A lungo acclamata come una storia di successo e come il modello per l’industria serba del futuro, lo stabilimento della Fiat a Kragujevac ha interrotto la produzione in alcuni giorni fa, quando i lavoratori addetti alla produzione sono scesi in sciopero ad oltranza.
Per condizioni di lavoro decenti !
Le loro richieste sono le seguenti:
- Aumento dei salari da 38.000 a 45.000 dinari;
- Indennizzo per i costi di trasporto sostenuti per andare al lavoro fuori dall’orario regolare, quando il trasporto pubblico non è disponibile.
- Pagamento dei bonus già concordati
- Assunzione di nuovi lavoratori per far fronte al carico di lavoro .
Tenendo presente che l’industria automobilistica comporta un duro lavoro manuale e che il costo della vita è in costante aumento, ciò che attualmente i lavoratori di Kragujevac guadagnano non è in alcun modo sufficiente per una vita dignitosa. La crisi del mercato automobilistico ha costretto la fabbrica a licenziare centinaia di lavoratori, pur mantenendo ritmi di lavoro sostenuti per coloro rimasti e la stessa quota di produzione. I lavoratori si ammalano e i loro colleghi sono costretti a farsi carico del loro lavoro, perché i capi rifiutano di assumere abbastanza lavoratori per soddisfare gli obiettivi di produzione.
Il modo in cui gli investimenti esteri funzionano in Serbia e nei paesi limitrofi va ben oltre lo sfruttamento borghese standard. Il termine “investimento” qui è diventato veramente il suo opposto. La maggior parte delle spese viene pagata dal bilancio statale, lasciando i proprietari privati ad accumulare super profitti sempre maggiori senza alcun rischio serio per le loro attività. Sarebbe un eufemismo descrivere le condizioni in fabbrica come catastrofiche. Nei reparti non c’è riscaldamento in inverno, mentre in estate diventano insopportabilmente caldi a causa dell’assenza di adeguati sistemi di ventilazione. Anche quelli già esistenti sono spesso spenti, in modo che i capi possano risparmiare denaro. Le operazioni che normalmente richiedono due o tre persone vengono spesso eseguite da un singolo lavoratore, sotto pressione costante per soddisfare gli obiettivi. Gli esempi di pressione e di ricatto sui lavoratori per rimanere al lavoro, anche al di fuori del periodo di lavoro straordinario consentito, sono numerosi.
Dal momento che questo tipo di lavoro porta a frequenti assenze per malattia, pare che la direzione abbia stipulato accordi con i medici e gli infermieri locali, in modo da indurre il lavoratore alla posizione assurda di dover “dimostrare” al medico che sono veramente malati. La direzione e le risorse umane sono alla ricerca di modalità sempre nuove per utilizzare la già draconiana legge del lavoro contro i lavoratori, e per rendere più facili i licenziamenti. I procedimenti disciplinari e i richiami vengono emanati facilmente e si trovano testimoni falsi che “testimoniano” il falso pert pochi spiccioli. Queste sono le condizioni nelle nuove fabbriche di cui i padroni e i loro rappresentanti politici del DS (Partito democratico) e SNS (Partito progressista serbo) si vantano sempre.
I lavoratori di Kragujevac non sono gli unici che hanno deciso di intensificare la lotta di classe. Sempre più scioperi vengono segnalati in tutta la Serbia e in altre repubbliche ex-jugoslave. “Falk East” a Knjaževac, “Goša” a Smederevo, le Ferrovie della Repubblica Srpska (nella parte serba della Bosnia ed Erzegovina), e la lista continua … Mentre la crisi economica si approfondisce e aumenta il costo della vita, il potere d’acquisto e le condizioni di lavoro stanno peggiorando ad un ritmo veloce. L’intensificazione e l’espansione della lotta di classe diventa l’unico modo per sopravvivere.
“Nazionalizzazione del rischio”
Da diversi anni, la privatizzazione della fabbrica della Zastava (già nota Crvena zastava, cioè “Bandiera rossa”) nella città serba di Kragujevac, da parte della multinazionale Fiat, è stata presentata come una delle storie di successo del restauro capitalistico . Tale privatizzazione è stata presentata come una mossa da maestro e una grande opportunità per la Serbia di riavviare il proprio settore automobilistico e di iniziare ad esportare veicoli a motore. Un successivo accordo di libero scambio con la Russia avrebbe significato che le automobili realizzate in Serbia avrebbero inondato molto rapidamente il mercato russo, aumentando drasticamente il PIL del nostro Paese, nonché il livello di vita dei lavoratori Fiat di Kragujevac e di molte altre aziende dell’indottp. Secondo i politici borghesi e la stampa di allora, l’accordo con Fiat rappresentava a dir poco la salvezza per una delle tante città morenti della Serbia.
