Lenin ha scritto che la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 non avrebbe mai avuto luogo senza le precedenti esperienze della Comune di Parigi e delle rivoluzioni del febbraio 1917 e del 1905. Tutte queste insurrezioni ci forniscono un ricco bagaglio d’esperienze e meritano uno studio approfondito, e quest’ opera del grande rivoluzionario russo Leon Trotsky, presidente del soviet di Pietroburgo nel 1905 e uno dei principali attori di questo tremendo dramma storico, è di gran lunga la più importante al riguardo.
Nel mio libro Storia del Bolscevismo, ho scritto:
“[…] La prima rivoluzione russa si è dispiegata su scala epica, coinvolgendo ciascun livello del proletariato e ogni altro strato oppresso della società, passando attraverso ogni immaginabile fase di conflitto ed utilizzando tutti i metodi di lotta concepibili, dagli scioperi economici alle petizioni presso le autorità, attraverso scioperi politici generali e dimostrazioni di massa, fino all’insurrezione armata. La rivoluzione del 1905 aveva già rivelato, benché in modo embrionale, tutti i processi di base che sarebbero stati ripresi, su scala più elevata, dodici anni dopo. Fu una prova generale senza cui la vittoria finale del proletariato nel 1917 sarebbe stata impossibile. Nel corso del 1905 tutte le idee, i programmi, i partiti e i loro leader furono messi alla prova. L’esperienza della prima rivoluzione fu decisiva per la futura evoluzione di tutte le tendenze all’interno della democrazia sociale russa.”
Uno studio su questo straordinario periodo è quindi indispensabile per chiunque voglia comprendere le dinamiche rivoluzionarie generali, anche al di là di questo caso specifico.
Inutile aggiungere che questa comprensione è possibile solo a chi abbia completamente afferrato il senso del metodo marxista conosciuto come materialismo storico.
Il più sorprendente aspetto di una rivoluzione è la velocità di apprendimento delle masse. Generalmente la classe operaia non impara dai libri ma dalla vita stessa. Eventi, specialmente se
di grande portata, sono indispensabili per permettere alle masse di liberarsi dal pesante fardello di tradizioni e abitudini routinarie per abbracciare nuove idee. Questa è la posizione assunta dalla concezione materialista della storia, che fu brillantemente espressa da Karl Marx con la celebre frase “l’essere sociale determina la coscienza”. Gli idealisti hanno sempre presentato la coscienza come la forza motrice di ogni progresso umano. Ma persino uno studio superficiale della storia dimostra che la coscienza umana tende a restare indietro rispetto agli eventi. Ben lungi dall’essere rivoluzionaria, è profondamente conservatrice in maniera innata.
La maggior parte della gente non apprezza l’idea di cambiamento e meno che mai quella di violenti
sconvolgimenti che trasformino le condizioni della propria esistenza. Ha piuttosto la tendenza ad aggrapparsi ad idee che sono ad essa familiari, ad istituzioni ben conosciute, a concetti morali e religiosi tradizionali.
Karl Marx, Socrate, Gesù Cristo, Maometto, Copernico e Galileo vennero tutti osteggiati, perseguitati e trattati da eretici come sempre accade a coloro che, divenendo impopolari agli occhi dei propri contemporanei, mettono in discussione l’ordine prestabilito, finché lo sviluppo successivo degli eventi non ne dimostri la fallacia, conducendolo in un vicolo cieco o ad un eventuale sovvertimento. Abbiamo un esempio di questo processo dialettico negli eventi del 1905, che Lenin descrisse come la prova generale della rivoluzione d’ottobre del 1917.
Guerra e rivoluzione
Gli eventi burrascosi di quel periodo sono strettamente connessi con la guerra russo-giapponese del 1904-5. Le ambizioni dello zarismo russo si scontravano con le spinte verso occidente del giovane e vigoroso imperialismo giapponese, che lo condussero a invadere la Manciuria e a fare pressione contro i confini russi dell’estremo oriente e della Siberia. La guerra ne smascherò rapidamente lo stato di intima putrefazione, e lo zarismo stesso subì una serie umiliante di sconfitte, culminate nella caduta di Port Arthur. Ancora una volta, e non sarà certo l’ultima, la guerra agiva da catalizzatore per un evento rivoluzionario.
