitori, contando su di loro per vitto e alloggio, sostegno economico, tasse scolastiche, benzina, spese mediche e altre necessità. Nei fatti stanno vivendo delle risorse accumulate dalla società americana durante la ripresa del dopoguerra, un periodo in cui i loro genitori e nonni potevano godere di salari relativamente elevati, pensioni e altri vantaggi conquistati con le lotte di massa dei lavoratori nel periodo prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ma questo margine di sicurezza individuale non è una può durare a lungo, mentre milioni di altri giovani sono abbandonati a se stessi nel freddo pungente della crisi del capitalismo.
Contrariamente ai luoghi comuni che si sentono in goiro, il punto non è che i giovani sono semplicemente “pigri” e non hanno voglia di lavorare. Nel 2012 più di 500.000 ragazzi hanno fatto domanda per i soli 80.000 posti all’AmeriCorps (un programma del governo federale simile al nostro servizio civile, ndt). A partire dal 2002 ogni anno c'è stato un taglio distruttivo di un miliardo di dollari al finanziamento dei programmi federali per l’occupazione giovanile: l’austerity è cominciata molto prima che la crisi colpisse apertamente nel 2008.
In alcune zone può essere difficile trovare persino lavoretti a bassa retribuzione come quelli nei fast food, nei servizi, come commesso nei negozi.
E non sono solo i giovani a soffrire. Anche i lavoratori altamente qualificati e tradizionalmente meglio pagati sono sotto attacco. 31.000 metalmeccanici organizzati dal sindacato IAM alla Boeing hanno appena dovuto ingoiare un contratto schifoso. Nonostante l'azienda abbia minacciato di delocalizzare dalla zona di Seattle al sud, dove i salari sono più bassi e nel cosiddetto “diritto del lavoro” prevalgono le leggi antisindacali, gli iscritti al sindacato hanno respinto l’accordo con una proporzione di 2 voti a 1 in novembre.
Ciononostante praticamente lo stesso contratto è stato imposto forzatamente subito dopo le vacanze con la complicità della vile direzione del sindacato. Secondo il nuovo accordo le pensioni vengono eliminate per i nuovi assunti e congelate per gli altri dipendenti; gli aumenti di salario non seguiranno l’inflazione; le spese per l’assicurazione sanitaria saliranno alle stelle e i “bonus” di cui si parla nel contratto verranno mangiati dalle tasse. Come se non bastasse l’estensione dell’accordo per 8 anni significa che i lavoratori avranno le mani legate dal punto di vista legale per quasi un decennio, mentre l'azienda lavora per escludere totalmente il sindacato.
Boeing è proprio l’ultima azienda che può addurre problemi economici. È la multinazionale che ha ricevuto il più grande sgravio fiscale ad un’azienda nella storia degli Stati Uniti: 8.7 miliardi di dollari fino al 2040. In più, lungo l’ultimo decennio, Boeing ha ricevuto 1.8 miliardi di dollari in sgravi fiscali a livello federale sui suoi 35 miliardi di dollari di profitto negli Stati Uniti. Nel 2012 l’AD della Boeing, Jim McNerney ha ricevuto un bonus di 21.1 milioni di dollari.
Tutto questo mentre più di un quarto dei lavoratori americani del settore privato guadagna appena 10 dollari l’ora se non meno. Secondo un rapporto del National Employment Law Project due terzi dei lavoratori americani a basso salario lavorano in aziende con più di 100 dipendenti, il 92% delle quali è stato in attivo nel 2012 e il 63% delle quali sta facendo più profitti adesso di quanto non facesse prima della recessione.
L’assurdità di questa situazione e di questo sistema è palesemente evidente a milioni di persone e ancora non è stata data una chiara prospettiva di uscita dal vicolo cieco del capitalismo. Non c’è da meravigliarsi se c’è un malessere diffuso nella società. Sparatorie, omicidi di strada, aumento dei suicidi, il tasso di abusi domestici e sui bambini, o addirittura uccidere qualcuno perché sta mandando un sms in un cinema non sono certo il prodotto di una società sana.
C’è un moderato ma crescente consumo di eroina in Stati come il Vermont. A livello nazionale le morti per overdose sono triplicate dal 1990, ora muoiono più persone per overdose di quante ne muoiano negli incidenti stradali. La natalità negli USA ha raggiunto il minimo storico dal 1920, dal momento che un crescente numero di giovani “non vuole far nascere un bambino in un mondo del genere”.
La coscienza umana riflette le condizioni oggettive che ci circondano. Una società malata non può non avere un effetto sulla psicologia individuale e collettiva. Ma come dice il vecchio adagio “le ore più buie sono quelle prima dell’alba”. La coscienza dei lavoratori e dei giovani americani sta cambiando e c'è un inizio di reazione. Dopo decenni passati ad incolpare il prossimo per i propri problemi e a cercare soluzioni individuali alla miseria della vita sotto al capitalismo, sta finalmente cominciando a prendere piede l’idea per cui è necessaria un’azione collettiva per rispondere ad un problema collettivo. Visto che all’interno del capitalismo non è possibile nessuna soluzione reale e duratura il malcontento latente da lungo tempo si trasformerà rapidamente in una pentola in ebollizione.
I giovani si sono mobilitati e hanno combattuto per l’aumento del salario minimo e per organizzare i lavoratori dei fast food e WalMart. Disgustati dalle politiche di collaborazionismo di classe dei loro leader e stanchi di essere svenduti volta dopo volta senza combattere, si stanno formando in tutto il Paese correnti di opposizione nella base dei sindacati.
