La lotta contro l’oppressione di genere e le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale ha assunto negli ultimi anni un carattere di massa in molti paesi. Delle vere e proprie esplosioni di rabbia e ribellione, covate per anni o decenni, contro l’esasperante ingerenza di un sistema che mentre ti costringe a lottare ogni giorno per far quadrare i conti a fine mese, si arroga il diritto di dirti cosa puoi o non puoi fare nella tua vita privata: con chi puoi avere o no una relazione affettiva o sessuale, se sei autorizzato a crescere un figlio o no, e, se ti discosti dal canone della cosiddetta “famiglia tradizionale”, ti vuole costringere in un ghetto sociale e legislativo.
Nella loro istanza di liberazione e per il loro carattere di massa, queste esplosioni hanno un’intrinseca potenzialità rivoluzionaria. Dall’altro lato, però, c’è una cosciente azione volta ad imbrigliarle in una concezione esclusivamente culturale e limitarne gli obiettivi ad alcune concessioni compatibili col normale funzionamento (oppressivo) del capitalismo. Esiste poi uno spazio per teorizzazioni apparentemente radicali ma che nei fatti deviano la lotta del movimento lgbt su un piano idealista ed esistenzialista che conduce ad un vicolo cieco nel momento in cui si tratta di agire sulla realtà materiale.
Perché possa vincere, è di vitale importanza che il movimento lgbt si doti di un punto di vista di classe, legando la lotta contro l’oppressione omofoba e per i pieni diritti civili a quella generale per una vita dignitosa e libera dall’oppressione economica e sociale. È altrettanto importante che il movimento operaio faccia propria la battaglia lgbt, superando una separazione che pure storicamente è esistita, soprattutto per responsabilità delle direzioni riformiste e staliniste della sinistra.
Come rivoluzionari, perseguiamo questo obiettivo nella militanza e proponiamo questo contributo come base di discussione teorica.
Discriminazione e omofobia oggi
Ancora oggi l’omosessualità, o comportamenti legati ad essa, è ufficialmente illegale in 72 Stati, con pene che vanno dal mese ai 15 anni di prigione, all’ergastolo, fino alla pena di morte (applicata in 8 stati). In Stati come l’Arabia Saudita la pena di morte è eseguita per lapidazione, in altri sono inflitte pene corporali come le frustate. Solo in 23 stati è riconosciuto il matrimonio fra persone dello stesso sesso, e in altri 27 sono riconosciute forme di unione non matrimoniale1.
Ma anche dove esistono forme di tutela legale, la discriminazione ufficiale ha molte altre facce. Negli Usa, ad esempio, esistono in diversi Stati “leggi contro la promozione dell’omosessualità” che limitano specifici comportamenti, o che orientano la morale sessuale insegnata a scuola e nelle istituzioni pubbliche. La cosa non suona così distante da noi se pensiamo alle crociate della destra e dell’area cattolica contro la cosiddetta “teoria gender” nelle scuole italiane. Questi personaggi sono gli ispiratori politici dei gruppi di estrema destra che si prendono la responsabilità di passare alla via dei fatti, portando avanti vere e proprie azioni squadristiche contro gli omosessuali (o contro immigrati o ancora attivisti di sinistra...). Non è un caso se in Italia giace abbandonata da tre anni nei cassetti delle commissioni parlamentari una legge che dovrebbe introdurre il reato di istigazione all’odio e violenza omofobica e l’aggravante di omofobia. Si tratterebbe di una misura non certo risolutiva ma che garantirebbe comunque una maggior tutela. E’ chiaro che il decreto Minniti per espellere gli immigrati che sopravvivono ai barconi aveva la precedenza.
Esiste poi la discriminazione di tutti i giorni nelle scuole, nei posti di lavoro, nella ricerca di una casa in affitto e la pressione ideologica e sociale costante che si abbatte sulle persone lgbt. Secondo dati Istat del 2011, solo un quarto dei lavoratori omosessuali dichiara il proprio orientamento sessuale per paura di mobbing o licenziamento, soprattutto nei contesti di provincia. Secondo un sondaggio dell’Unione Europea, il 68% delle persone in UE ritiene che ci siano discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale. Secondo un altro sondaggio, in Italia, solo il 6% dei ragazzi lgbt nell’ambiente scolastico è aperto con tutti rispetto al proprio orientamento sessuale, mentre il 39% è aperto solo con alcuni: un dato che si colloca per altro in linea con la media dei paesi Ue. Il fatto che il 94% dei ragazzi lgbt preferisca celare del tutto o in parte il proprio orientamento sessuale, parla da sé sul disagio individuale che la discriminazione sociale crea. Una pressione che non si ferma sulle porte di casa e che, anzi, spesso vede nella famiglia il primo luogo di mancata accettazione, fino ad arrivare a violenze di ogni genere: segregazione in casa, pestaggi, stupri correttivi. Non è raro trovare la notizia di un ragazzo “suicida perché gay”: ultimo stadio di una sofferenza psicologica generata a livello sociale e familiare.
Quale famiglia tradizionale?
La base di tutte le campagne omofobe è l’argomento secondo cui l’omosessualità sarebbe “contro natura”. Questa linea di pensiero ha le sue manifestazioni più becere nel fondamentalismo religioso ma è stata lungamente riconosciuta anche in campo scientifico – a riprova del condizionamento della scienza da parte dell’ideologia dominante. Nella psicologia a lungo l’omosessualità è stata qualificata come uno stato patologico dalla maggioranza della comunità scientifica, o almeno come una condizione non fisiologica anche dai suoi elementi più avanzati. È il caso di Freud, che pur senza incoraggiare alcuna discriminazione, la qualifica come un arresto dello sviluppo sessuale; persino Wilhelm Reich, altrimenti sostenitore di una liberazione sessuale e con una visione materialista e rivoluzionaria (fino a un certo punto della sua vita), definisce l’omosessualità come “la conseguenza di un disturbo assai precoce nello sviluppo della funzione amorosa e sessuale”. Solo nel 1973 l’Associazione psichiatrica americana (Apa) cominciò a non considerare più l’omosessualità patologica, fino al 1986 in cui scartò definitivamente la categoria di “omosessualità egodistonica” (una supposta forma di omosessualità patologica vissuta come causa di stress, a differenza della fisiologica omosessualità egosintonica), riconoscendo che lo stress psicologico deriva solo dalle pressioni sociali che si scaricano su gay e lesbiche. Quattro anni più tardi, il 17 maggio 1990, l’omosessualità veniva definitivamente tolta dall’elenco delle malattie mentali dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
La naturalità di orientamenti e comportamenti sessuali non eterosessuali è dimostrata semplicemente dalla loro presenza costante nella società umana, nei contesti più distanti storicamente o geograficamente, come ampiamente documentato dall’antropologia, dalla storia, dalla letteratura2. È documentata l’esistenza fra gli indiani d’America del cosiddetto “popolo dei due spiriti”: uomini che si vestono e comportano da donna e viceversa, spesso coinvolti in mansioni sacre. È risaputo come a Tebe, nel IV secolo a.C., fu creato un battaglione sacro composto da 150 coppie maschili di soldati, la cui invincibilità in battaglia si basava sul fatto che per proteggere il proprio amato e non sfigurare davanti ai suoi occhi, ogni soldato avrebbe gettato tutte le proprie energie nello scontro. Altrettanto noto è che ad Atene e Roma erano socialmente e legalmente riconosciuti rapporti omosessuali (maschili). È sbagliato però pensare che ci fosse una piena libertà nei rapporti sessuali, come talvolta avviene in alcune letture superficiali o che cercano una “età dell’oro dell’omosessualità” prima della moderna repressione.
