La proposta di Podemos di formare un governo “di progresso” con i partiti che raccolgono un elettorato di sinistra, ha rovesciato tutto il circo montato dietro il processo di investitura del nuovo governo. Il fatto che tutta la situazione politica spagnola stia girando attorno a tutto ciò che dica o faccia chi è rappresentato in parlamento con il venti per cento (ovvero il raggruppamento di Podemos, Izquierda Unida e alleati, in tutto 71 deputati), la dice lunga sul fatto che il restante ottanta per cento abbia una base di appoggio sociale molto fragile, mentre al contrario Podemos e alleati siano molto più solidi da questo punto di vista e con margini ancora maggiori di sviluppo.
La classe dominante è rabbiosa
La classe dominante, formata da banchieri e grandi proprietari, è scioccata e rabbiosa. In primo luogo, perché matematicamente la coalizione di governo proposta dai dirigenti di Podemos, con PSOE e IU, potrebbe avere la maggioranza con l’appoggio di alcuni settori nazionalisti baschi e catalani, i quali non hanno altre opzioni che favorire la riuscita di un governo di questo tipo, pena il loro discredito in Catalogna o nel Paese Basco. E, in secondo luogo, perché questa proposta ha galvanizzato le speranze e le aspettative di tante famiglie di lavoratori e di giovani, indignati davanti a tanto sfruttamento, corruzione ed impunità dei ricchi, dei politici di destra e delle isituzioni.
La classe dominante è rabbiosa anche perché durante le settimane di campagna elettorale, ha presentato Podemos come una organizzazione radicale e antisistema, che non avrebbe mai accettato un accordo con il PSOE, tentando in questo modo di giustificare all’elettorato socialista un possibile governo sorto dalla combinazione parlamentaria PP-PSOE-Ciudadanos.
La proposta di Podemos sta obbligando i dirigenti del PSOE a mettere da parte la loro maschera di sinistra, e a balbettare, vacillare, dichiarare e ritrattare, mostrando chiaramente che sono loro che non hanno nessun interesse a partecipare a un governo progressista insieme a Podemos. Non possono nemmeno nascondersi dietro al fatto che Podemos e i suoi alleati fanno del diritto all’autodeterminazione della Catalogna una condizione imprescindibile per sedersi a negoziare. I dirigenti di Podemos, con le sue coalizioni, non rinunciano a questa rivendicazione democratica elementare, affermando però che sono disposti ad ascoltare e discutere una proposta alternativa del PSOE che offra una via d’uscita reale e democratica per la situazione catalana.
La proposta di Podemos e dei suoi alleati
Ciò che ha proposto Pablo Iglesias è abbastanza coerente: un “governo di sinistra, plurale e proporzionale”. Ha detto chiaramente che se qualcuno si deve assumere la responsabilità di continuità con il governo precedente (di destra) questo non sarà Podemos. Ha sostenuto che, nella misura in cui esista una reale possibilità di formare questo governo progressista, si dovrà reggere su Podemos, e che questa responsabilità non potrà essere esclusivamente in mano al PSOE, che più di una volta ha tradito le speranze di cambiamento dei lavoratori; ancora meno si governerà “in solitario” con novanta deputati. Per tanto, l’unica garanzia di cambiamento reale, sarà la diretta partecipazione di Podemos e dei suoi alleati a questo governo.
Prendendo le parole usate dal PSOE nella parte del programma sulla difesa dello stato sociale, e che Pedro Sanchez ha ripetuto in modo demagogico e disperato per tutta la campagna elettorale, Pablo Iglesias ha posto parecchia enfasi sulle riforme progressiste condivise nei programmi di Podemos, PSOE e Izquirda Unida.
Queste riforme contemplano misure rivolte a rispondere all’emergenza sociale (fermare tutti gli sfratti e i tagli alla somministrazione di gas ed elettricità per tutte le famiglie in difficoltà; che non esistano più disoccupati senza sussidio; un piano di abitazioni alternative per le donne vittime di violenze maschiliste, ecc.) fino all’abrogazione di gran parte delle leggi reazionarie imposte dal PP nella passata legislatura: la ley “Mordaza” (una legge che limita fortemente tutta una serie di diritti democratici, ndt), la controriforma del lavoro e la legge LOMCE sull’istruzione. Inoltre, almeno sulla carta, c’è unanimità nel portare avanti una riforma delle tasse dal carattere progressivo, che vada a colpire i grandi patrimoni; sulla difesa del settore pubblico e contro i tagli; favorire l’occupazione “di qualità”.
