Lo scorso anno è esploso in Iran un imponente movimento che ha scosso l’odiato regime fondamentalista islamico fin nelle sue fondamenta. C’erano tutte le condizioni per riuscire nel rovesciamento rivoluzionario del regime. È mancata tuttavia la partecipazione attiva della classe operaia come forza organizzata e ancora più decisiva è stata la mancanza di una cosciente direzione rivoluzionaria del movimento.
Un anno fa l’Iran si è messo sulla strada della rivoluzione. Come un fulmine a ciel sereno, migliaia di persone, soprattutto giovani, si sono riversate infuriate nelle strade di Teheran per protestare contro gli eclatanti brogli elettorali. Con un incredibile eroismo, hanno sfidato la violenza organizzata dello stato per opporsi al regime reazionario dei mullah che li ha oppressi per così tanto tempo. Questo movimento è stato una fonte di ispirazione per i lavoratori e i giovani di tutto il mondo. E’ stato la risposta finale a tutti i codardi, gli scettici e i rinnegati che dubitano del potenziale rivoluzionario delle masse.
Questa improvvisa esplosione delle masse ha colto molti di sorpresa. In particolare, la cosiddetta “avanguardia” iraniana, quei tristi individui che in passato si facevano chiamare “comunisti” e “trotskysti”, che hanno perso ogni fiducia nel proletariato e nella rivoluzione socialista e che sono capitolati alle pressioni della società borghese e alla sua ideologia.
Ieri ho ricevuto un’interessante lettera da un compagno iraniano che scrive:
“(...) il movimento è molto composito e diseguale nel suo carattere, per esempio sembra che in molte zone il movimento si stia svegliando ora, o almeno stia continuando a crescere, mentre in altre zone ha raggiunto il suo picco mesi fa e così via (nonostante questo processo sia differente dalla Russia del 1905 non tanto per il diverso coinvolgimento di lavoratori e contadini – non ci sono molti contadini in Iran – quanto per la differenza tra Teheran e tutte le altre zone. Anche se anche questo non è esatto, perchè ci sono molte zone a Teheran dove la gente si sta mobilitando sempre più e alcune altre città come Shiraz dove sembra che ci sia un ambiente molto pessimista).”
È normale che sia così. In alcune aree, dove il movimento ha raggiunto un picco all’inizio, le masse si stanno ritirando. Ci sono segni di stanchezza e persino di demoralizzazione. Come potrebbe essere altrimenti? Dopo mesi di mobilitazioni continue, senza poterne vedere la fine, le masse saranno stanche e il movimento, per una fase, comincerà a rifluire. Gli elementi meno resistenti cadranno nell’inattività e gli elementi più combattivi si troveranno momentaneamente isolati.
Ma questo è solo un lato dell’equazione. Ci sono altre aree dove il movimento è in ascesa. Nuovi strati di movimento popolare stanno entrando nella lotta e sono pieni di entusiasmo. In generale, coloro che mostrano il maggior grado di pessimismo sono i settori più vecchi e con più esperienza, compresa la cosiddetta “avanguardia”. Ma tra i nuovi, freschi settori di giovani, l’ambiente è completamente diverso. Sono entusiasti e pronti a lottare. E su questi strati che dobbiamo basarci.
Cos’è una rivoluzione?
La principale caratteristica di una rivoluzione è l’intervento diretto delle masse che cominciano a prendere le loro vite e il loro destino nelle proprie mani. È proprio quello che è successo in Iran un anno fa. Chiunque non sia in grado di capire che questa è una rivoluzione non sa cos’è una rivoluzione. “Hanno gli occhi ma non vedono”. A queste persone senza fiducia non abbiamo niente da dire. Al momento tutte le condizioni elencate da Lenin per una rivoluzione esistono in Iran: divisioni ai vertici, fermento tra le classi medie, una potente classe operaia con tradizioni rivoluzionarie, importanti ondate di scioperi, ecc.
Se i dirigenti del movimento avessero dimostrato l’un per cento della determinazione e del coraggio espressi dalle masse, avrebbero potuto prendere il potere senza la benchè minima difficoltà. Ma i riformisti borghesi non hanno voluto prendere il potere. In realtà, hanno avuto paura delle forze che hanno scatenato. Si sono comportati come un freno rispetto al movimento. Uno sciopero generale in Iran porrebbe la questione del potere e proprio per questo motivo i dirigenti riformisti si sono rifiutati di convocare uno sciopero generale.