I pacifisti lamentano sempre i mali provocati dalla guerra. Dal punto di vista di un astratto umanitarismo, nessuna persona sana di mente potrebbe negare che le guerre causano morte, distruzione e immense sofferenze al genere umano. E tuttavia esse hanno sempre avuto un ruolo notevole nella storia, tanto che si tende a usarle insieme alle rivoluzioni (che altro non sono che un genere specifico di guerra) per datarne i principali periodi di sviluppo. Non sembra che i piagnucolosi lamenti dei pacifisti (già riscontrabili nell’antica Grecia) abbiano avuto significativi effetti nel cambiare questo stato di cose. E per di più gli stessi che proclamano ad alta voce le ragioni della pace sono spesso i primi a trasformarsi all’occorrenza nei peggiori guerrafondai. Bastino ad esempio i nomi di George W. Bush e Tony Blair.
Inoltre non tutte le guerre hanno una valenza reazionaria. Al giorno d’oggi ben pochi negherebbero il carattere progressista delle guerre americane civili e d’indipendenza dei secoli XVIII e XIX, mentre molti ammiratori di questi eventi sanguinosi rifiutano di accettare la legittimità della rivoluzione o della guerra civile combattute in Russia, piuttosto che delle guerre di liberazione nazionale intraprese dai popoli di Vietnam, Cuba o Iraq contro l’imperialismo statunitense in tempi più attuali.
Allo stesso modo di tutti quelli combattuti tra bande di rapinatori imperialisti al solo scopo di dominare mercati o accaparrarsi materie prime e sfere d’influenza, il conflitto tra Russia e Giappone non aveva però alcuna natura di progresso. Tuttavia anche la guerra più reazionaria può servire a evidenziare impietosamente la debolezza dell’ordine esistente mettendo a nudo le fratture nascoste sotto la superficie del tessuto sociale fino a spingere all’azione grandi masse popolari. Ciò che accadde sia nel 1905 che nel 1917, con la più importante rivoluzione sociale della storia, così come negli ultimi stadi della guerra del Vietnam e come sarà nel caso dell’Iraq, che produrrà inevitabili esplosioni, raggiunto un certo grado di sviluppo, non solo in Europa ma negli stessi Stati Uniti.
Agli inizi della prima rivoluzione russa, le masse coinvolte dimostrarono una certa dose di ingenuità. D’altra parte ogni processo storico analogo è passato attraverso questo stadio: la guerra civile inglese del XVII secolo, la rivoluzione francese nel 1789-93, la rivoluzione del febbraio 1917, la guerra di Spagna nel 1931, con la caduta della monarchia e la proclamazione della repubblica, fino ad arrivare alla situazione attuale in Venezuela.
Una rivoluzione fa irrompere sulla scena della politica attiva enormi masse tendenzialmente poco istruite e politicamente inesperte. D’altra parte proprio questa partecipazione attiva e numericamente assai consistente costituisce l’essenza del processo, inizialmente gravido di illusioni, con mete e fini poco chiari, benché queste masse sappiano bene ciò che non vogliono. Questa confusione è inevitabile dato che le condizioni esistenziali dei lavoratori in un regime capitalista non consentono loro di acquisire gli strumenti ideologici necessari per portare avanti una lotta rivoluzionaria.
Il processo d’apprendimento empirico, dipendente dal succedersi degli avvenimenti, procede con lentezza, per successive approssimazioni, difficilmente per linee rette: due passi avanti si alternano con un passo indietro. Ma la linea generale è sempre orientata a sinistra, con posizioni moderate o radicali. Questo processo è foriero di grandi opportunità di crescita per le tendenze più rivoluzionarie a patto che esse sappiano combinare audacia rivoluzionaria e flessibilità tattica, mantenendo stretti contatti con le masse ad ogni grado di sviluppo della lotta.