Igliesias ha detto anche, chiaramente, che un ipotetico governo Podemos-PSOE-IU non può accettare di avere militanti di questi stessi partiti seduti sulle poltrone di qualche consiglio di amministrazione di qualche grande impresa, riferendosi esplicitamente al PSOE, e nel caso in cui ci fossero, devono essere esclusi da essi. Propone inoltre di negoziare una riforma costituzionale da votare con un referendum tra tutti i cittadini, oltre alla pulizia dell’apparato statale dalla corruzione.
Su un aspetto importante come la questione nazionale, Iglesias ha specificato che questo ipotetico esecutivo, dovrebbe “assumere la plurinazionalità della Spagna e mettere in calendario una consultazione in Catalogna. “La vittoria di En Comù Podem in Catalogna deve ottenere una traduzione concreta nel nuovo governo”, ha segnalato. Questa traduzione sarà impersonificata da probabilmente da Xavi Domènech in qualità di ministro della Pubblica Amministrazione o della “Plurinazionalità”, in un governo dove Podemos, IU e i loro alleati dovranno avere almeno lo stesso numero di membri che avrà il PSOE, inclusa la vicepresidenza e un ministero occupato da IU. La logica matematica usata di Pablo Iglesias per giustificare la composizione di tale governo è inappellabile: la somma di voti di Podemos, IU e le loro liste di coalizioni in Catalogna, Galizia e Comunità Valenciana, è superiore ai voti ottenuti dal PSOE. Non si tratta quindi di assumere una posizione di subalternità, ma di uguaglianza.
Una riedizione del patto andaluso PSOE-IU nella Giunta di Andalucìa?
Alcuni compagni hanno voluto fare un paragone negativo tra questa proposta di governo con l’esperienza disgraziata di IU all’interno del governo della Giunta di Andalucìa con il PSOE tra il 2012 e il 2015. Il paragone però è sbagliato. In quell’occasione, la direzione andalusa di IU si era posta come forza subalterna all’interno di quel governo, accettando la corresponsabilità di applicare le politiche di austerità nella regione che consigliava il governo nazionale.
È molto più corretto comparare l’attuale proposta di Podemos con con la situazione esistente in quei “Comuni per il cambiamento”, dove la somma delle coalizioni tra Podemos, IU, En Podem o con le Maree, portò le liste di sinistra alternativa nella condizione di obbligare il PSOE a proporre queste per la posizione di sindaco, altrimenti le liste di destra avrebbero vinto. Di conseguenza, la direzione del PSOE accettò a denti stretti di portare in posizioni di prim’ordine Ada Colau o Manuela Carmena, soprattutto per non minare le sue possibilità di vittoria elettorale alle elezioni politiche, e anche perché così facendo sarebbe entrato in sintonia con la grande maggioranza dei suoi votanti.
Qualche avvertenza.
È in questo senso, che appoggiamo la proposta di Podemos. Ora però è nostro dovere analizzare i limiti che potrebbe avere questo ipotetico governo.
In primo luogo bisogna diffidare fin dal primo momento da una direzione socialista che mantiene forti vincoli con la classe dominante del paese, e di un apparato come quello del PSOE che non ha rispecchiato né nelle sue politiche né nel suo programma la forte svolta a sinistra che si è prodotta nella società. Fin dal primo momento, Podemos, IU e tutte le loro forze alleate, che hanno il vantaggio di essere molto più forti all’interno delle mobilitazioni sociali che nelle istituzioni, devono fare un appello alla mobilitazione in piazza che metta in crisi qualsiasi tentativo del PSOE di annacquare l’azione del governo. Questa mobilitazione sarà altrettanto fondamentale nella misura in cui la destra e la classe dominante non resteranno a guardare e faranno pressioni alle proprie imprese, istituzioni e alla propria stampa per sabotare qualsiasi proposta progressista del governo.