Ad Atene il rapporto omosessuale maschile socialmente regolato in età pre-cittadina e all’inizio della polis era un rapporto pederastico fra un cittadino libero adulto (sopra i 25 anni circa) e un adolescente libero (fra i 12 e i 17 anni circa), che aveva come fine l’educazione del giovane verso l’età adulta e lo status di cittadino; il rapporto sessuale era una parte di questo rapporto educativo (ereditato da una più antica procedura iniziatica all’età adulta), in cui i ruoli erano rigidamente fissati: l’adulto attivo corteggiatore, il giovane passivo e retrivo corteggiato, che si abbandona solo davanti alla prova della serietà delle intenzioni del corteggiatore. Questo rapporto andava avanti fino all’età adulta del giovane, che poi avrebbe dovuto attraversare un periodo di astinenza e quindi impersonare un’altro ruolo fino al matrimonio. Nessun rapporto era ammesso con gli schiavi (non avrebbe infatti avuto alcuno scopo educativo, non essendo questi ultimi destinati a diventare cittadini), né (in teoria) fra adulti. Questi rapporti erano comuni a tutti prima del matrimonio, e continuavano solo in alcuni casi dopo il matrimonio. Le donne poi erano segregate in casa ed espulse dalla vita sociale, e i rapporti omosessuali femminili erano visti come disdicevoli seppure esistevano, in particolare nelle scuole di formazione delle giovani (Saffo era una educatrice) prima della segregazione domestica. Col passare dei secoli, poi, una diffusione dei rapporti omosessuali maschili e un indebolimento della divisione dei ruoli provocò una certa condanna sociale.
A Roma, viceversa, la sessualità era prova di dominazione virile, pertanto non era ammissibile che un cittadino libero assumesse ruolo passivo, neanche in giovane età. I rapporti omosessuali maschili erano del tutto leciti se ad essere sottomesso era uno schiavo o un prostituto; la lex Scatinia (III o II sec a.C) vietava di molestare sessualmente i giovani liberi maschi e di assumere ruolo passivo con maschi adulti, prevedendo una pena pecuniaria. Progressivamente, in età imperiale e con il processo di ellenizzazione, si diffonde un rapporto analogo alla pederastia greca, e con una progressiva deregolamentazione si diffondono comportamenti sessuali passivi anche con liberi, schiavi e prostituti, a partire da figure di primo piano come Cesare e Augusto. Sarà poi a partire dal IV secolo d.C. che si limiterà per legge il rapporto omosessuale con la castrazione per i passivi (342 d.C.), la pena di morte per vivicombustione per i prostituti passivi (390 d.C.), la pena di morte per tutti i passivi (438 d.C.) e infine per tutti gli omosessuali (533 d.C.).
In questa repressione dell’omosessualità giocò un ruolo decisivo l’affermazione del cristianesimo, che per la prima volta qualifica il rapporto omosessuale come “contro natura”; una posizione che poi si manterrà nella morale religiosa fino ai giorni nostri. Si trattava di una novità assoluta, dal momento che prima di allora anche gli oppositori dei rapporti omosessuali non li condannavano per essere contro natura, ma volevano perlopiù rafforzare il ruolo e la stabilità della famiglia nella società, spesso argomentando con la necessità di un incremento demografico. È infatti Giustiniano il primo a parlare di punizione divina contro gli omosessuali. Questa repressione dell’omosessualità va di pari passo con la morale dell’astinenza cristiana, per cui il rapporto sessuale è lecito solo se finalizzato alla procreazione, e dunque vanno repressi anche i rapporti incontrollati e adulteri (precedentemente accettati socialmente, ovviamente solo da parte maschile)3.
Da questi pochi cenni possiamo trarre alcune considerazioni: la prima è che comportamenti e affetti omosessuali e bisessuali sono sempre esistiti, come emerge dalle prassi sociali ma soprattutto dalla persistenza delle limitazioni ai rapporti omosessuali non regolamentati (es fra cittadini adulti o fra donne, sia in Grecia sia a Roma), cioè quelli più vicini a un amore omosessuale come può essere inteso in termini moderni, che si sono sempre riproposti nella storia. In seconda battuta osserviamo che in epoche diverse sono esistite regole sociali diverse in merito alla sessualità, a riprova che non esiste nulla come una “famiglia tradizionale”, men che meno una famiglia tradizionale monogamica con vincolo di fedeltà reciproco, come viene dipinta oggi; modello che si afferma solo col cristianesimo e, peraltro, solo come ideale. Ben diversa resta la realtà sociale, fra adulteri e prostituzione a disposizione degli uomini, e che in ogni caso subisce infinite trasformazioni e tutt’oggi esiste in diverse forme a seconda del contesto sociale ed economico in cui è inserita (basti pensare alla differenza fra la famiglia allargata contadina rispetto a quella mononucleare operaia o impiegatizia urbana). Infine, per terzo, vediamo come queste regole non fossero però in nessun caso una affermazione di libertà affettiva e sessuale: tanto per cominciare erano totalmente esclusi gli schiavi e le donne; erano poi solo alcuni i comportamenti leciti, mentre altri erano vietati e, almeno nel caso greco, il rapporto di pederastia era un istituto sociale che non teneva conto dell’effettivo orientamento sessuale del cittadino e del giovane, che poteva viverlo anche con disagio. In definitiva, quindi, erano forme diverse di regolamentazione della vita affettiva, familiare e sessuale, comprensiva di repressione in caso si violassero i comportamenti leciti, in cui il lecito era legato ai diversi tipi di società.
Anche alla luce di queste considerazioni possiamo affermare, in termini generali, che la repressione verso comportamenti sessuali non eterosessuali (omosessuali, bisessuali) si sviluppa nella storia dell’umanità con intensità e limitazioni diverse, parallelamente alla repressione e regolamentazione dei comportamenti sessuali in genere, al fine di stabilizzare i rapporti familiari, in particolare dalla nascita e rafforzamento della famiglia monogamica.