Debolezza del partito
I compiti del proletariato nella rivoluzione sarebbero stata assai più facile da portare avanti se prima del gennaio 1905 fosse già esistito un forte partito marxista rivoluzionario. Ma così non fu. Il partito socialdemocratico russo (RSCLP), che sosteneva posizioni marxiste, si era scisso in due al secondo congresso solo due anni prima. Le due fazioni emerse dalla scissione, i Bolscevichi e i Menscevichi, erano entrambe assai deboli a Pietroburgo, soprattutto in relazione ai loro rapporti con le masse. Entrambe rappresentavano un’estrema minoranza di attivisti ed erano pressoché completamente isolate. Questa situazione rappresenta praticamente la norma nella storia del movimento operaio. Come disse il vecchio Engels alla fine dei suoi giorni: “Io e Marx siamo sempre stati in minoranza e orgogliosi di esserlo”.
La storiografia stalinista rappresenta un partito bolscevico saldamente al timone e alla guida in ogni fase della rivoluzione. La verità è invece che lo scoppio di quella del 1905 sorprese il partito in uno stato deplorevole. All’inizio dell’anno questo era seriamente infiacchito da scissioni e arresti. Le lotte intestine avevano paralizzato la sue attività. In tutto il 1904 vennero stampati a Pietroburgo solamente 11 volantini contro i 55 del 1903 e i 117 del 1905. Anni d’isolamento, passati a sbattere la testa contro i muri, a portare avanti posizioni rivoluzionarie senza avere risposte, possono generare situazioni di profondo scetticismo difficili da superare quando le condizioni cominciano a cambiare. Ecco come è potuto accadere più di una volta che anche i settori di attivisti combattivi e rivoluzionari siano state scavalcate dalle masse o che gli stessi “rivoluzionari”si siano trasformati nei momenti critici in un ostacolo “conservatore” sul cammino delle masse stesse.
Prima degli eventi di gennaio i leader bolscevichi di Pietrogrado rivelavano atteggiamenti pessimistici e una inveterata mancanza di fiducia nei lavoratori. I cosiddetti membri del comitato (composto anche da donne) inondavano Lenin di lamentele. A loro giudizio le masse non dimostravano stati d’animo rivoluzionari ma solo arretratezza e ignoranza, e la prova di questa disperata situazione era l’appoggio fornito dalla schiacciante maggioranza dei lavoratori al ”sindacato” reazionario creato da padre Gapon, un sacerdote, con l’appoggio di Zubatov, capo della polizia zarista.
S.A. Somov (I.A. Pushkin), un menscevico, così descriveva la situazione organizzativa a San Pietroburgo all’inizio dell’anno:
“La situazione era molto triste. Le uniche organizzazioni ben funzionanti si trovavano per esempio nel settore Narva, con i suoi 30.000 operai, l’intera struttura organizzativa socialdemocratica consisteva di sei o sette circoli di operai della Putilov o delle fabbriche di vagoni ferroviari (non più di cinque o sei membri per circolo) e il lavoro risentiva di vecchie metodologie, cultura ancestrale ed economia politica di lungo corso. In realtà esisteva un’organizzazione dei rappresentanti di circolo, ma è difficile dire che cosa facesse. La vita di fabbrica non trovava alcun riscontro nel lavoro dei circoli. L’agitazione diffusa… che trovava espressione nel poderoso sviluppo del movimento di Gapon, dimostrando così chiaramente l’anelito dei lavoratori verso organizzazioni di massa e unità di classe, era ignorata così come lo zubatovismo. Inoltre quasi tutti gli operai del nostro circolo erano giovanissimi, freschi di apprendistato e senza influenza alcuna nel loro ambiente di fabbrica.”
Alcuni anni più tardi, dopo la vittoria della rivoluzione d’ottobre, quando Lenin istruiva i giovani e inesperti quadri dell’Internazionale Comunista sugli elementi fondamentali della tattica bolscevica, egli citava l’esempio del sindacato di Gapon. Nel suo classico del marxismo, L’estremismo malattia infantile del comunismo, Lenin spiegava che i comunisti hanno l’obbligo di lavorare anche all’interno delle più reazionarie organizzazioni operaie. Diceva che i bolscevichi avevano operato anche dentro sindacati “polizieschi”. Con ciò, benché molti non lo capissero, si riferiva chiaramente all’organizzazione di Gapon, la cosiddetta “Assemblea delle fabbriche russe e degli operai di officina”.