In ogni caso, seguendo gli esempi recenti della Grecia, del Venezuela e dell’Argentina, dobbiamo porre l’attenzione sul fatto che si manifesteranno rapidamente estorsioni e boicottaggi da parte dei banchieri e dei grandi proprietari, al fine di umiliare e piegare il governo “del cambiamento”. In questa situazione, non ci sono alternative che espropriare a questa oligarchia dell’1% -che concentra nelle proprie mani la stessa quantità di ricchezza del restante 80% della popolazione spagnola, come ha dichiarato recentemente l’Oxfam- le leve fondamentali dell’economia. Solo questo permetterà di pianificare democraticamente e razionalmente le principali risorse produttive del paese, per iniziare a porre una soluzione alle stringenti necessità sociali che occorrono alla maggior parte della popolazione: le famiglie operaie, i giovani studenti e disoccupati, i pensionati e la classe media impoverita.
Il problema del PSOE
Mariano Rajoy è stato il primo a dar credito all’offerta di Podemos, trovando così una scusa perfetta per non dover affrontare la questione. Dato che tutti sapevano che la sua investitura sarebbe stata rifiutata, è stato il primo a declinarla, davanti all’evidenza che il governo potevano benissimo formarlo altri.
Pedro Sanchez si è mostrato altrettanto ingegnoso, dichiarando che avrebbe esortato il Re, durante la seconda visita da farsi settimana prossima, a proporre nuovamente a Rajoy di formare il governo. Come si può intuire, non sembra che Pedro Sanchez mostri impazienza a realizzare il “governo del cambiamento”.
La proposta della direzione di Podemos è un’offerta “impossibile da rifiutare” per la stragrande maggioranza degli elettori del PSOE. Infatti, anche se questi dati vanno presi con le pinze, secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano El Pais (realizzata prima della proposta di Pablo Iglesias) il 57% dei votanti del PSOE e il 72% di quelli di Podemos sono favorevoli a un governo di sinistra con a capo Pedro Sanchez. Viceversa, questa offerta di un governo di coalizione è impossibile da accettare per la maggior parte delle direzione pro-borghesia del PSOE.
Prima della proposta di Podemos, l’apparato del PSOE era diviso sull’atteggiamento da tenere durante un governo del PP. L’ala di destra, dominante e capeggiata da Felipe Gonzalez, difende la posizione di astensione, facilitando in questo modo la continuità con il governo del PP, in minoranza oppure con l’appoggio di Ciudadanos “per garantire la stabilità del Paese”, preferibilmente con un capo di governo del PP diverso da Rajoy, in modo tale da dare una sensazione di rinnovamento. L’ala capeggiata dal segretario generale, Pedro Sanchez, espressione sia di un settore dell’apparato sia della base, vorrebbe invece evitare qualsiasi barlume di connivenza con la continuità di un governo del PP per una doppia ragione: evitare il processo di “pasokizzazione” alla greca del PSOE, e soddisfare la sua personale ambizione di diventare presidente di governo e continuando a essere il dirigente del partito. Il suo obiettivo è raggiungere un accordo di governo con Ciudadanos, come elemento subalterno, assicurandosi l’astensione di Podemos.
Per disgrazia di entrambi i settori, la proposta di Podemos ha spinto sul primo piano del dibattito sul governo l’accordo PSOE-Podemos, e di conseguenza entrambi i settori si trovano nella triste situazione di dover spiegare alla propria base il perché sono reticenti a trovare un accordo con Podemos.
La prima reazione di Sanchez è stata timida, dichiarando candidamente che gli elettori di entrambi i partiti non avrebbero compreso come mai non si sarebbe raggiunto un accordo. È stato quindi coperto da ogni tipo di critica, trovandosi a dover ritrattare. La direzione del PSOE ha così cominciato a chiarire quali sarebbero stati i passi successivi. Sanchez ha svelato che lo scorso 23 gennaio è stato chiamato il leader di Ciudadanos, con la speranza di aprire i negoziati nei giorni seguenti, ma non è stata fatta nessuna chiamata al leader di Podemos. Il PSOE ha poi scritto un comunicato denunciando il “ricatto” di Podemos, e, contemporaneamente, ha chiesto al Re di fare nuove consultazioni con tutti i partiti, e solo nel caso in cui Rajoy avrebbe rinunciato nuovamente a formare il governo, si sarebbero offerti loro.