Come spiegava Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato e come è stato confermato nelle linee fondamentali da diversi studi antropologici più recenti, la famiglia non è un istituto statico e da sempre esistente nella storia umana. Mentre nello stadio della caccia e raccolta la gestione dell’economia, degli alimenti, degli utensili e l’allevamento dei figli era svolto a livello comunitario, la donna aveva un ruolo di primo piano e la società si basava su linee matrilineari; fu con la rivoluzione dell’allevamento e dell’agricoltura e con l’accumulazione di mezzi di produzione nelle mani dell’uomo che ebbe origine – insieme alla società di classe – l’oppressione femminile, e nacque il matrimonio monogamico come punto centrale dei nuovi assetti familiari, con il primario scopo di garantire la certezza della paternità nella trasmissione ereditaria. Qui nasce il senso proprietario nei confronti della moglie e dei figli che ancora oggi tanto è diffuso e tanto incide su miliardi di esistenze individuali.
In questo assetto l’oppressione della donna, la sua emarginazione dalla società e la repressione dei suoi comportamenti sessuali al fine di renderla solo uno strumento di riproduzione (oltre che di cura della casa e accudimento della prole), sono strutturali e si sono mantenuti nella storia, pur in un’evoluzione di diversi tipi familiari e sociali. L’atteggiamento verso i comportamenti sessuali che esulano dalla riproduzione all’interno della famiglia monogamica, invece, dipende da quanto essi siano visti come pericolosi per l’istituto familiare stesso. L’amore omosessuale, fra questi, ha vissuto livelli diversi di repressione in momenti diversi della storia (ne abbiamo citati solo una piccola minoranza). Possiamo però affermare che fintantoché la famiglia monogamica sarà considerata il mattone fondamentale della società e l’unico modello a cui disciplinare il comportamento affettivo e sessuale, non sarà possibile superare la discriminazione sociale basata sull’orientamento sessuale.
Lotta di classe ed emancipazione omosessuale
La lotta contro la discriminazione riguardo l’orientamento sessuale è quindi connessa con quella contro la società di classe in genere per più ragioni. La prima, che abbiamo spiegato, è che solo l’abolizione della società di classe può creare le basi economiche materiali e la spinta culturale sufficienti a scardinare il modello della famiglia monogamica uomo-donna come unico mattone elementare della società. Garantendo a livello sociale tutte le mansioni che oggi vengono lasciate all’incombenza dell’ambito familiare, e perlopiù della donna (cucina, pulizia, allevamento dei figli) e permettendo un libero sviluppo degli individui con l’accesso alle migliori risorse materiali e culturali della società, sarà possibile un processo in cui progressivamente i legami interpersonali e familiari siano slegati dalle necessità materiali e siano legati solo alle volontà affettive e sessuali, facendo saltare per aria tutti i precetti e discriminazioni oggi esistenti.
La seconda ragione è che la stragrande maggioranza delle persone lgbt sono lavoratori, giovani, precari, disoccupati che vivono una duplice oppressione: quella di classe, sul posto di lavoro e nelle condizioni di vita (o di sopravvivenza) quotidiana, e quella per la propria identità o orientamento sessuale. Unire le forze per lottare contro queste due oppressioni è quindi quanto di più semplice possa esserci, a maggior ragione dato che il nemico è comune; non va dimenticato, inoltre, che i pregiudizi omofobi vengono alimentati anche per dividere i lavoratori: ad esempio per far percepire ai lavoratori eterosessuali che sono, sì, oppressi, ma comunque superiori a quelli omosessuali (bella soddisfazione!), né più né meno di come vengono coltivati i pregiudizi razzisti. Il ruolo che svolge la destra in questa operazione è evidente.
Chi dice che si debbano separare i due fronti di lotta fa quindi il gioco del nemico. E spesso nel movimento lgbt a dirlo è qualche facoltoso soggetto che non vive nessuno dei problemi materiali di qualunque lavoratore o giovane lgbt, e nei fatti piega il movimento ad una pacata richiesta di integrare qualche diritto in più al governo di turno, senza fare troppo rumore e spesso senza ottenere niente. È la storia, ad esempio, dei movimenti omofili degli anni ’50 (sia a livello internazionale, sia italiano), che furono poi contestati duramenti dai movimenti di liberazione omosessuali degli anni ’60-’70, che si svilupparono infatti su linee rivoluzionarie, nell’ondata di lotta di classe di quegli anni.
Va detto che, d’altra parte, una responsabilità forte della cesura fra il movimento lgbt e il movimento operaio lungo la seconda metà del ‘900 sta in capo alle direzioni dei partiti comunisti, che sulla base della degenerazione stalinista, assunsero posizioni apertamente omofobe e che solo col tempo sfumarono, ma solo per approdare poi, perlopiù, ad una visione riformista della lotta per i diritti civili, esattamente come riformista era il loro programma politico.
Pur tuttavia non sempre è stato così. Se nell’elaborazione di Marx ed Engels la questione omosessuale è del tutto assente, ci sono però diverse prese di posizione di dirigenti della socialdemocrazia tedesca che si oppongono a qualsiasi discriminazione per gli omosessuali e alla penalizzazione dell’omosessualità nella legge tedesca.Non a caso, quando Magnus Hirschfeld lanciò il Comitato scientifico-umanitario alla fine dell’800 in Germania, per promuovere l’abolizione del paragrafo 175 del codice penale tedesco che rendeva illegale l’omosessualità, la sua petizione, discussa in parlamento nel 1898, ricevette in tutto l’arco parlamentare solo il sostegno di una minoranza della Spd. Il lavoro di Hirschfeld proseguì con il lancio dell’Istituto per la ricerca sessuale e, successivamente, organizzando il Primo congresso per la riforma sessuale nel 1921 (con partecipazione anche di un delegato sovietico). Il lavoro di Hirschfeld segnò il primo grande sforzo in epoca moderna per la depenalizzazione dell’omosessualità, basato sul dibattito scientifico. Peraltro lo stesso Hirschfeld considerava l’omosessualità uno stato patologico, o quantomeno non fisiologico, che però non aveva ragione di essere penalizzato. L’articolo 175 non fu abrogato e la vittoria del nazismo contro il movimento operaio tedesco aprì una stagione di nera reazione che travolse anche gli omosessuali. L’Istituto per la ricerca sessuale fu fra i primi edifici ad essere saccheggiati dalla gioventù nazista il 6 maggio 1933, che bruciò in piazza tutto il materiale trovato nella biblioteca. I nazisti aggravarono le pene previste dal paragrafo 175: questo portò all’arresto di 100mila gay, a 60mila condanne a pene detentive, internamenti in ospedali psichiatrici, sterilizzazioni forzate. Gli omosessuali furono fra gli obiettivi dei campi di concentramento e sterminio, insieme agli ebrei e agli oppositori politici socialisti e comunisti.