Durante le fasi calde della campagna elettorale del 2008, la Fiat ha immediatamente mostrato interesse per l’acquisto della fabbrica Zastava, promettendo 10.000 posti di lavoro e una produzione annuale di 300.000 veicoli, secondo Zoran Mihajlović, che a quel tempo era segretario del sindacato dei lavoratori di Zastava. Tuttavia, l’esperienza successiva si è dimostrata molto diversa dalle loro promesse. Il loro maggior contributo al paese è stata la vittoria elettorale del presidente Boris Tadić. Quanto ai posti di lavoro, non sono stati neanche metà di quelli promessi inizialmente. Naturalmente, la televisione nazionale ha propagandato in modo orwelliano i circa 4.750 nuovi posti di lavoro promessi dalla Fiat. Il “memorandum di investimento congiunto”, firmato dal governo serbo e dalla Fiat, tuttavia, faceva riferimento solo a 2.433 lavoratori, meno di un quarto della promessa iniziale [1] e meno di un quarto di quanti erano impiegati presso la vecchia impresa, autogestita, poi di proprietà statale. Zastava era un gigante industriale, orgoglio dell’industria jugoslava nella produzione locale di automobili, nonché di armamenti di prima qualità. La loro collaborazione con Fiat risale ai tempi di Tito, quando era impostata su condizioni di relativa parità, che permetteva che la maggior parte del plusvalore tornasse agli operai e alla società in generale.
Per quei 2,433 lavoratori “fortunati”, la sicurezza sociale sarebbe stata pagata non dalla società Fiat, ma dal governo serbo. Inoltre, Fiat è stata esonerata dal pagamento dell’imposta sul reddito per dieci anni, a partire dal primo anno in cui hanno fatto profitti imponibili, nonché dall’imposta sul patrimonio immobiliare, sulla tassazione per l’attuazione dei requisiti di pianificazione urbanistica e altri. Il modo in cui ha funzionato questa esenzione fiscale è che Fiat ha fornito una relazione sui contributi da versare al governo serbo e ha ricevuto rimborsi in base a tale relazione. Non solo il governo ha esonerato Fiat dal pagamento di numerose imposte, ma si è anche scoperto che hanno elargito a Fiat una sovvenzione di 10.000 euro per ogni lavoratore assunto [2]. Ciò non significa che tali fondi siano stati effettivamente utilizzati per creare nuovi posti di lavoro. Secondo Slobodan Ilić, ex segretario di Stato presso il Ministero delle Finanze, durante il governo del primo ministro Mirko Cvetković, tali sovvenzioni sono state utilizzate per finanziare uno sconto per 48.000 automobili vendute. Secondo Bogdan Petrović, Consigliere per gli investimenti stranieri al Ministro dell’Economia (2005-2007), lo Stato serbo ha investito oltre 400 milioni di euro nella società Fiat Automobiles Serbia. In confronto, il capitale totale da investire nella produzione sarebbe stato di 709 milioni di euro, con la Serbia ufficialmente tenuta ad investirne un terzo.
In sostanza, il governo serbo ha continuato a finanziare Fiat come se fosse un’impresa di proprietà statale, mentre i profitti ottenuti sarebbero destinati ai cosiddetti “investitori”. Tale pratica può essere descritta solo come la nazionalizzazione del rischio. I lavoratori serbi lavorano per una società straniera e ricevono salari dal bilancio pubblico, cioè da se stessi come contribuenti! I grandi “investitori” stranieri e nazionali del cosiddetto “tardocapitalismo” si sono rivelati nient’altro che truffatori, anche per i propri standard borghesi. Ma il lettore sarebbe tratto in inganno se avesse concluso che ciò significa che i lavoratori della Serbia lavorano gratuitamente. Non lo fanno. Pagano per lavorare lì. Sotto il sottile strato di investimento nell’industria si trova una politica di investimento in sovvenzioni.
La “Detroit serba”, certo.