Gli insegnanti di Chicago hanno fatto vedere che è possibile una controffensiva. Dai lavoratori del IAM recentemente traditi dai propri dirigenti alla Boeing, ai lavoratori postali del AWPU fino al sindacato degli insegnanti di Los Angeles sta emergendo la direzione delle nuove correnti del lavoro: i vecchi approcci e i vecchi leader sono destinati al dimenticatoio.
Senza una strategia combattiva di indipendenza di classe ulteriori sconfitte saranno inevitabili. Come i nostri lettori abituali sanno, Socialist Appeal è stato fin dal suo lancio un sostenitore della necessità di un partito di massa dei lavoratori basato sui sindacati e armato di un programma socialista. L’idea che i sindacati debbano rompere con i Democratici e formare un partito che combatta per la classe lavoratrice è straordinariamente popolare tra i lavoratori e i giovani a cui ci rivolgiamo. Ciononostante questo entusiasmo è di solito accompagnato dal commento :“ma i sindacati non romperanno mai coi Democratici”. Noi rispondiamo: “Mai dire mai!”. Sei anni di “scuola democratica” hanno fatto crescere il numero dei lavoratori che ne hanno avuto abbastanza.
Nell’importante centro industriale di Lorain County, Ohio, i sindacati locali hanno rotto coi Democratici nelle elezioni amministrative di novembre e hanno vinto 24 seggi in consiglio con il programma di un Partito indipendente dei lavoratori.
Come spiega David May nel suo articolo, dopo essere stato pugnalato platealmente alle spalle dai Democratici un po’ troppe volte, i lavoratori sindacalizzati si sono organizzato anche politicamente. Molti di loro erano membri del Partito Democratico da generazioni. Ma come ha affermato il locale membro del comitato Democratico e leader sindacale “Se non vediamo il partito che abbiamo sempre sostenuto rimboccarsi le maniche per sostenerci, guarderemo altrove. La mia lealtà va innanzitutto ai lavoratori”.
Inoltre il sindacato degli insegnanti di Chicago ha recentemente annunciato il progetto di lanciare una propria formazione politica. Resta da vedere che forma prenderà, ma siamo fiduciosi che questa idea crescerà nei prossimi anni. Sempre più sindacati romperanno coi Democratici e proporranno candidati indipendenti del movimento dei lavoratori. Il processo non sarà lineare. Ma aldilà dell’ascesa e del declino di molti di questi tentativi e sull’onda di un generale inasprimento delle lotte, un vero partito di massa dei lavoratori con un ampio sostegno nei sindacati, emergerà su scala nazionale.
Durante questo processo e all’interno del futuro partito del lavoro i marxisti difenderanno e lotteranno con forza per un programma socialista. Un partito dei lavoratori che cercasse soltanto di gestire la crisi mantenendosi nel recinto del capitalismo si troverebbe inevitabilmente a portare avanti politiche simili a quelle di Democratici e Repubblicani. Solo la completa rottura col capitalismo può garantire il lavoro, l’assistenza sanitaria, gli alloggi, l’istruzione, la stabilità di cui la classe lavoratrice ha disperatamente bisogno.
Parallelamente a questi sviluppi possiamo vedere un crescente interesse per il riformismo di sinistra. Dalle elezioni per il consiglio comunale a Seattle e Minneapolis ad un articolo di Rolling Stone che invita coloro nati dopo gli anni ottanta a lottare per un impiego a tempo pieno, per i diritti nel luoghi di lavoro, per un piano di welfare universale, per la fine del monopolio di Wall Street sulle banche, per il controllo sociale sulle risorse e le terre, c’è un crescente rifiuto dello status-quo, oggi completamente sbilanciato a favore dei padroni.
Da un lato questo è uno sviluppo positivo, una sana reazione contro il clima politico degli ultimi decenni. Ma dall’altro dobbiamo essere chiari: i marxisti sostengono e lottano per tutte le riforme che portino un miglioramento nella qualità di vita delle masse, ma il capitalismo in sé non può essere riformato nella sua essenza. Non può esistere nessuna soluzione duratura all’interno dei limiti di un sistema basato sul profitto ricavato dallo spietato sfruttamento dell’uomo sull’uomo; o meglio, da miliardi di persone che vengono spremute a morte da uno sparuto gruppetto.
È naturale che chi si affaccia per la prima volta all’attività politica cerchi la strada più facile: provare ad migliorare qua e là il sistema esistente. Ma non importa quanta buona fede ci sia dietro queste illusioni, i fatti dimostreranno che è semplicemente impossibile. Lungi dalle riforme, persino da quelle puramente di facciata, la classe dominante sta preparando crudeli contro-riforme, tagli e ancora maggiore austerità.
Per strappare conquiste dai padroni e dai loro partiti politici per la classe lavoratrice saranno necessari sforzi e sacrifici colossali. Soprattutto è necessario che la nuova generazione di giovani ponga la fine del capitalismo come proprio obiettivo storico. Non sarà facile e non succederà dalla sera alla mattina, ma può e deve essere fatto se l’umanità vuole sopravvivere alla depredazione e al degrado perpetrati da questo sistema brutale e senz’anima.
Questo è il motivo per cui è così importante studiare la teoria marxista e la storia e l’esperienza della lotta di classe per il socialismo in tutto il mondo. Possiamo combattere contro i padroni e possiamo vincere. È per questo che vi invitiamo ad unirvi ai migliaia di compagni della Tendenza Marxista internazionale in tutto il pianeta nella battaglia per un mondo migliore.
Source: Stati Uniti: l’1% e il malcontento che cova sotto la superficie