La condizione omosessuale dopo la rivoluzione d’ottobre
La rivoluzione bolscevica del 1917, in cui i lavoratori presero il potere nelle proprie mani per la prima volta nella storia (a parte la breve parentesi della Comune di Parigi nel 1871), cambiò la vita di milioni di persone non solo dal punto di vista politico ed economico, ma anche familiare. Il governo sovietico parificò immediatamente i diritti della donna a quelli dell’uomo, legalizzò il divorzio, l’aborto e aprì un’intensa politica di servizi sociali per offrire la base economica della liberazione dall’obbligo familiare: asili nido, mense pubbliche, lavanderie, ambulatori, cinema, teatri, ecc. Contestualmente, con l’abolizione del codice penale zarista, aboliva anche le pene per gli omosessuali (che sotto lo zar incorrevano in severe pene detentive).
La posizione del partito bolscevico era che i comportamenti sessuali appartenevano alla sfera privata e quindi non dovevano essere sanzionati o regolamentati, purché non arrecassero danno ad altri (in caso ad esempio di violenze). Nel dibattito scientifico russo l’omosessualità era vista ancora come una malattia – come in tutti gli altri paesi – ma a questa considerazione non seguiva alcuna discriminazione. Fra le dimostrazioni concrete dell’atteggiamento del governo sovietico verso la questione, si segnalano la partecipazione di un delegato sovietico al Congresso per la riforma sessuale di Hirschfeld e la nomina di Georgij Chicerin, omosessuale dichiarato, a Commissario per gli Affari Esteri, nel 1918. Una situazione che, nel contesto dell’epoca, non aveva eguali al mondo.
La famiglia si disgregava sotto le sollecitazioni sociali: uomini e donne erano chiamati a partecipare alla vita sociale, i giovani erano, almeno in parte, sottratti all’autorità familiare e cercavano, in particolare nei collettivi giovanili, un nuovo spazio di socialità (e di relazioni affettive e sessuali)4. Tuttavia, assai presto, lo squarcio che la rivoluzione aveva aperto anche in campo familiare e sessuale, si dovette scontrare con l’isolamento e le difficoltà economiche in cui versava la rivoluzione stessa. Non c’erano sufficienti risorse per offrire un’alternativa: spesso i servizi erano di qualità così bassa che c’era un ritorno al focolare domestico per necessità. Parallelamente si avviava la deformazione burocratica che – rompendo con l’impostazione di Lenin e Trotskij e della rivoluzione d’ottobre – avrebbe portato allo stalinismo.
Questo fenomeno ebbe un duplice aspetto. Da un lato, in assenza di basi materiali che offrissero la possibilità di sviluppare relazioni familiari e affettive su un piano più avanzato e sociale, ritrovò forza la concezione tradizionale, che già di per sé avrebbe avuto bisogno di decenni per essere pienamente superata. Dall’altro, il regime stalinista vide nella famiglia e in un parziale ritorno alla morale tradizionale un elemento di stabilità del regime stesso e in particolare uno strumento di rafforzamento del principio di autorità (a partire dal capofamiglia e dal disciplinamento della gioventù), e quindi lo alimentò.
Scrive Troskij ne La Rivoluzione Tradita: “La riabilitazione solenne della famiglia, che ha luogo – coincidenza provvidenziale – nello stesso momento di quella del rublo, è la conseguenza dell’insufficienza materiale e culturale dello Stato. Invece di dire 'siamo troppo poveri e troppo incolti per stabilire relazioni socialiste tra gli uomini, lo faranno i nostri figli e i nostri pronipoti', i capi del regime incollano i cocci rotti della famiglia e impongono, con la minaccia dei peggiori rigori, il dogma della famiglia, fondamento sacrosanto del socialismo trionfante. È penoso constatare l’ampiezza di questa ritirata”.
Questo processo cambiò anche l’atteggiamento sull’omosessualità. Anziché appoggiarsi sui settori proletari cittadini che più spontaneamente avevano superato i pregiudizi contro gli omosessuali, il regime si appoggiava sui settori piccolo-borghesi o sulle zone arretrate più orientali che li avevano mantenuti (ancora nel 1925 nel Turchestan era stato adottato un paragrafo aggiuntivo al Codice legislativo dell’Unione Sovietica che prevedeva pene per gli omosessuali). Così nel 1933-34 viene ripristinato il divieto di avere rapporti omosessuali maschili, con pene detentive. Nel 1935 il divorzio fu fortemente limitato, si abolì il riconoscimento delle libere unioni e nel 1936 fu reso nuovamente illegale l’aborto. Se, per usare le parole di Trotskij, “il dogma della famiglia” era diventato “fondamento sacrosanto del socialismo trionfante”, l’omosessualità, minaccia alla famiglia, era diventata un vizio della decadenza borghese. Questa posizione omofoba avrebbe poi contagiato a lungo i partiti comunisti (stalinisti) a livello internazionale, pregiudicando quello che avrebbe dovuto essere un fisiologico sviluppo del movimento omosessuale: la saldatura con il movimento rivoluzionario.
Da Stonewall al riflusso
Dopo la seconda guerra mondiale, in un periodo di generale riflusso delle lotte, nel movimento svolsero un ruolo egemone le associazioni omofile che, come già detto, cercavano una via morbida e dialogante con i governi per ottenere qualche diritto, senza particolare successo. Dopo un periodo di riflusso delle lotte sociali e di indebolimento del movimento omosessuale, esso riemerge (o, per certi versi, emerge per la prima volta) violentemente come movimento di massa nel 1969 a New York nella battaglia di Stonewall dove, nella notte fra il 28 e il 29 giugno, l’ennesima irruzione in un bar gay (lo Stonewall Inn, appunto) da parte della polizia – una pratica intimidatoria di normale amministrazione – incontra per la prima volta una resistenza di massa, che si trasforma in una battaglia di due giorni che coinvolge 1000 persone.
La rivolta di Stonewall fa cambiare faccia e natura al movimento omosessuale che assume un carattere non più legato a circoli ristretti di scienziati o comitati, rompe con l’impostazione della non-normalità dell’omosessualità e, anzi, da qui in poi ne rivendica l’orgoglio, e ha una brusca svolta a sinistra verso posizioni rivoluzionarie, seppur confuse, legandosi all’ascesa della lotta di classe della fine degli anni ’60 e di tutti gli anni ’70. Dopo Stonewall, all’inizio del luglio 1969, è fondato negli Usa il Gay Liberation Front, che assume posizioni anticapitaliste, terzomondiste e di appoggio alla lotta delle Pantere Nere. Organizzazioni analoghe sono fondate in numerosi paesi: il Gay Liberation Front in Gran Bretagna nel 1970, che arriverà a riunire alcune centinaia di attivisti per poi frantumarsi politicamente, il Front Omosexuel d’Action Révolutionnaire (Fhar) in Francia, il Mouvement Omosexuelle D’Action Révolutionnaiere (Mhar) in Belgio.