In realtà non era proprio così. I bolscevichi trascurarono effettivamente il lavoro in queste organizzazioni, che venivano boicottate col pretesto che si trattasse di sindacati polizieschi e reazionari. Ciò era vero ma, come spiega Lenin, sarebbe stato necessario operare all’interno di organizzazioni sia pure così reazionarie in modo da separare gli operai dalla loro leadership.
Se i bolscevichi di Pietrogrado avessero preso sul serio questi consigli nel momento in cui la rivoluzione cominciò si sarebbero trovati in una posizione assai più favorevole. Soffrivano in fondo della ben nota malattia tipica di tutte le posizioni estremistiche e settarie secondo cui per costruire un partito rivoluzionario di massa basta dichiararne la necessità. Ma sfortunatamente, come lo sviluppo della storia ha sempre dimostrato, il compito è invece ben più arduo.
Ne L’estremismo malattia infantile del comunismo Lenin ha scritto:
“Sotto lo zarismo, fino al 1905, noi non avevamo nessuna ‘possibilità legale‘, ma quando Zubatov, funzionario della polizia segreta, ha organizzato assemblee e società operaie ispirate dai centoneri (organizzazione anti-semita e reazionaria usata dallo zarismo come arma ausiliaria contro il movimento rivoluzionario) per dar la caccia ai rivoluzionari e lottare contro di essi, da parte nostra abbiamo inviato in quelle assemblee e società alcuni membri del nostro partito…Essi hanno stabilito un contatto con le masse e sono riusciti a svolgere la loro agitazione, strappando gli operai all’influenza degli zubatoviani”
Rispondendo agli estremisti di sinistra aggiunse:
“Non lavorare all’interno dei sindacati reazionari significa abbandonare le masse operaie arretrate o non abbastanza evolute all’influenza dei capi reazionari , degli agenti della borghesia, dell’aristocrazia operaia, ossia degli ‘operai imborghesiti’
“Proprio l’assurda ‘teoria’ della non partecipazione dei comunisti ai sindacati reazionari mostra con la massima evidenza con quanta leggerezza questi comunisti ‘di sinistra’ affrontino il problema dell’influenza sulle ‘masse’ e quale abuso facciano nei loro sproloqui del termine ‘masse’. Per aiutare e conquistarsi la simpatia, l’adesione, il sostegno delle ‘masse’, non si devono temere le difficoltà, gli intrighi, gli insulti, le persecuzioni da parte dei ‘capi’ (che, essendo opportunisti e socialsciovinisti, sono nella maggior parte dei casi legati direttamente o indirettamente con la borghesia e la polizia), e bisogna lavorare assolutamente là dove sono le masse. Bisogna saper sopportare qualsiasi sacrificio, superare i maggiori ostacoli, per svolgere una propaganda e un’agitazione sistematiche, tenaci, costanti e pazienti, proprio nelle istituzioni, nelle società, nelle leghe, anche nelle più reazionarie, dovunque si trovino le masse proletarie o semiproletarie.”
Lenin ha sottolineato in più di un’occasione che la classe operaia è sempre più rivoluzionaria del più rivoluzionario dei partiti. Affermazione che può sembrare non corrispondente alla realtà, meno che mai alla vigilia della rivoluzione del 1905. La schiacciante maggioranza degli operai era di vedute conservatrici e religiose, ciò che spiega in parte la fiducia cieca riposta in padre Gapon. Grandi bevitori di vodka, molti erano ardentemente monarchici e sostenitori dello zar. Stracciavano i volantini bolscevichi inneggianti alla repubblica e talvolta malmenavano chi li distribuiva. Eppure tutti questi atteggiamenti si capovolsero nel giro di ventiquattro ore. Tutti gli sforzi della polizia e dei suoi tirapiedi di rinchiudere il movimento dei lavoratori dentro la camicia di forza di costrizioni legali erano destinati a fallire. La marea montante dello scontento durante la guerra russo-giapponese riguardava ormai ogni livello sociale compresi gli strati più arretrati della classe operaia. Fino a quel momento l’opposizione allo zarismo era venuta soprattutto dagli studenti e dall’”intellighentsia” liberale, rispettando un’altra legge secondo cui, pur non potendo avere un ruolo indipendente nel processo rivoluzionario, questo strato sociale rappresenta un sensibile barometro delle tensioni montanti perfino nei più reconditi recessi della società.