Di nuovo, è stato Pablo Iglesias a chiamare Pedro Sanchez la scorsa domenica (24 gennaio, ndt), due giorni dopo aver proposto di formare un governo di coalizione, ricevendo solo risposte vaghe da parte del PSOE.
Per rafforzare la pressione, Pablo Iglesias ha dichiarato che se il PSOE avrebbe rifiutato la proposta di governo di coalizione con Podemos, non avrebbe appoggiato l’investitura solitaria di Sanchez. Ancora più disgraziatamente, per Sanchez, Rivera si è affrettato a declinare qualsiasi proposta di accordo con il PSOE, dichiarando che Ciudadanos non avrebbe mai votato a favore della sua investitura. Da parte sua, l’ala destra del PSOE si sta preparando per costringere il Comitato Federale del partito (in riunione il 30 gennaio) a votare una risoluzione che rifiuti qualsiasi accordo con Podemos.
In questo modo, le ambizioni di Sanchez di diventare Primo ministro sembrano essersi ridotte all’osso.
La borghesia e i suoi rappresentanti contro la proposta di Podemos
Dopo le elezioni del 20 dicembre, la borghesia si è dedicata con qualunque mezzo possibile a boicottare qualsiasi intento di accordo tra PSOE e Podemos. Addirittura prima che Iglesias facesse la sua proposta di coalizione di governo, all’inizio della settimana scorsa, i mezzi di comunicazione della borghesia avevano già lanciato una nuova campagna di diffamazione contro Podemos, accusandolo di ricevere denaro da Iran e Venezuela, e che il suo dirigente della Catilla-La Mancha, nel dicembre 2014, ha compiuto un viaggio in Venezuela utilizzando un aereo del governo di Nicolas Maduro, insieme a membri della CUP (Candidatura di Unità Popolare) e dell’ETA, per partecipare a una “oscura riunione cospirativa bolivariana”. In realtà si trattava di una riunione pubblica e della ben conosciuta “Rete di intellettuali per la pace e per l’umanità”, che raggruppa centinaia di intellettuali e attivisti di sinistra da tutto il Mondo, e le cui risoluzioni sono pubbliche e accessibili a tutti.
Si trattava quindi di cercare di far saltare qualsiasi tipo di accordo tra il settore di Pedro Sanchez e Podemos. La classe dominante ha già tracciato la sua strada: deve essere mantenuta la continuità di un governo di destra con il PP e Ciudadanos -meglio se senza Rajoy a capo – e il PSOE deve favorire questa investitura. Pedro Sanchez o lo accetta oppure si sfila, come Rajoy.
Dopo che, venerdì scorso (22 gennaio, ndt), Pablo Iglesias ha annunciato che la prima persona a cui ha esposto la sua proposta di coalizione è stata il Re “per rispetto delle istituzioni statali), El Pais, la voce principale del capitale finanziario spagnolo, ha scritto l’editoriale del 23 gennaio scagliandosi con tutte le sue forze contro questo “uso del Re” da parte di Podemos: “…prima, lo spettacolo durante la sessione costitutiva del Congresso; ora l’uso del Re per aumentare la sensazione che Sanchez sia debole. Basta con questi inganni fatti per imbucarsi nel palazzo!”.
Nello stesso editoriale veniva criticato anche il timorato Pedro Sanchez. Un infuriato El Pais ha fatto un implicito riferimento a defenestrarlo dalla direzione del PSOE. “…Non è migliore la situazione di Pedro Sanchez, al quale proprio ieri Pablo Iglesias ha teso una trappola a forma di Governo di coalizione che secondo Podemos dovrebbe seguire quanto prima, a scapito di fare la stessa fine di Rajoy… Pedro Sanchez non solo non deve considerare seriamente questa proposta, ma ieri stesso avrebbe dovuto difendere il buon nome del suo partito e dei suoi elettori, prima di accettare un’offerta che non è altro che miele avvelenato”.