L’assenza di una direzione seria è la principale ragione per cui il movimento è entrato in una fase di declino. Al momento tra alcuni settori c’è un ambiente depresso. Ognuno si rende conto della necessità di una nuova strategia ma nessuno dice quale e nessuno riesce a vedere una via d’uscita. Nelle condizioni attuali, lanciare persone disorganizzate e disarmate contro il regime sarebbe una follia. Ciò di cui c’è bisogno è dare alle forze disorganizzate e disperse della rivoluzione una carattere organizzato.
L’egemonia della reazione è superficiale. C’è una sorta di calma apparente, in cui entrambe le parti hanno l’atteggiamento di chi sta a guardare cosa succede. Nessuna delle parti è soddisfatta della situazione, ma nessuna delle parti ha la forza per poter sconfiggere l’altra.
La crisi economica ha colpito l’Iran duramente. Il regime si trova costretto a tagliare sussidi dal petrolio e dai beni di prima necessità come il pane. Ma Ahmadinejad (correttamente) teme che ciò possa far esplodere una nuova ondata di proteste ancora più pericolosa. Ci sono scandali per corruzione ai livelli più alti. I dirigenti si dimenano come gatti chiusi in un sacco. Tutti questi sono sintomi di un regime in decomposizione.
Nessuno può dire quanto durerà l’attuale situazione, ma probabilmente non molto. Per tenere le masse sotto controllo, la repressione non è abbastanza. Il regime sta usando tutte le sue riserve ed è visto con odio e disprezzo da settori sempre più ampi della società. Nonostante le manifestazioni del Primo maggio siano state meno partecipate dell’anno scorso, hanno avuto un carattere più nazionale, diffondendosi in quasi ogni paese e città. Questo fatto indica l’inizio di un risveglio dei lavoratori iraniani. Lo sciopero generale di 24 ore in Kurdistan è stato un vittorioso gesto di sfida di massa che ha umiliato il regime e ha mostrato i limiti del suo potere.
Chi lotterà per la democrazia?
I compiti oggettivi del movimento sono democratici. Le masse vogliono lottare per i diritti democratici. Ma i riformisti borghesi e piccolo borghesi non sono in grado di condurre una lotta seria per la democrazia. Nel migliore dei casi, hanno considerato il movimento di massa come una sorta di materia di scambio per esercitare pressioni sul regime al fine di ottenere delle concessioni, come un commerciante che tratta al mercato. Ma non hanno intenzione di cambiare alle fondamenta il regime di cui sono stati parte integrante fino a poco tempo fa.
Tutta la storia, e specialmente la storia della rivoluzione russa, mostra che i liberali borghesi non sono in grado di realizzare i compiti della rivoluzione democratico-borghese in paesi come l’Iran. Queste gente parla di democrazia ma in ultima analisi è sempre pronta a scendere a compromessi, ad arrendersi, in una parola, a tradire. L’unica forza della società capace di intraprendere una lotta conseguente per la democrazia è il popolo rivoluzionario: i lavoratori, i contadini, i poveri delle città, la gioventù rivoluzionaria, le donne e le nazionalità oppresse.
Queste sono le forze che sono scese in piazza e hanno rischiato la vita nel giugno del 2009. Non sono state convocate dai dirigenti riformisti che inizialmente si sono opposti alle manifestazioni e hanno cominciato a partecipare solo sotto la pressione dal basso. Si sono organizzate e si sono decise ad andare oltre le intenzioni dei dirigenti. Ma l’assenza di direzione, l’assenza di una chiara prospettiva e di un piano d’azione alla fine hanno compromesso il movimento. Quindi la questione centrale della rivoluzione iraniana è la questione della direzione.
Il ruolo reazionario dello scetticismo
Si dice che il primo esploratore europeo che vide una giraffa esclamò: “Non ci credo”. Questa è stata esattamente la reazione dei nostri “marxisti eruditi” quando si sono trovati di fronte alla sollevazione rivoluzionaria del giugno 2009. Non riconobbero la portata di quello che stava accadendo.