“Il vento muove prima le cime degli alberi”. Il fermento di opposizione tra gli intellettuali rifletteva quello più generale dell’intera società. Le università divennero bastioni fondamentali della protesta e ad un certo punto spalancarono le loro porte agli operai, trasformandosi in centri di roventi dibattiti su idee e programmi, giocando un ruolo importante nella rivoluzione vividamente descritta in quest’opera.
Domenica di sangue
La classe operaia russa fece il suo decisivo ingresso sul palcoscenico della storia con una processione pacifica, un prete alla sua testa, una petizione nelle mani, senza sventolio di bandiere rosse ma sollevando icone religiose. Scopo della manifestazione un appello allo zar, il batyushka (“piccolo padre”), per migliorare le intollerabili condizioni di vita.
Questa gente non capiva nulla di politica, la maggior parte era praticamente analfabeta. Si trattava di contadini recentemente emigrati verso la città in cerca di un tenore di vita migliore, fenomeno questo del tutto tipico per le masse di molti paesi latino-americani e che si è riprodotto recentemente su vasta scala nelle brulicanti città cinesi.
Un così rapido processo di sviluppo ebbe importanti conseguenze rivoluzionarie. Strappando milioni di persone da condizioni di arretratezza rurale rimaste immutate per migliaia di anni, il capitalismo russo distrusse il tessuto sociale che aveva mantenuto il contadino russo in situazioni stabili e di immutata identità per diversi secoli. Sradicato dal suo ambiente naturale, egli venne scagliato con violenza dentro il ribollente calderone della vita di fabbrica e sotto l’occhio vigile del capo reparto ne imparò disciplina e organizzazione. Apprese anche a sottomettersi alle regole impietose della produzione di massa e di conseguenza si sbarazzò delle sue vecchie tradizioni legate a individualismo, egoismo e ad angusti legami familiari, di villaggio o clan. Cominciò a pensarsi come parte di una comunità più vasta, la classe operaia, con comuni vincoli d’interesse e solidarietà contro gli sfruttatori.
Ma questa coscienza di classe rimaneva ancora ad uno stadio embrionale. Il proletariato russo era una classe “in sé stessa” ma non “per sé stessa”. Per fare il salto qualitativo che desse finalmente a questa coscienza un carattere di classe, i lavoratori dovevano passare attraverso una scuola assai severa, un vero e proprio battesimo del fuoco. Ciò che accadde il 9 Gennaio (secondo il vecchio calendario pre-rivoluzionario) 1905, passato alla storia come la “domenica di sangue”.
Lo stato di fervente appoggio espresso a padre Grigorii Gapon dimostra la gran confusione presente nella coscienza delle masse. Figure come questa sono tipiche dei periodi iniziali di ogni rivoluzione. La sua curiosa miscela di militanza e religione, lotta di classe e lealismo monarchico corrisponde perfettamente al brancolare confuso verso una reale presa di coscienza da parte delle moltitudini appartenenti ai più oppressi strati sociali. Lui stesso figlio di contadini, esprimeva fedelmente i confusi sforzi di queste classi in cui il desiderio di combattere per condizioni di vita migliori in questo mondo è ancora imbrigliato da credenze religiose e fede nello zar.
Alla pacifica dimostrazione del 9 Gennaio i compatti reparti di esercito e polizia risposero con una fitta sparatoria. Uomini, donne e bambini disarmati vennero abbattuti senza pietà dalla cavalleria cosacca. Non ci sono cifre ufficiali sui morti, ma la stima più probabile parla di un migliaio. Tutto ciò fu opera dello zar, che si guadagnò allora il nomignolo di Nicola il Sanguinario, ma che rimarrà agli occhi dell’opinione pubblica mondiale come una figura di santo martirizzato dai bolscevichi senza cuore.
In ogni rivoluzione si riscontrano repentini e radicali cambiamenti nella psicologia delle masse: quella stessa sera i medesimi lavoratori che in precedenza stracciavano i loro volantini, scovarono i bolscevichi (sapendo evidentemente dove trovarli) e li assediarono con una pressante richiesta: “Dateci le armi!”