In Italia nel 1971 nasce il Fuori (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano). Come per gli altri gruppi, i numeri non sono di massa: un centinaio scarso di militanti divisi fra Torino, Milano e Roma (con forti differenze politiche fra le tre città), il giornale è inizialmente un mensile venduto nelle edicole con una tiratura di 8mila copie.
Il 5 aprile 1972, a Sanremo, il Fuori organizza la prima manifestazione pubblica contro il Congresso Internazionale di Sessuologia, che ha all’ordine del giorno una discussione su cause dell’omosessualità e possibili terapie per guarirla. Per dare un’idea del tenore della discussione, fra le ipotesi terapeutiche c’è la somministrazione di leggere scariche elettriche dolorose da associare a immagini di uomini nudi ma non a quelle di donne nude, o la proposta di procedere a asportazione selettiva del tessuto cerebrale. Fuori dal congresso alcune decine di attivisti manifestano con slogan “Normali! Normali!” e cartelli come “Psichiatri, ficcatevi i vostri elettrodi nei vostri cervelli”. In sala interviene Angelo Pezzana, membro del Fuori, che esordisce con la celebre frase “Sono omosessuale e sono felice di esserlo”. La manifestazione segna anche in Italia la svolta rivendicativa del movimento omosessuale e la rottura con le organizzazioni moderate omofile.
È significativa l’apertura ad una prospettiva rivoluzionaria: nel numero zero del giornale il collettivo redazionale si rivolgeva “ai compagni rivoluzionari” (eterosessuali) chiedendo loro “di essere i primi a comprendere la realtà degli omosessuali” giacché “la repressione sessuale è il primo, il più subdolo e grave metodo di asservimento ad un qualunque sistema repressivo”. “Siamo convinti” dicevano quindi i militanti del FUORI, “della necessità di una rivoluzione sessuale parallela e integrata nella rivoluzione politica che è in atto in tutti i paesi”5. Non parliamo di un’organizzazione con un chiaro programma marxista, ma che comunque coglie appieno la potenzialità insita nel legare il movimento gay alla prospettiva rivoluzionaria. Ancora una volta, se ciò non avverrà, è primariamente per le posizioni omofobe delle direzioni del movimento operaio.
Poche settimane dopo la manifestazione di Sanremo, il 1 maggio 1972, il gruppo romano del FUORI, insieme ad altre associazioni, organizza una manifestazione a Campo de’ Fiori, “una festa della gioia, contro il lavoro e per la liberazione sessuale”. A un certo punto arrivano militanti della sinistra extraparlamentare “dichiaratisi poi iscritti a Potere Operaio, che al grido di ‘via i froci da Campo de’ Fiori’ cominciarono a tirare secchiate d’acqua sui manifestanti”6. Per quanto riguarda il Pci, che non aveva mai trattato ufficialmente il tema, nel 1974 pubblicava sul numero 3-4 di Critica marxista una nota di Luciano Gruppi in cui era formulato il seguente pensiero: “Ma proprio il rapporto che noi riteniamo debba essere stabilito tra società e natura ci dice come l’omosessualità spezzi invece tale rapporto, contraddicendo ad un istinto fondamentale di ogni essere vivente: quello della continuità della specie. L’omosessualità impoverisce perciò ed altera profondamente la personalità dell’uomo. Nata sovente dalla solitudine è nella solitudine che essa si conclude”7. Superfluo considerare la serenità con cui potessero militare lavoratori e giovani omosessuali all’interno di quel partito. Solo l’assassinio di Pasolini nel 1975 aprì un dibattito all’interno del partito, che cambiò le posizioni sull’omosessualità alla fine degli anni ’70, subito prima, però, dell’inizio del riflusso e nel quadro di una politica sempre più apertamente riformista.
Così, anziché offrire una prospettiva di lotta politica generale agli attivisti del nuovo movimento omosessuale che potesse anche far superare gli elementi di normale eclettismo politico, questi attivisti furono allontanati dal movimento operaio, e finirono con il prendere strade diverse. Dal punto di vista organizzativo, nel 1974 il Fuori si federò con il Partito Radicale, che in quegli anni portava avanti una propaganda molto spostata a sinistra, abbandonando però in definitiva la prospettiva rivoluzionaria e limitandosi a lottare per i diritti civili in un quadro borghese. Alcuni elementi, fra cui Mario Mieli, ruppero a seguito di questa scelta e si orientarono alla sinistra extraparlamentare, destinata comunque anch’essa, di lì a poco, ad una crisi verticale.
La potenzialità, sfumata, del legame fra movimento lgbt e movimento operaio è stata meritoriamente raffigurata nel 2014 nel film Pride!, che racconta la storia vera di un militante omosessuale della giovanile del Partito comunista della Gran bretagna, Mark Ashton, che al Pride di Londra del 1984 lancia una raccolta di fondi in supporto dello sciopero dei minatori contro la Thatcher, sulla base della solidarietà di classe e dell’opposizione comune al governo reazionario thatcheriano e al sistema capitalista. Arriverà a costruire un gruppo chiamato “Lesbians and gays support the miners” e, vincendo le diffidenze reciproche fra ambiente omosessuale londinese e movimento operaio organizzato, genererà una saldatura che porterà a una ampia mobilitazione in solidarietà ai minatori da parte dell’ambiente gay e lesbico britannico, alla partecipazione di una nutrita delegazione dei minatori al Pride del 1985 e all’inserimento nei programmi sindacali dei diritti degli omosessuali. Sviluppo analogo aveva avuto agli inizi degli anni ’70 la solidarietà lanciata da Harvey Milk e raccolta della comunità gay di San Francisco, al boicottaggio della birra Coors da parte del sindacato dei Teamster.
La grande lotta del 1984, il cui valore di esempio è più che mai valido oggi, si colloca storicamente nell’ultima grande fiammata delle lotte operaie degli anni ’70 e all’inizio di un periodo di profondo riflusso, che fa arretrare pesantemente il movimento operaio, e così anche l’attivismo omosessuale.
In questo contesto di riflusso si assiste ad una disgregazione del movimento di liberazione omosessuale e a un ripiegamento su terreni di assistenza, in particolare sul problema dell’Aids negli anni ’80, di solidarietà contro la violenza omofoba, e di battaglia per ottenere provvedimenti legali contro la discriminazione e successivamente per il riconoscimento dei diritti civili. Da un lato un ritorno all’approccio riformista e conciliatore delle associazioni omofile degli anni ‘50, quindi, ma dall’altro poggiando sugli avanzamenti dalla battaglia degli anni ’70 che ha una volta per tutte affermato la piena naturalità, dignità e orgoglio gay, costringendo la comunità scientifica a prenderne atto negli anni successivi e rompendo la marginalizzazione della battaglia omosessuale nella società. Su queste basi in Italia si sviluppa Arcigay, a partire dai primi circoli dall’inizio degli anni ’80, fino alla strutturazione odierna.