Portare a termine una rivoluzione sarebbe molto semplice se tutto procedesse in modo lineare. Ma la vita non è semplice! Il movimento ha subìto una temporanea battuta d’arresto. “Ah! – dicono i “marxisti eruditi” - vedete! Vi avevamo detto che non era una rivoluzione! È una sciocchezza. Il regime rimane saldamente in sella. Non c’è speranza!” E poi tornano al bar più vicino dove continuano a piangere dentro le loro tisane, un posto in cui li possiamo lasciare senza problemi.
Coloro che si rifiutano di accettare che c’era una rivoluzione in Iran erano ciechi di fronte a ciò che si stava sviluppando sotto i loro occhi. Non si aspettavano che dai brogli elettorali di giugno si sarebbe sviluppato un movimento rivoluzionario. Sono stati presi completamente alla sprovvista. Non avevano assolutamente nulla da dire sulla campagna elettorale nonostante a Teheran si fossero già svolti grandi raduni di massa dell’opposizione. Hanno reagito con stupore alle manifestazioni di massa che hanno provocato una dura crisi nel regime. Di conseguenza, non sono stati in grado di reagire in modo deciso a questi eventi, in cui hanno giocato un ruolo marginale, ammesso che ne abbiano giocato uno.
Il 18 giugno 2009 scrivevo:
“Stranamente, ci sono alcuni a sinistra, persino alcuni a cui piace farsi chiamare marxisti, che non lo capiscono. Dopo così tanti anni in cui sembrava che in Iran non succedesse niente, molti di questi di sinistra, che da giovani sono stati molto radicali ma nella mezza età hanno ceduto ad un comodo scetticismo, hanno abbandonato ogni speranza nella trasformazione socialista della società. Non si aspettavano la sollevazione di questi giorni perchè non avevano alcuna fiducia nel potenziale rivoluzionario delle masse. E persino ora che il movimento si sta dispiegando sotto i loro occhi, continuano a rifiutarsi di crederci.”
Nello stesso articolo ricordavo che Trotskij paragonava i menscevichi russi ad un maestro vecchio e stanco che per anni aveva insegnato ai suoi studenti cos’è la primavera. Ma poi una mattina questo vecchio insegnante aprì la finestra per far entrare aria fresca nella stanza che puzzava di chiuso. Alla vista improvvisa del cielo azzurro, con il sole che splendeva e gli uccellini che cantavano, chiuse la finestra sbattendola, dicendo che la primavera è una mostruosa aberrazione della natura.
I nostri scettici “di sinistra” sono proprio come un vecchio professore bacato. A loro piace molto parlare di rivoluzione e ci ricordano di quando erano giovani a Parigi nel 1968 o a Teheran nel 1979, ma in realtà non hanno un singolo atomo di spirito rivoluzionario o un grammo di comprensione marxista. Queste persone, trasmettendo ai giovani velenoso scetticismo, rappresentano un ostacolo sulla via della rivoluzione. Fortunatamente non hanno influenza sulle giovani generazioni in Iran, che non hanno bisogno che “professori” così bravi gli insegnino a combattere.
Era dovere di tutti gli autentici marxisti sostenere il movimento di massa, nonostante tutte le sue carenze, gli errori e i limiti. Era dovere di un’autentica avanguardia lottare al massimo per mobilitare i lavoratori in sostegno degli studenti, formare comitati d’azione e lanciare la parola d’ordine dello sciopero generale. Solo così sarebbe stato possibile esporre le vacillazioni di Mousavi e degli altri dirigenti borghesi, per dimostrare nella pratica la superiorità di una politica proletaria e conquistare la direzione del movimento.
Una autoproclamatasi “avanguardia” che non è capace di riconoscere una rivoluzione mentre si sta sviluppando sotto il suo naso non serve a nulla. Rifiutandosi di intervenire incisivamente nella rivoluzione, si è dimostrata inadeguata a dirigerla. Prevediamo che la nuova ondata rivoluzionaria, che è inevitabile, passerà di fianco a questi signori senza nemmeno accorgersi di loro.