Il popolo può cambiare. Lo vediamo durante gli scioperi, quando può succedere che gli operai recalcitranti e apatici si trasformino nei più militanti ed energici campioni della mobilitazione. Una rivoluzione somiglia ad uno sciopero su scala molto più ampia. Padre Gapon fu una figura accidentale e contraddittoria. Dopo il 9 Gennaio egli fece appello all’insurrezione armata e si ritrovò molto vicino ai bolscevichi almeno per un certo tempo.
I Soviet e lo sciopero di Ottobre
Negli undici mesi successivi la rivoluzione si dispiegò tramite una serie di passaggi graduali. Sempre nuovi settori di classe operaia vennero trascinati nella lotta, e per condurla al meglio i lavoratori crearono i soviet, espressioni meravigliose di potere operaio, come organismi democratici di lotta. Infatti all’inizio potevano semplicemente essere considerati come comitati di sciopero maggiormente estesi.
Ancora una volta i leader bolscevichi mostrarono lo stesso atteggiamento settario che ebbero rispetto al sindacato di Gapon e non compresero l’importanza del Soviet di Pietroburgo. Posero infatti gli operai che ne facevano parte di fronte ad un ultimatum: accettare il programma e l’indirizzo politico del loro partito o sciogliersi. A questo punto, come scrive Trotsky, i lavoratori passarono semplicemente al successivo punto all’ordine del giorno con un’alzata di spalle, e i bolscevichi dovettero abbandonare la riunione.
Dall’estero Lenin osservava la condotta dei suoi compagni con un misto di frustrazione e sgomento. Contrariamente a loro egli comprese il reale significato dei Soviet, che giudicò come un organo embrionale di potere operaio. Esortò i bolscevichi a partecipare a ciò che rappresentava un autentico movimento di massa inducendoli a correggere i loro errori. Ma il danno era fatto ed il settarismo aveva fatto perdere ulteriore terreno.
La figura chiave nel Soviet di Pietroburgo del 1905 fu senza dubbio Leon Trotsky, che all’epoca emergeva come riferimento di entrambe le fazioni, bolscevichi e menscevichi, ma era politicamente assai più prossimo ai primi. In autunno l’onda rivoluzionaria raggiunse il suo picco con scioperi a catena senza precedenti e alla testa del movimento si ergeva il proletariato brandendo la sua arma di lotta classica, lo sciopero generale. “Per estensione e acutezza” ricordava Lenin successivamente “ lo sciopero non ha eguali al mondo. Da economico si fa politico, e da qui all’insurrezione il passo è breve”.
Grazie allo sciopero generale di Ottobre e alla serrata di Novembre, tutti gli occhi erano puntati sul Soviet di San Pietroburgo, che si stava dimostrando organo di lotta estremamente ampio, democratico e flessibile, incrementando inoltre le sue funzioni e i suoi campi d’azione parallelamente allo sviluppo della lotta stessa. Tramite esso i lavoratori fecero uso della libertà di stampa appena conquistata semplicemente rilevando le macchine da stampa, esigettero l’introduzione della giornata lavorativa di otto ore e istituirono in alcune fabbriche il controllo operaio della produzione, formarono una milizia operaia e arrestarono funzionari di polizia impopolari. Oltre a numerosi altri incarichi, il Soviet pubblicava Izvestiya Sovieta Rabochikh Deputatov come proprio organo di stampa. Trotsky era, durante il susseguirsi di questi drammatici eventi, l’autore di quasi tutte le dichiarazioni e le prese di posizione del Soviet di Pietroburgo.
La descrizione dello sciopero di Ottobre, scritta da uno dei suoi leader principali, è uno dei capitoli più importanti del libro. Mentre nel 1917 non vi fu alcuno sciopero generale, nel 1905 questo costituì uno dei mezzi di lotta principale della classe operaia, tramite cui la rivoluzione si organizzò, disorganizzò il nemico, chiamò contemporaneamente alla lotta nuovi settori di classe misurando in tal modo la propria forza.