Nuove teorie o vicoli ciechi?
Se il riflusso delle lotte degli anni ’80 e ’90 porta ad una disattivazione o ad un ripiegamento su terreni non di lotta aperta, specularmente si apre un dibattito in ambito accademico, in particolare attorno alla questione dell’identità di genere, che porta ai cosiddetti studi queer, o alla teoria queer. Il termine, che in inglese significa “strano, particolare”, in senso deteriore, è coniato nel 1990. L’anno prima Judith Butler aveva pubblicato uno dei testi alla base delle elaborazioni successive, Gender trouble (Questione di genere).
Anche se queste elaborazioni non sono mai arrivate ad una vera e propria teoria, il punto centrale è la critica del fatto che esistano in natura un’identità di genere e il sesso biologico uomo/donna, che sarebbero piuttosto il prodotto di una società eteronormativa, che crea cioè per norma (e per rapporti di potere) questa divisione binaria, sulla base di un “discorso” eterosessualizzante.Questo è l’ultimo tassello di una catena di pensiero che parte dal separatismo femminista (contro la società patriarcale affermo la donna contro l’uomo), passa dal separatismo lesbico (non affermo più la donna perché essa è definita donna in relazione all’uomo: solo la lesbica in senso politico si ribella al dominio ideologico maschile) e arriva al queer (qualunque identità di genere è frutto della dominazione ideologica patriarcale eterosessuale, quindi le rifiuto tutte).
Ora, per chi non può esprimere liberamente la propria identità di genere o il proprio orientamento sessuale, queste teorizzazioni possono apparire come un rifiuto radicale delle imposizioni sociali e avere un’attrattiva. Il problema è che, se appena si va un po’ più a fondo, si rivelano un vicolo cieco per chiunque cerchi di cambiare davvero la realtà.
Secondo le tesi della Butler l’identità di genere non ha alcuna naturalità, ma si crea “performativamente”, cioè sulla base della ripetizione di atti indicati dai precetti e dal “discorso” sociale8. A sua volta è questa identità di genere prodotta artificialmente che ci dà l’idea che esistano in natura i due sessi maschio/femmina. La tesi è mutuata da Foucault: “Per Foucault il corpo non è ‘sessuato’ in alcun senso significativo prima di essere determinato entro un discorso che lo investe dell’ ‘idea’ di sesso naturale o essenziale. Il corpo acquisisce significato all’interno del discorso solo nel contesto delle relazioni di potere. La sessualità è un’organizzazione storicamente specifica del potere, del discorso, dei corpi e dell’affettività. In questo senso la sessualità è intesa da Foucault come ciò che produce il ‘sesso’ in quanto concetto artificiale che effettivamente estende e maschera le relazioni di potere che sono responsabili della sua genesi”9.
Così maschio e femmina, ma anche eterosessuale, gay, lesbica, bisessuale, sarebbero tutte categorie illusorie frutto di questo meccanismo, perché non esistendo il sesso biologico, non esistono neanche gli orientamenti sessuali.
Questo è un classico esempio di come una parziale verità venga presa, scollegata dalla realtà e resa l’alfa e l’omega di un discorso che non porta a niente. La coscienza di una persona è fortemente influenzata dal contesto sociale in cui si sviluppa, verissimo. Che ragione c’è, a partire da questo assunto, per negare l’esistenza reale del sesso maschile e femminile, con tutte le differenze anatomiche e biologiche del caso10? La cosa ha una certa importanza se dalle ipotesi accademiche si passa, per dire, alle terapie mediche, o alla gravidanza e all’allattamento. Di più, anche se affermo che la coscienza (e dunque il modo in cui percepisco la mia identità di genere) è determinata dalle condizioni sociali in cui vivo, è per questo meno reale? No, rispecchierà le mie condizioni di esistenza reale, sia naturali sia sociali, ed evolverà con l’evoluzione della società.
Ma, soprattutto, alla luce di questa lettura, come posso lottare per una liberazione sessuale? Molto semplicemente non posso. Citando di nuovo la Butler: “Dunque, il potere non può essere né annullato né respinto, lo si può solo rimettere in campo. In effetti, secondo me, la pratica gay e lesbica dovrebbe concentrarsi normativamente sulla rimessa in campo sovversiva e parodica del potere, anziché sulla fantasia impossibile di un suo completo trascendimento”11. Il massimo che posso fare, cioè, è fare una parodia fantasiosa, una caricatura delle identità di genere, per mostrare che non sono entità naturali ma, appunto, un prodotto. Così facendo mostro che il genere non esiste, e posso “far proliferare configurazioni di genere al di fuori delle cornici restrittive del dominio maschilista e dell’eterosessualità obbligatoria” 12. La montagna ha partorito il topolino postmoderno: vedo l’oppressione di genere ma ho abbandonato una visione di classe della società e quindi non vedo più le cause di questa oppressione, elevo allora l’oppressione (o meglio un singolo e particolare aspetto dell’oppressione, il potere eterosessualizzante) a entità metafisica da cui tutto dipende, e non ho la più pallida idea di come rovesciarla; l’unica forma di sovversione che mi resta è cadere in una dimensione soggettivista in cui nego la realtà e dico che ognuno si può inventare la sua, senza cambiare assolutamente nulla fuori dalla mia coscienza.
Non stupisce che la classe dominante non sia così spaventata da queste teorie. Al tempo stesso è evidente che poco e nulla hanno da dare fuori da una cerchia di discussione accademica. Chi ha la bruciante necessità di conquistare sul campo di battaglia della realtà i suoi diritti, è bene che si armi di una teoria e di forme di lotta più contundenti.
Una nota a margine sul concetto di intersezionalità, molto in auge ultimamente in alcuni ambiti di movimento. Esso sta a significare, all’incirca, che nella società esistono diverse forme di oppressione (di genere, razziale, di classe, di orientamento sessuale, ecc ecc), e che esse si intrecciano e sovrappongono trasversalmente. Da qui la trasversalità dei movimenti e possibili coalizioni fra di essi. La stessa Butler segnala che la necessità di indebolire la categoria universale “donna” nasce dalle “critiche da parte di donne le quali sostengono che la categoria ‘donne’ sia normativa ed escludente, e venga invocata senza mettere in discussione le dimensioni non marcate del privilegio di razza e di classe”13. Verissimo! Infatti l’oppressione di genere non è la stessa per la lavoratrice e la borghese, e la lotta di liberazione della donna, quando mette in discussione i privilegi della classe dominante, opera una spaccatura di classe da cui le donne borghesi si sfilano perché devono difendere i loro privilegi materiali di classe, pur restano sottoposte al marito (borghese) nelle mura domestiche. Lo stesso si crea nel movimento lgbt quando si entra nel terreno della lotta economica (casa, lavoro, sanità) che deve sostanziare un diritto civile. Questo ci dice semplicemente che la contraddizione di classe è quella fondamentale nella società, che definisce i campi fondamentali e che solo l’avanzata della lotta di classe fino al rovesciamento del capitalismo può offrire una prospettiva di vittoria ai movimenti contro le diverse forme di oppressione presenti nella società.