Come per tutto il resto dei Balcani, c’è un elemento di umorismo nero nel pomposo soprannome di Kragujevac come la “Detroit serba”. Come la vecchia Detroit, Kragujevac dipende fortemente dall’industria automobilistica. E, come Detroit oggi, viene anche dissanguata dagli attacchi congiunti del governo e del settore privato. I salari disgraziatamente bassi dei lavoratori Fiat-Chrysler e le sovvenzioni oscene alle società del governo hanno portato la città al limite del fallimento. Questo pericolo è molto reale e anche i media mainstream sono costretti ad ammetterlo.
Tuttavia, che cosa ci raccontano questi gentiluomini in merito alle cause della grave situazione economica della città? Cosa propongono come soluzione? Ci dovrebbe essere una qualche imposta, anche minima, per i terreni e le infrastrutture utilizzate dalla FCA? Ci dovrebbe essere una revisione delle sovvenzioni? Dovrebbe la città, almeno, chiedere una sorta di sponsorizzazione dalla società, secondo la logica e le regole del capitalismo?
Sembra di no! Secondo una notizia su una dei principali emittenti pro-opposizione, la TV B92, intitolata “Kragujevac che affronta il fallimento a causa dei suoi cittadini?”, successivamente modificata in “Come la Detroit serba è fallita”, probabilmente a causa dello sdegno popolare, i principali colpevoli non sono altro che gli abitanti di Kragujevac, che non hanno pagato le tasse sulle proprietà immobiliari e che hanno “debiti accumulati”.
Questi gentiluomini non hanno mai osato chiedere quale tipo di “prosperità” vi sia dove la maggioranza della popolazione deve indebitarsi per arrivare alla fine del mese. La “Detroit serba” ha rivelato la ipocrisia del modo di produzione capitalista ancora più rapidamente della vera Detroit. A differenza del suo soprannome non ha mai avuto la possibilità di sperimentare un’ “età dell’oro” del riformismo. Si potrebbe anche arrivare a dire che sia una Flint serba, Michigan, dipinta per somigliare a Detroit.
Inoltre, poiché i colpevoli principali sono apparentemente quelli che guadagnano meno soldi e pagano le tasse più alte, sta diventando sempre più chiaro che la soluzione proposta da tutti i partiti del Parlamento serbo è una continua espropriazione della classe operaia. L’invito rivolto a tutti loro di “pagare le tasse”, quando è evidente che non saranno mai in grado di pagare tutto quello che dovevano, non è nient’altro che una richiesta per il pignoramento delle loro case e la confisca delle loro misere proprietà. È un’altra richiesta per ulteriori espropriazioni dei lavoratori da parte della borghesia. L’arrivo degli “investitori stranieri” in Serbia non è solo motivato dal desiderio di sfruttare il lavoro a basso costo. Non si tratta solo di estrarre tutto il plusvalore possibile e di pagare i lavoratori il minimo possibile. Va ben oltre questo. I capitalisti sono qui per derubare i lavoratori, per saccheggiare non solo gli stabilimenti e le risorse industriali, ma ogni singolo pezzo di proprietà dei lavoratori sul quale possono mettere le mani. Quando le sovvenzioni statali saranno finite, inizieranno a saccheggiare le case e i conti privati. Si sta già verificando con l’aumento dei pignoramenti.
“Non vogliamo essere manodopera a basso costo”
Non c’è da meravigliarsi quindi che i lavoratori della fabbrica della FCA si siano resi conto di tutto ciò e abbiano cominciato a combattere contro questo saccheggio rifiutando il ruolo loro assegnato come lavoro “sottopagato”. Anche se può sembrare una dichiarazione di buon senso, qualcosa che va da sé, le rivendicazioni contro la manodopera a basso costo presentati dal comitato di sciopero dei lavoratori FCA a Kragujevac ha implicazioni molto più radicali nel contesto della Serbia e del resto dell’Europa orientale. È una sfida chiara all’ideologia dominante, che è stato imposta loro per quasi due decenni.