Lenin sulla rivoluzione
I nostri critici riescono a vedere solo sconfitte e reazione nera. Dicono: “rivoluzione? quale rivoluzione?” Non avendo alcuna fiducia nel potenziale rivoluzionario delle masse, sono ansiosi di rinnegare o sminuire qualsiasi manifestazione rivoluzionaria. Questi “marxisti eruditi” procedono non in base al movimento reale ma in base a formule astratte. Hanno una visione chimicamente pura della rivoluzione proletaria, perfetta in ogni dettaglio, nella quale i lavoratori dirigono la rivoluzione e i “marxisti eruditi” (naturalmente) dirigono i lavoratori.
Putroppo la vita non è perfetta e il movimento di massa non sempre corrisponde ad uno schema precostituito. Quando il movimento reale contraddice il loro schema questi signori non traggono la conclusione che forse le loro idee preconcette erano sbagliate, ma concludono piuttosto che la realtà è sbagliata, che non c’è alcuna rivoluzione, ma qualcosa di completamente diverso (e non sanno cosa). In altre parole, si comportano come idealisti scolastici e non come materialisti dialettici.
Lenin rispose molto tempo fa a questi dottrinari irrimediabilmente incapaci di figurarsi una rivoluzione sociale come un fenomeno vivo quando scrisse:
“Colui che attende una rivoluzione sociale “pura”, non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione.
La rivoluzione russa del 1905 è stata una rivoluzione democratica borghese. Essa è consistita in una serie di lotte di tutte le classi, i gruppi e gli elementi malcontenti della popolazione. V’erano tra di essi masse con i pregiudizi più strani, con i più oscuri e fantastici scopi di lotta, v’erano gruppi che prendevano denaro dai giapponesi, speculatori e avventurieri, ecc. Obiettivamente, il movimento delle masse colpiva lo zarismo e apriva la strada alla democrazia, e per questo gli operai coscienti lo hanno diretto.
La rivoluzione socialista in Europa non può essere nient’altro che l’esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente – senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione – e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale, e l’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere, prendere le banche , espropriare i trust odiati da tutti (benchè per ragioni diverse!), e attuare altre misure dittatoriali che condurranno in fin dei conti all’abbattimento della borghesia e alla vittoria del socialismo, il quale si “epurerà” dalle scorie piccolo-borghesi tutt’altro che di colpo.” (Lenin, Riassunto della discussione sull’autodeterminazione, luglio 1916).
Qui abbiamo la vera essenza del leninismo rivoluzionario, non la miserabile caricatura dei dottrinari settari che, per un ridicolo fraintendimento, si fanno chiamare “marxisti-leninisti” gettando discredito sulla sola idea di marxismo e leninismo agli occhi della gioventù rivoluzionaria dell’Iran.
Fasi di ascesa e di riflusso sono inevitabili
L’autore di queste righe è nato sulle coste dell’oceano Atlantico nel meraviglioso Galles del Sud. Ricordo le immense distese di sabbia sulle spiagge e le enormi onde che si infrangevano su di loro due volte al giorno. Se cammini su queste spiagge quando c’è bassa marea puoi vedere un gran numero di strane creature: pesci morti o morenti che annaspano nelle pozze d’acqua. Poi la marea si alza di nuovo e spazza via tutti questi residui marci, portando ossigeno e nuova vita.
C’è una stretta analogia tra le maree dell’oceano e la lotta di classe. Le rivoluzioni, ovviamente, non accadono due volte al giorno. Al contrario sono eventi rari nella storia. Una rivoluzione non è un evento singolo, un dramma in un unico atto. È un processo vivo che contiene molti elementi contraddittori. Per definizione, la rivoluzione si scontra con le forze della contro-rivoluzione. In questo ciclopico dispiegamento di forze, ci saranno inevitabilmente momenti di ascesa ed altri di riflusso. Lo vediamo in ogni rivoluzione della storia.
I marxisti si basano sulla situazione reale, non su schemi già pronti. Abbiamo riconosciuto subito che ciò che stava succedendo era una rivoluzione e l’abbiamo accolta con entusiasmo. Abbiamo seguito gli eventi attraverso tutti i loro sviluppi. Il 26 giugno ho scritto quanto segue:
“Il regime, avendo parzialmente recuperato fiducia in se stesso, sta attuando un duro giro di vite, reprimendo brutalmente le manifestazioni, cosa che fa sì che meno persone scendano in piazza. Questo è normale. Le persone non possono scendere in piazza in continuazione per avere la testa rotta a meno che non vedano la possibilità di uno sbocco decisivo. Anche se ci potranno essere altre ondate di rabbia e di proteste, se il movimento non si porrà su un piano superiore, tenderà inevitabilmente a rifluire, almeno per una fase.”