Se si perde questa centralità, cosa resta? Un tentativo sempre incompiuto di creare coalizioni fra movimenti diversi (lgbt, razziale, ambientale, ecc ecc), ad assetti ed equilibri variabili, a seconda di quale abbia più o meno forza in quel momento. Nella visione postmoderna questo approccio arriva a ridefinire l’identità dei partecipanti: “Una coalizione aperta, dunque, affermerà identità che sono di volta in volta istituite e abbandonate a seconda degli scopi del momento. Sarà un insieme aperto che permette convergenze e divergenze multiple, senza che si debba obbedire al telos normativo di una chiusura definitoria”. Addirittura la mia identità cambia di volta in volta, a seconda di come è composta o di cosa decide un’assemblea! E’ normale che qualcuno ne esca un po’ confuso...
Non stupisce che queste teorie abbiano avuto uno spazio in un contesto di riflusso della lotta di classe, dove è mancato un punto di riferimento centrale, la classe operaia, che offrisse una reale possibilità di rovesciare il capitalismo e con esso tutte le forme di oppressione che crea o perpetua. L’ascesa della lotta di classe porterà come sempre i suoi effetti chiarificatori anche in campo ideologico.
Diritti civili nella crisi del capitalismo
Dagli anni 2000 in poi abbiamo visto l’approvazione in numerosi stati di leggi contro la discriminazione e per i diritti civili: dai matrimoni gay alle unioni civili. Questi importanti passi avanti sono stati conquistati sulla base di una pressione costante dell’attivismo omosessuale e di un appoggio sempre più ampio nella società, anche fra persone eterosessuali, alla rivendicazione di pari diritti. Oggi la bandiera dei diritti civili è diventata di uso comune non solo a sinistra, ma anche in settori della borghesia e dei loro rappresentanti politici: si celebra la giornata mondiale contro l’omofobia istituita dall’Unione Europea, si approvano risoluzioni all’Onu e così via.
Non possiamo però nutrire alcuna illusione o ambiguità verso questi personaggi. Questi governi “liberali” e questi settori “illuminati” della borghesia sono gli stessi che sostengono le dittature che impiccano o decapitano gay e lesbiche in giro per il mondo. Così il governo Usa, sotto Trump ma anche sotto Obama, foraggia di armi l’Arabia Saudita. Così tutte le maggiori potenze europee, mentre approvano i matrimoni gay, appoggiano il regime di Al-Sisi in Egitto che, fra arresti, uccisioni e torture di oppositori politici, ha lanciato anche una dura repressione contro gli omosessuali. Questa ipocrisia può diventare vera e propria strumentalizzazione quando la difesa dei diritti lgbt diventa un pretesto per politiche imperialiste, come quando ci ricordano che Israele è il paese mediorientale con la legislazione più avanzata sui diritti lgbt: forse questo lo autorizza a massacrare, fra bombe ed embargo, i palestinesi che non si curano affatto dei diritti civili? In Olanda la tutela dei diritti lgbt viene usata dal governo per limitare l’immigrazione “omofoba”, con tanto di test di ingresso alle ambasciate olandesi nel mondo. Se si perde di vista il quadro completo, e soprattutto se si perde un punto di vista di classe, si può molto rapidamente passare dalla parte della reazione, come fanno anche alcune associazioni per i diritti lgbt, preoccupate a guadagnare posizioni di potere e disposte a chiudere più di un occhio su ciò che fanno i governi alleati14.
Dal punto di vista borghese l’apertura sui diritti civili ha un obiettivo economico e uno politico. Dal punto di vista economico le persone lgbt sono semplicemente un settore di mercato, e quindi un profilo aziendale Gay friendly può conquistare clienti. Ikea non ha problemi a mettere una coppia di due uomini nel proprio catalogo, purché abbiano i soldi per comprarsi la cucina. Come non ha problemi a fare una pubblicità con due genitori separati, purché abbiano i soldi per comprarsi due camerette per il bambino, che così le ha uguali in una casa e nell’altra. I disoccupati omosessuali invece devono accontentarsi di entrare nella non esistenza pubblicitaria dei disoccupati eterosessuali.
Da un punto di vista politico, invece, un settore di classe dominante cerca di disinnescare un terreno di possibile esplosione sociale, cooptando quel che può nel sistema, e magari chiedendo in cambio alle direzioni moderate del movimento lgbt un sostegno, mentre con l’altra mano porta avanti politiche xenofobe, antioperaie, austerità selvaggia ed il taglio dei servizi fondamentali.
Così davanti alla crisi della famiglia e sulla base della pressione dal basso, un settore della classe dominante accetta il riconoscimento delle coppie omosessuali, ma cerca di ricondurle alle funzioni fondamentali della famiglia nella società capitalista e al suo modello ideologico. Rilancia così la famiglia omosessuale, che si deve adattare, guarda caso, al modello della famiglia monogamica. Da qui anche una riproposizione, in certe situazioni, di ruoli di genere uomo/donna nella coppia omosessuale, compresa la conduzione dell’economia domestica e di tutta la scala valoriale borghese.
Questo vuole dire che sottovalutiamo la questione dei diritti civili? Assolutamente no! Lottiamo per il pieno riconoscimento e applicazione dei diritti civili, cioè della parificazione totale dei diritti individuali e familiari, indipendentemente dal genere e dall’orientamento sessuale. Questo comprende il diritto matrimoniale e di adozione (che deve essere esteso anche ai single) e la stepchild adoption (adozione del figlio del partner) anche in caso di coppia omosessuale.
Non perdiamo però il quadro di insieme e soprattutto da che parte della barricata siamo nella lotta di classe.
Per questo fra i diritti che rivendichiamo non c’è la legalizzazione della Gestazione per altri (cosiddetto “utero in affitto”), a cui ci opponiamo, perché sotto il capitalismo comporta necessariamente la creazione di un mercato di donne che, per necessità economiche, vendono il proprio corpo e sostengono esperienze di enorme impatto come una gravidanza e un distacco dal neonato, con tutte le conseguenze fisiche e psicologiche che comportano. Non mettiamo in dubbio che ci siano casi dove questo viene fatto volontariamente, come “dono”, ma la realtà sociale prevalente è un’altra, e non possiamo accettarla.