L’insurrezione di Dicembre
La principale debolezza della rivoluzione del 1905 fu che le campagne non sostennero la lotta dei lavoratori di città se non quando fu troppo tardi. Alla fine di Dicembre gli operai di Pietroburgo, in lotta senza interruzione dagli inizi di Gennaio, erano esausti. Toccò allora a quelli di Mosca occupare il centro della scena. Cominciarono a orientarsi verso l’insurrezione armata ma a questo punto il proletariato di Pietroburgo non era sfortunatamente più in grado di sostenerli.
La sanguinosa sconfitta dell’insurrezione moscovita di Dicembre segnò effettivamente la fine della montante marea rivoluzionaria delle città. Ma questa continuò a propagarsi a lungo nelle campagne. C’erano rivolte contadine ovunque, accompagnate da scoppi di guerriglia. Tuttavia senza la vittoria dei lavoratori nei centri urbani il destino di queste lotte era segnato. Avendo ben chiara questa situazione, Lenin impose di fermare le azioni di guerriglia, preparando il partito a fronteggiare un’ondata reazionaria.
La sconfitta del 1905 fu assai grave. Migliaia di rivoluzionari vennero mandati a morte, torturati, imprigionati o esiliati. Il partito, i cui membri erano cresciuti da una manciata a centinaia di migliaia, era tornato ad essere una minuscola e perseguitata organizzazione clandestina lacerata da accese controversie e spaccature. Lenin era in posizione di netta minoranza quando argomentava contro le posizioni estremistiche dei leader che sostenevano il boicottaggio del parlamento e il rifiuto a lavorare nel rispetto della legge all’interno dei sindacati.
La situazione era talmente disperata che molti giovani compagni arrivarono a suicidarsi, giudicando la rivoluzione perduta per sempre. Tuttavia nel 1911-12 la reazione raggiunse il suo apice e cominciò una nuova ondata rivoluzionaria. Fu a questo punto che Lenin e i bolscevichi guadagnarono la leadership della classe operaia organizzata in Russia.
Come fu loro possibile riemergere illesi da questa tremenda sconfitta? Napoleone disse una volta che gli eserciti battuti imparano bene la lezione. Lenin continuò ostinatamente a difendere i programmi fondamentali, i metodi, le idee e le tradizioni malgrado un contesto generale in cui prevalevano voltafaccia, revisionismo e apostasia. Seppe anche rompere con i suoi compagni di un tempo, gente come Bogdanov, Gorky e Lunacharsky, pur di difendere la filosofia marxista e mantenere salde le radici del partito per garantire la sua vittoria finale.
Nel passato abbiamo vissuto periodi reazionari, anche se non paragonabili al 1907-11. Ovunque notiamo la stessa tendenza a fare un passo indietro, ad abbandonare le posizioni marxiste-leniniste, siamo circondati da cinismo e scetticismo diffusi tra gli intellettuali del ceto medio, un tempo comunisti o quanto meno di sinistra. Ebbene la nostra risposta è la stessa che Lenin e Trotsky diedero in un momento per altro assai più difficile. Ribadiamo con fermezza la difesa di idee, programmi e metodi del Marxismo, unica ideologia socialista con fondamenti scientifici. E gli eventi su scala mondiale dimostrano la giustezza della nostra posizione.
Si dice che l’ora più scura arriva subito prima dell’alba. Sotto la superficie di reazione nera, guerre imperialiste e barbarie, ogni giorno maturano nuove forze che diventano sempre più forti. Si preparano nuovi movimenti rivoluzionari, come quelli che si stanno sviluppando in Venezuela. Come l’esperienza insegna passeranno attraverso varie fasi, talvolta confuse e contraddittorie. Nessuna sorpresa, non è la vita stessa piena di contraddizioni?
Sulla base della loro esperienza, le masse riscopriranno il programma e le idee che esprimono più fedelmente le loro ambizioni e i loro desideri e non solo ciò che è ma ciò che deve essere. Solo il programma e le idee del Marxismo rivoluzionario possono offrire alle masse il cammino che esse stanno cercando.
Nella lotta per un’ideologia rivoluzionaria, gli scritti meravigliosi di Leon Trotsky occupano una piazza d’onore. E fra questi uno dei più importanti è 1905. Lo raccomando al lettore col maggior entusiasmo possibile.