Ricordando la situazione greca della scorsa estate, non hanno tardato ad arrivare anche le pressioni dall’Unione Europea. Il presidente della Commissione Europea Jean Claud Juncker, ha dichiarato pochi giorni fa: “Mi piacerebbe che in Spagna si arrivasse ad avere un governo stabile nel più breve tempo possibile”. Il presidente dell’Eurogruppo, che raccoglie i ministri dell’economia dell’UE, Dijsselbloem, ne ha spiegato le ragioni: “La Spagna deve presentare una nuova manovra economica”. I capitalisti europei hanno già detto che il debito spagnolo è sopra le stime fatte e reclama 10milioni di euro di nuovi tagli. Il problema, per la borghesia europea, non è solo economico. È politico. Un governo di sinistra antiausterità in Spagna sarebbe un pessimo esempio che potrebbe rafforzare i partiti e i movimenti antiausterità in tutto il continente. Senza dubbio, la formazione di un governo utile alla classe dominante sta risultando molto difficile.
Infine, la borghesia spagnola ha messo in mezzo al dibattito i suoi “rappresentanti sociali”. Il presidente del BBVA (Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, gruppo bancario multinazionale con sede a Bilbao), Francisco Gonzalez -quello che guadagna 15.500 euro al giorno- ha dichiarato che si deve mantere un governo che abbia la stessa politica del precedente, e che l’instabilità sta fermando gli investimenti. Un discorso simile lo ha fatto anche Juan Rosell, il presidente dell’organizzazione padronale CEOE (confederazione spagnola delle imprese).
La cosa più assurda di tutte -anche se nessuno deve sorprendersi- è l’atteggiamento dei dirigenti dell’UGT (Union General de los Trabajadores) e delle CCOO (Comisiones obreras), i due principlai sindacati del paese, i quali hanno rilasciato dichiarazioni di appoggio alla “stabilità del paese”, che in pratica è come appoggiare il regime, ogni volta che lo necessita. Perciò, secondo El Pais: “Le parti sociali hanno deciso di creare un gruppo di lavoro per elaborare una proposta per un Governo che garantisca la stabilità. I leader della CEOE, Juan Rosel, e dei maggiori sindacati CCOO e UGT, Ignacio Fernandez Toxo e Candido Mendez, si sono riuniti questo martedì (26 gennaio, ndt) per analizzare l’attuale panorama politico e stabilire i punti su cui si crede si possa avanzare accordi di governabilità per proporre il nuovo esecutivo”.
Quali potrebbero essere questi punti in comune quando il presidente della BBVA dichiara che il nuovo esecutivo dovrà garantire la continuità con la buona politica del precedente governo Rajoy?
È solo una questione di tempo prima che la classe operaia, una volta che mobilitata nuovamente in massa, rovescerà le vecchie direzioni burocratiche e accomodanti, dando nuova linfa alle organizzazioni sindacali, portandole al livello più alto dello scontro di classe, con dirigenti che riflettano davvero i sentimenti e gli interessi della classe lavoratrice.
I piani della classe dominante sono chiari: vogliono arrivare alla formazione di un governo PP-Ciudadanos con l’appoggio o l’astensione del PSOE, che dovrà restare all’opposizione impedendo che Podemos e i suoi alleati siano visti come unica vera opposizione, anche se è già così.
Logicamente, per far si che il governo abbia un minimo di autorità e Ciudadanos possa giustificare il suo appoggio senza venire screditato, sono necessarie le dimissioni di Rajoy e la sua sostituzione con un altro dirigente meno “bruciato”. Una possibile variante potrebbe essere quella di avanzare l’investitura a Rajoy con l’astensione di Ciudadanos e del PSOE, e che l’uscita di scena dello stesso Rajoy abbia luogo pochi mesi dopo, consentendogli di ritirarsi con onore e facendo coincidere il tutto con l’entrata al governo di Ciudadanos.
Sia Rajoy che Sanchez potrebbero cedere e veder cadere le proprie candidature, al termine delle quali si avanzerà un accordo come quello descritto, con le dimissioni di entrambi i dirigenti.
Quale che sarà la via all’accordo finale per il nuovo governo, ciò che è chiaro alla classe dominante è che bisogna assolutamente evitare delle nuove elezioni, alle quali, molto probabilmente, potrebbe completarsi la rimonta di Podemos e delle sue liste sul PSOE, cosa probabile se IU si coalizzerà con Podemos, portando il solido milione di voti ottenuto il 20 dicembre.