Il canto delle lodi della manodopera altamente qualificata ma a basso costo della Serbia è stata la pietra angolare dell’ideologia “neoliberista” dopo il rovesciamento “democratico” di Milošević da parte dell’opposizione di destra nel 2000. Il basso costo del nostro lavoro, unitamente all’alto plusvalore realizzato dai datori di lavoro, è stato elogiato come “il nostro vantaggio competitivo” sul mercato globale da parte di ogni singolo governo, in particolare dalle manciate di “esperti” servi del Fondo monetario internazionale che hanno esercitato le stesse funzioni ministeriali per più di un decennio, indipendentemente da quale partito avesse la maggioranza in Parlamento. È risultato evidente che la manodopera e i sussidi statali sono stati progettati per diventare la nostra principale merce di esportazione. Questo stato coloniale, impostoci dopo dieci anni di sanzioni internazionali e di campagna di bombardamento, che ha lasciato milioni di persone all’orlo della miseria, è stato presentata come l’ancora della salvezza, “La migliore opportunità per noi” per elevarci sopra lo stato di indigenza e condividere poco a poco le ricchezze dei nuovi padroni coloniali. Ogni forma di resistenza a questa ideologia e alle politiche e alle relazioni che giustificava fu screditata all’unisono come “populismo”, “demagogia” e rifiuto di stare al passo con i tempi. La restaurazione del capitalismo, chiamato “la transizione”, non era per i deboli e per i perdenti, ci è stato detto.
Naturalmente, la maggior parte delle persone non ha mai considerato tali concetti accettabili, ma si trattava di un segreto di Pulcinella – qualcosa di cui parlare nei caffè, dopo qualche bicchiere di birra o rakia (la grappa nell’ex-Jugoslavia, ndt) e qualcosa da dimenticare timidamente una volta tornati alla “vita reale” al lavoro – certamente non qualcosa da articolare in una posizione pubblica. Sono stati i giovani nelle organizzazioni della sinistra radicale i primi a manifestare il rifiuto ad essere super sfruttati e per anni ciò era limitato all’interno di un circolo piuttosto ristretto di studenti, giovani operai e attivisti più anziani, la maggior parte dei quali aveva perso le battaglie contro la chiusura delle loro aziende.
Tuttavia, con il deterioramento delle condizioni di vita e la crescente insoddisfazione, che ha trovato la sua espressione politica nelle proteste anti-Vučić nell’aprile di quest’anno. L’opposizione liberale ha indetto proteste contro l’elezione dell’ex Primo Ministro, ora Presidente Aleksandar Vučić, citando irregolarità elettorali, estorsione di voti e furti, sperando di trarne vantaggio e aumentare il sostegno politico. Tuttavia, nelle manifestazioni più massicce, l’opposizione era stata completamente relegata ai margini e le masse hanno usato l’elezione come scusa per esprimere le crescenti frustrazioni sociali e la resistenza agli attacchi allo stato sociale e ai diritti dei lavoratori. In assenza di una leadership organizzata e con il rifiuto espresso ai partiti di opposizione liberali e di destra, le masse hanno adottato gli slogan presentati congiuntamente da diversi gruppi della sinistra radicale, tra cui la sezione jugoslava della TMI, l’organizzazione marxista “Crveni” (“Rossa“). La ragione di un successo così sproporzionato degli slogan di sinistra (tenendo conto della nostre deboli forze e delle limitate risorse finanziarie) risiede nel semplice fatto che ciò che i nostri slogan entravano in sintonia con la gente e con le loro rimostranze. Uno di questi slogan, visto su molti striscioni a Belgrado e a Novi Sad, era precisamente “Non vogliamo essere manodopera a basso costo”.
Dopo che le proteste sono entrate in un riflusso, le idee portate avanti dalle organizzazioni di sinistra continuano a sedimentarsi nella mente delle persone, per riemergere come uno dei principali slogan di uno dei più grandi scioperi industriali dell’ultimo decennio. In questo contesto, questo slogan è una chiara (anche se forse non completamente conscio?) allusione alla sinistra e alla protesta di aprile nonchè un segno dei tempi. Lo slogan e le richieste potrebbero sembrare semplicemente economiche, ma solo un paio di anni fa anche il “semplice economismo” era completamente sconosciuto. Possiamo solo immaginare quali potranno essere gli slogan tra un paio d’anni nelle piazze.
Senza un partito politico socialdemocratico di destra che possa trarne vantaggio, senza alcun sostegno da parte dei principali media, con i lavoratori che si trovano ad affrontare una ostilità gelida e netta da parte del governo e dell’opposizione, è evidente che l’ambiente dietro a slogan apparentemente moderati stia diventando sempre più radicale e che le coordinate per la guerra di classe vengono tracciate più chiaramente mese dopo mese. È solo una questione di tempo prima che le idee si cristallizzino e le richieste diventino politiche e, sì, rivoluzionarie. La pentola a pressione ha perduto la sua proverbiale valvola, il sistema capitalistico stesso lo ha intasato. È giunto il momento di accendere il fuoco.