Va detto che la necessità di avere un figlio biologico, o l’idea che l’attaccamento affettivo per un figlio abbia bisogno del legame di maternità/paternità biologica, ci è anch’essa instillata dalla necessità di trasmissione della proprietà una volta creata la famiglia monogamica e che precedentemente non esisteva:
“Voi bianchi’, disse un indiano americano ad un missionario, ‘provate affetto solo per i vostri figli. Noi amiamo i figli di tutto il clan. Essi appartengono a tutti e ci prendiamo cura di loro. Sono sangue del nostro sangue, carne della nostra carne. Noi siamo tutti padri e madri per loro. I bianchi sono selvaggi: non amano i loro figli. Se i bambini rimangono orfani, delle persone devono essere pagate per accudirli. Noi siamo estranei ad una mentalità così barbara”15.
Rivoluzione, liberazione.
Lottiamo per il riconoscimento di tutti i diritti civili, e salutiamo con entusiasmo quando vengono riconosciuti, anche sotto il capitalismo. Ma dobbiamo sapere che da un momento all’altro l’inasprimento della lotta di classe può portare la classe dominante a optare per un approccio più reazionario e quindi toglierli di nuovo, dalla sera alla mattina. Ricordiamoci che le Clinton portano i Trump, e i Macron le Le Pen, se non sono fermati dalle lotte. Ogni conquista è provvisoria finché restiamo nel sistema capitalista.
E dove questi diritti esistono, l’obiettivo davvero può essere quello di essere ugualmente sfruttati, eterosessuali e omosessuali? A cosa servono i diritti civili se non posso avere una casa e un lavoro, se il servizio sanitario sta crollando e non ho i soldi per curare me e i miei cari, se non ho il permesso di soggiorno? A cosa serve il diritto al matrimonio se devo dare tutto il mio tempo e le mie energie a un padrone e non ne ho più quando torno a casa?
Appena si pone il problema della vita di tutti i giorni, si apre la divisione di classe nel movimento lgbt, perché la vita di tutti i giorni è molto diversa a seconda della classe di cui fai parte. L’abbiamo visto nel movimento del 2016 sulle unioni civili, dove una base di massa, in gran parte giovanile, di lavoratori, precari e studenti ha mostrato una radicalità ben superiore a quella delle direzioni del movimento (fra cui Arcigay) che aveva concepito le mobilitazioni solo come uno strumento di appoggio alla legge, magari per fare un po’ di pressione sulla destra del gruppo parlamentare del Pd. Così, mentre il Pd bocciava la stepchild adoption e limitava gli avanzamenti, la direzione del movimento ingoiava il compromesso mentre la base spingeva per rilanciare la mobilitazione. Questa divisione era visibile anche dove intervenivamo rilanciando la necessità di una lotta a tutto campo contro il governo del Pd sul terreno lavorativo, abitativo, dello stato sociale. La maggioranza delle persone rilanciava entusiasta queste parole d’ordine, le direzioni – a volte il Pd stesso, che organizzava assemblee per far vedere quanto fosse attento ai diritti civili – si guardavano intorno imbarazzate e invitando a non esagerare. Non possiamo permettere a queste persone di dirigere la lotta per i nostri diritti.
Abbiamo visto piazze in cui a chiedere pieni diritti civili per tutti non erano solo persone lgbt, ma anche tantissimi eterosessuali, e in cui alla lotta per i diritti civili si collegava subito a quella per la casa, per il lavoro, per la sanità. Questa unità è la strada che può portare alla vittoria: lo sviluppo su basi di classe del movimento lgbt, la sua piena integrazione nel movimento dei lavoratori, l’affermazione di un programma rivoluzionario nel movimento operaio.
Rovesciare il capitalismo, liberarci della classe dominante, prendere in mano le risorse produttive e le ricchezze e usarle in modo pianificato e armonico, non per il profitto di una minoranza, ma per le necessità e lo sviluppo collettivo. Socializzare il lavoro domestico, garantire un accudimento ed educazione di qualità dei bambini, una casa per tutti; ridurre l’orario di lavoro in modo che tutti abbiano tempo ed energie per la propria vita. Su queste basi materiali potremo rompere con la morale familiare e sessuale perpetuata dalla borghesia, lasciando patriarcato e omofobia nella spazzatura della storia, e permettere che ognuno di noi viva liberamente e pienamente la propria vita sessuale ed affettiva. Come, con quali forme e quali rapporti familiari, starà alle generazioni che verranno il deciderlo.
Note
1. Fonte: ILGA, State-sponsored homofobia report 2017
2. Citiamo solo come argomento complementare la diffusione di comportamenti omosessuali nel regno animale, che rafforza la sua presenza in natura, ma non è risolutivo per la differenza fra la socialità e affettività umana e animale. Per riprendere solo uno degli ultimi studi, pubblicato nell’ambito della mostra “Contro natura?” del Museo di Storia naturale di Oslo, “l’omosessualità […] è stata riportata in più di 1500 specie animali, ed è ben documentata per 500 di esse, ma la reale estensione probabilmente è molto maggiore”
3. Cfr, fra i vari testi al riguardo: Eva Cantarella, Secondo Natura. La bisessualità nel mondo antico, Bur, Milano, 1988.
4. Su questo tentativo, e il suo fallimento, si veda Wilhelm Reich, La lotta per la “nuova vita” in Unione sovietica, in La rivoluzione sessuale, ErreEmme, Roma 1992, (che riporta il testo dell’edizione originale tedesca, successivamente modificata) Si vedano anche Lev Trotskij, Rivoluzione e vita quotidiana e il capitolo La famiglia, i giovani, la cultura in Lev Trotskij, La rivoluzione tradita.
5. Cit in Gianni Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, 1999, p.51-52
6. Ivi, p.59
7. Cit in Fabio Giovannini, Comunisti e diversi: il PCI e la questione omosessuale, Edizioni Dedalo, 1980, p.72.
8. “In altre parole, atti e gesti, desideri articolati e desideri attuati creano l’illusione di un nucleo di genere interiore e organizzatore, un’illusione che viene mantenuta discorsivamente per la regolazione della sessualità nella cornice obbligatoria della eterosessualità riproduttiva” (J. Butler, Questione di genere, Laterza, Roma 2013, p.193.
9. Ivi, p.132.
10. Non è scopo di questo articolo stabilire l’origine dell’identità di genere. Materialisticamente, ci limiteremo a dire che essa si sviluppa necessariamente per una commistione di elementi naturali (fisici, biologici), psicologici e sociali.
11. Ivi, p.176-177.
12. Ivi, p.200.
13. Ivi, p.23.
14. Si vedano i casi citati in: https://paper-bird.net/2016/11/02/selling-out-the-gays-and-governmentality/
15. M. F.Ashley Montagu, ed., Marriage: Past and Present, a Debate Between Robert Briffault and Bronislaw Malinowski, Boston, Porter Sargent Publisher, 1956, p. 48.
Fonte: Falcemartello