Queste parole sono abbastanza chiare per chiunque desideri capirle. La rivoluzione non è un dramma in un unico atto. Attraverserà molte fasi, con periodi di enorme ascesa, come abbiamo visto nel giugno 2009, e poi ancora nei giorni dell’Ashura e della Tasua. Ma ci saranno anche periodi di calma, ritirate, e persino sconfitte. Chi non capisce questo non capisce la natura di una rivoluzione.
Per il momento il movimento è stato violentemente represso. Ma nulla è stato risolto. Le contraddizioni nella società iraniana non sono state risolte ma solo nascoste. È come chiudere il coperchio di una pentola a pressione senza aprire la valvola di sicurezza. In questo modo sarà possibile mantenere il coperchio premuto per un po’ ma solo aumentando la pressione a tal punto che l’esplosione, quando alla fine arriva, sarà cento volte più violenta. Schiacciando l’ala riformista, le forze reazionarie hanno rimosso ogni possibilità di una soluzione graduale e pacifica. L’amarezza e la rabbia si diffonderanno in profondità nella società, aumentando e intensificandosi.
Analogie storiche
Ci sono molte analogie storiche con la situazione attuale in Iran. Quella più simile è la rivoluzione russa del 1905, alla quale abbiamo già fatto riferimento. Quando in quell’anno il proletariato russo ha fatto per la prima volta la sua comparsa nella storia, fu in una manifestazione pacifica guidata da un prete (che per di più era un agente della polizia), padre Gapon.
È piuttosto divertente leggere oggi le dichiarazioni dei nostri amici dell’“avanguardia” in Iran, che si lamentano sempre del presunto “basso livello di coscienza della classe operaia”. All’inizio della prima rivoluzione russa, durante la manifestazione di massa del 9 gennaio, i lavoratori portavano, non bandiere rosse, ma icone religiose. Lo scopo della manifestazione era quello di presentare una petizione allo Zar (il batyushka, o piccolo padre, come lo chiamavano i lavoratori).
Sarebbe stato molto facile parlare di basso livello di coscienza dei lavoratori russi allora. Si trattava principalmente di contadini che erano da poco emigrati dai villaggi alle città. Erano profondamente religiosi, pochi erano in grado di leggere e scrivere, bevevano vodka e picchiavano le mogli. Politicamente erano completamente ignoranti. Quando i marxisti russi cercarono di distribuire volantini che rivendicavano la repubblica, spesso i lavoratori (molti dei quali erano monarchici) li strappavano e a volte picchiavano coloro che li diffondevano.
Ma tutto ciò cambiò nel giro di poche ore dopo il massacro della Domenica di Sangue, quando le forze della repressione massacrarono i manifestanti inermi. La sera del 9 gennaio, gli stessi lavoratori si rivolsero ai bolscevichi (che erano pochi) con una richiesta: “dateci armi!” In poche ore la coscienza dei lavoratori si trasformò completamente. Un processo simile si sta sviluppando ora in Iran, dato che i lavoratori e i giovani hanno tratto lezioni dalle recenti esperienze.
Per alcuni mesi la Russia fu sconvolta da un’ondata rivoluzionaria in cui la classe operaia giocò il ruolo principale. Tuttavia, a quell’epoca i lavoratori rappresentavano una piccola minoranza. I contadini, che costituivano la stragrande maggioranza della società, si mossero più lentamente. Quando la rivoluzione si estese alle zone rurali alla fine del 1906, il movimento nelle città era già stato schiacciato. L’insurrezione dei lavoratori di Mosca nel dicembre del 1905 fu repressa nel sangue. La rivoluzione entrò in una fase di declino. Per quattro anni imperversò il terrore controrivoluzionario, fino all’inizio di una nuova ascesa rivoluzionaria nel 1911-12.