Senza dubbio, ciò che uscirà dal Comitato Federale del PSOE del 30 gennaio, farà luce sulle prospettive di questo processo di investitura del nuovo governo tra gli scenari descritti sopra.
Nel frattempo, la classe dominante non può nascondere la sua furia contro gli apparati del PP e del PSOE, che non rispettano con diligenza il loro mandato, troppo preoccupati a mantenere le ambizioni e gli interessi personali anziché lavorare sugli interessi di tutta la classe borghese.
Molta indignazione è causata dal fatto che il Re viene manovrato come un fantoccio, disprezzato dai politici di destra e di sinistra, con la conseguenza di perdere autorità tra la popolazione e di non essere più il collagene per la stabilità del regime capitalista spagnolo.
Unire la lotta in parlamento con la mobilitazione sociale. Per una manifestazione a Madrid per un governo di sinistra e per un programma di emergenza sociale.
Sebbene pensiamo che Podemos abbia utilizzato in modo intelligente il Parlamento per indebolire i suoi rivali e per dare riasalto alla sua proposta politica, commetterebbe un grave errore se limitassero tutto a ciò che Marx un tempo denominò “cretinismo parlamentare”.
Se davvero vogliono che la loro proposta venga presa sul serio dai lavoratori, dai giovani, dalle famiglie operaie, dai pensionati e da tutti i settori della società impoveriti dalla crisi, dovranno fare un appello alla mobilitazione popolare a favore di questo governo in tutto il paese, chiedendo chiaramente ai dirigenti di UGT e CCOO di unirsi ad essa. Solo ciò metterà pressione sul PSOE.
Insieme a questo, bisogna proseguire sia con la lotta in parlamento che nelle piazze. La presentazione “dell’Iniciativa legislativa social 25” è stata molto positiva, e include parte del programma elettorale di Podemos contro i tagli, per l’aumento del salario minimo, per le misure d’emergenza per le famiglie in difficoltà, contro gli sfratti e altro. Questo deve essere accompagnato da assemblee pubbliche nei quartieri popolari, al fine di darle massima pubblicità.
L’unico modo di porre fine all’attuale punto morto e far beneficiare le famiglie operaie è attraverso la lotta al di fuori del parlamento. Convocare una mobilitazione unitaria tra la Marcia della Dignità, le Maree (campagna contro i tagli e l’austerità), Podemos, Izquierda Unida e tutti gli altri, avrà di certo una risposta importante. La lotta potrà organizzarsi intorno a una piattaforma sintetica di quattro o cinque punti: abrogazione della controriforma del lavoro del PP, l’abrogazione della modifica dell’articolo 35 della Costituzione che giustifica l’austerità, l’abrogazione della legge “Mordaza”, porre fine a tutti gli sfratti, porre fine ai tagli nella sanità e nell’istruzione. Questi punti devono avere come elemento unificante un governo del cambiamento per portarli avanti. Si tratta di decidere una data per questo piano di lotta che culmini con una imponente manifestazione a Madrid e che esiga di ottenere tutti questi punti.
Come abbiamo spiegato più volte, se la classe dominante vuole imporre un governo che difenda i suoi interessi, sarà comunque un governo debole che verrà screditato velocemente nella società. Tutta la situazione prepara una crescita importante della sinistra.
Però la conclusione che va fatta è la seguente: non ci sono alternative all’austerità se non c’è una rottura con il capitalismo, come abbiamo spiegato. È necessario porre sotto controllo operaio i mezzi di produzione e le leve fondamentali dell’economia e operare una pianificazione ragionata delle risorse produttive. Bisogna nazionalizzare le banche, le grandi imprese e i monopoli -cominciando dalle imprese dell’IBEX 35 (l’indice di borsa delle aziende a maggiore capitalizzazione, ndt) – e dei grandi latifondi, e porre tutto sotto controllo operaio.
Con un programma chiaro e concreto di trasformazione sociale, con l’organizzazione e la mobilitazione di milioni di persone nelle piazze e nei luoghi di lavoro, Si, se puede!