Un altro esempio è la rivoluzione spagnola, che durò sette anni, dal 1930 al 1937. Ma in questo lasso di tempo ci furono molti alti e bassi, periodi di eccezionale avanzamento, ma anche periodi di stanchezza, ritirate, sconfitte, e persino di reazione, come il “biennio negro” che seguì la sconfitta della comune delle Asturie nell’ottobre del 1934. Questa fu una fase di feroce repressione, con migliaia di persone uccise e centinaia di migliaia imprigionate. Ma alla fine si dimostrò per essere solo il preludio di una nuova ascesa rivoluzionaria con l’elezione del fronte popolare nel 1936.
Ovviamente ogni analogia storica ha i suoi limiti. Ci sono similitudini ma anche differenze. In Russia e in Spagna la classe operaia era una minoranza della società. La maggioranza era composta da contadini. In Iran non è più così. La maggioranza degli iraniani vive attualmente nelle città e i contadini, seppur ancora una forza significativa, sono una minoranza. L’enorme importanza della classe operaia iraniana è stata dimostrata nel 1979, quando lo shah fu rovesciato dalla combinazione dell’insurrezione popolare con lo sciopero generale.
I compiti dei comunisti
È improbabile che l’attuale situazione di equilibrio instabile durerà a lungo. C’è una crisi profonda a tutti i livelli della società iraniana: politico, economico e sociale. Nessuno è soddisfatto della situazione. Quando ci sarà una nuova sollevazione, perchè ci dovrà essere, avverrà ad un livello qualitativamente più alto di prima. Lo sciopero spontaneo e la manifestazione di massa contro l’esecuzione di cinque attivisti di sinistra nelle aree curde, l’organizzazione di picchetti per il primo maggio e le manifestazioni in molte città iraniane erano indicazioni della natura esplosiva della situazione e del potenziale rivoluzionario della classe operaia.
Qual’è il compito dei comunisti iraniani in questa situazione? La risposta a questa domanda la diede Trotsky quando nel 1930 scrisse:
“Quando la borghesia coscientemente e ostinatamente si rifiuta di assumersi la soluzione dei compiti che le derivano dalla crisi della società borghese, quando il proletariato sembra ancora impreparato ad intraprendere la soluzione di questi compiti, allora il proscenio spesso viene occupato dagli studenti... l’attività rivoluzionaria o semi-rivoluzionaria degli studenti significa che la società sta attraversando una profonda crisi...
“I lavoratori spagnoli hanno mostrato un istinto rivoluzionario del tutto giusto quando hanno dato il loro sostegno alle manifestazioni degli studenti. Si capisce che lo devono fare sotto la propria bandiera e sotto la direzione delle loro organizzazioni proletarie. Questo deve essere garantito dal comunismo spagnolo, e per farlo necessita di una politica corretta.
Questa strada presuppone da parte dei comunisti una lotta decisa, audace ed energica per i diritti democratici. Non capire questo rappresenterebbe il peggior errore di settarismo... se la crisi rivoluzionaria si trasforma in una rivoluzione inevitabilmente supererà i confini borghesi e, in caso di vittoria, trasferirà il potere al proletariato.” (Leon Trotsky, Problemi della rivoluzione spagnola, enfasi mia, AW).
Al momento, in Iran la reazione sembra rimanere in sella ma non è affatto solida. I conflitti e le divisioni tra tendenze rivali stanno gradualmente minando il regime dall’interno. Non sottovalutiamo le difficoltà. Il regime iraniano è mostruosamente repressivo. Ma non è più repressivo dello stato zarista e tutta la storia mostra che persino lo stato più potente non può mai resistere alle masse, una volta che si sono organizzate e mobilitate per la trasformazione della società. Lo abbiamo visto in Francia nel 1789, in Russia nel 1917 e in Iran nel 1979. E lo vedremo ancora in un paese dopo l’altro nel periodo che si sta aprendo ora. Dato il temporaneo stallo nel movimento di massa, è ovviamente corretto partire dalle più elementari rivendicazioni democratiche: il rilascio di tutti i prigionieri politici, il diritto di riunirsi, organizzarsi e manifestare, la punizione di chi si è reso responsabile di atti di repressione contro il popolo, ecc. Ma quando il movimento comincerà a risvegliarsi, sarà necessario ad un certo punto porre la questione di condurre azioni rivoluzionarie di massa, compreso lo sciopero generale.
Se l’avanguardia operaia deve essere una vera avanguardia rivoluzionaria, e non solo una frase vuota, deve trovare un modo per connettersi con il movimento rivoluzionario di massa, portando avanti con audacia le rivendicazioni democratiche più avanzate e legandole all’idea centrale di uno sciopero generale in tutto il paese per rovesciare il regime. Per prepararsi a questo sarà necessario contribuire alla formazione di comitati organizzativi nelle fabbriche e nei quartieri. Questo è stato ciò che è mancato nel corso degli ultimi 12 mesi. E’ l’unica via per andare avanti.
Sosteniamo la sezione iraniana della Tmi!
Una volta che le masse iraniane cominceranno a muoversi, scuoteranno il mondo. La futura rivoluzione può prendere diverse direzioni ma possiamo essere sicuri di una cosa: non sarà un movimento fondamentalista. 28 anni di potere dei mullah li hanno completamente screditati tra le masse e i giovani. La maggioranza della popolazione è giovane e piena di energie, saranno aperti alle idee socialiste rivoluzionarie e al marxismo. La rivoluzione iraniana cambierà l’intera situazione in Medio Oriente, dimostrando che un autentico anti-imperialismo non ha bisogno di un carattere fondamentalista. Avrà un impatto su tutta la regione.
Una nuova fase di ascesa si sta preparando in Iran. L’elemento più importante dell’equazione è il fatto che uno strato di giovani sta pensando a quello che è successo, analizza, si interroga e pone delle critiche. La questione si pone con insistenza: se avevamo un movimento tanto potente, perchè è fallito? E la risposta a questa domanda è sempre più chiara: abbiamo fallito, in parte perchè avevano bisogno della partecipazione attiva dei lavoratori, come nel 1979. Ma principalmente abbiamo fallito per la mancanza di una direzione rivoluzionaria determinata.
In realtà, l’unico fattore di cui c’è bisogno per garantire il successo della rivoluzione iraniana è una direzione determinata e lungimirante. Le forze del marxismo in Iran sono ancora numericamente deboli. Ma siamo forti nelle idee. La sezione iraniana della Tmi (Tendenza Marxista Internazionale. NdT) sta conducendo un serio lavoro e sta ottenendo buoni risultati. Il lancio di un nuovo sito, Mobarezeye Tabaghati (“Lotta di classe”), è stato un enorme passo avanti. Il lavoro dei nostri compagni iraniani è di grande importanza. Dobbiamo sostenerli in tutti i modi. L’esiguità delle nostre dimensioni non ci deve scoraggiare. Anche i bolscevichi erano una piccola minoranza all’inizio della prima rivoluzione russa. Ma sulla base di idee chiare che aderiscano alla realtà oggettiva e alla necessità storica possiamo crescere molto rapidamente. E stiamo crescendo e maturando con il movimento reale.
Il problema principale non è oggettivo ma soggettivo: nella psicologia delle masse. Ci sono umori diversi tra settori diversi: alcuni sono demoralizzati, specialmente nella sinistra, ma altri attivisti nel movimento verde, specialmente i giovani, sono entusiasti e aperti a nuove idee. Questo è normale: sono giovani e pieni di energie, e incontaminati da sentimenti di scetticismo che sono il prodotto delle passate sconfitte.
Napoleone disse che gli eserciti sconfitti imparano bene. Sulla base dell’esperienza migliaia tra i giovani migliori e più convintamente rivoluzionari stanno acquisendo il livello di coscienza necessario per portare a termine la rivoluzione. Capiscono che le mezze misure sono inutili, che non ci possono essere compromessi col regime e che i dirigenti che perseguono questa linea finiranno inevitabilmente per tradire.
Sempre di più un settore di giovani sta cercando un cambiamento fondamentale nella società. Sono impazienti nei confronti dei dirigenti riformisti. Si considerano socialisti e mostrano un crescente interesse nelle idee del marxismo. Questo è il vero futuro del movimento rivoluzionario in Iran. La psicologia pessimista dell’“avanguardia” è un’espressione del passato. Quella della nuova generazione di giovani combattenti rappresenta il futuro. Noi siamo dalla parte del futuro dell’Iran, non del passato. E a quelli che sono sempre lì con le mani tra i capelli e dicono “è la fine” rispondiamo: Non è così, amico mio, non è la fine. E’ solo l’inizio!
Londra, 11 giugno 2010
Source: FalceMartello