La proclamazione della Repubblica da parte del Parlamento catalano il 27 ottobre è stata di breve durata. Lo stato spagnolo era pronto a schiacciarla in maniera decisa mentre il governo catalano non aveva alcun piano né una strategia per difenderla. Tuttavia, questa, non è la fine del movimento.
La via da seguire è indicata dalla progressiva affermazione dei Comitati per la Difesa della Repubblica (CDR), che sono entrati in scena con forza durante lo sciopero generale dell’8 novembre contro l’arresto di otto membri del governo catalano.
Membri di spicco del governo catalano e dei due partiti che ne fanno parte (quello nazionalista borghese del PDeCAT e l’ERC, il partito nazionalista della piccola borghesia) adesso ammettono apertamente che non erano pronti a difendere la proclamazione della Repubblica di fronte alla brutale repressione spagnola. Con ogni probabilità non hanno mai pensato che il movimento si sarebbe spinto così in là. Nel migliore dei casi, la loro strategia era senza speranza: illudersi che la brutalità spagnola nei confronti dell’azione pacifica avrebbe provocato l’intervento della “comunità internazionale” (leggi l’UE) come intermediario nei negoziati con la Spagna. L’UE, come si poteva prevedere, si è pienamente schierata con la Spagna e la difesa della legalità spagnola (compresa la soppressione delle istituzioni catalane attraverso l’articolo 155).
D’altra parte, lo stato spagnolo era pronto e preparato a usare tutti i mezzi a sua disposizione per mettere fine a quella che consideravano una sfida complessiva al regime del 1978. Hanno usato l’articolo 155 della Costituzione per licenziare il governo catalano e sciogliere il parlamento, costringendo ad elezioni anticipate. Poi hanno usato il Tribunale Nazionale (una reliquia dell’era di Franco) per incarcerare otto membri del governo catalano, che sono in attesa di un processo per ribellione e sedizione, oltre che ad emettere dei mandati di arresto contro il presidente catalano e altri quattro membri del governo che sono attualmente in Belgio.
Ora si è scoperto che avevano una squadra operativa speciale pronta a prendere d’assalto il parlamento catalano in una triplice operazione (via terra, via aerea e attraverso le fogne) per arrestare il presidente catalano se si fosse barricato all’interno. Il segretario generale di ERC ha spiegato che il governo spagnolo ha inviato un messaggio a quello catalano in cui si comunicava che erano pronti a usare l’esercito se l’articolo 155 fosse stato sfidato. I procedimenti giudiziari contro i membri del governo catalano e la presidenza del parlamento catalano, sono estremamente vendicativi, si basano su articoli del codice penale dell’epoca franchista e hanno motivazioni politiche. Ad esempio, ai membri della presidenza del Parlamento catalano è stato chiesto se rispetteranno la Costituzione spagnola sotto la minaccia di essere rimandati in custodia preventiva.
All’arresto dei membri del governo catalano è stato risposto con una manifestazione di massa il giorno stesso e quello successivo. L’8 novembre alcuni sindacati minori hanno convocato uno sciopero generale che è stato accompagnato da imponenti picchetti organizzati dai CDR, ha bloccato le strade principali e le stazioni ferroviarie, oltre che manifestazioni di massa nelle piccole e grandi città in tutta la Catalogna. L’11 novembre, una manifestazione con un milione di persone a Barcellona ha rivendicato il rilascio dei prigionieri politici.
I CDR si sono sviluppati dalle Commissioni per la Difesa del Referendum che hanno organizzato l’apertura e la difesa dei seggi elettorali durante il voto di ottobre. Ora ce ne sono oltre 280 in paesi, città e quartieri in tutta la Catalogna e hanno sviluppato una struttura di coordinamento nazionale. Hanno svolto il ruolo principale nell’organizzazione dei picchetti di massa, bloccando oltre 50 autostrade principali e importanti stazioni ferroviarie durante lo sciopero generale dell’8 novembre.
Questo mostra la via da seguire per la lotta: un organismo dal basso, di massa, indipendente dai vacillanti partiti borghesi e piccolo borghesi del governo catalano che hanno già dimostrato la loro incapacità di guidare il movimento.
L’attenzione si concentra ora sulle elezioni catalane del 21 dicembre. Tre partiti rappresentano il “blocco dell’articolo 155”, quei partiti che hanno spinto per il colpo di stato contro le istituzioni catalane: il Partito Popolare al governo in Spagna, quello nazionalista spagnolo di destra di Ciudadanos e il PSC “socialdemocratico” (la sezione catalana del PSOE). Nonostante abbia un nuovo leader, Pedro Sanchez, che è stato eletto fingendo di rappresentare un cambiamento a sinistra nell’organizzazione, il PSOE si è dimostrato un partito fedele al regime del 1978, sostenendo fino in fondo l’attacco di Rajoy alla Catalogna. Questi partiti cercheranno di mobilitare e capitalizzare il voto filo-spagnolo in Catalogna. Il PSC ha scandalosamente incluso membri del nazionalismo catalano borghese di destra, Unió, in posti di rilievo delle sue liste.
Il presidente catalano Puigdemont, ancora in Belgio, si presenterà, non con il simbolo del PDeCAT, il suo partito piuttisto screditato, ma a capo di una “larga coalizione”, Junts per Catalunya (Uniti per la Catalogna) composta principalmente da membri del proprio partito . Proverà a capitalizzare un voto di simpatia ma si ci aspetta che andrà male. Il suo partito ha abbandonato qualsiasi discorso sull’indipendenza e su una Repubblica Catalana. In un’intervista a Le Soir, Puigdemont ha anche ammesso che una “soluzione diversa dall’indipendenza” sarebbe accettabile. La maggior parte dei voti di Junts pel Sí (PDeCAT + ERC), la coalizione di governo in Catalogna, andrà all’ERC, indicando uno spostamento a sinistra all’interno del blocco di governo pro-indipendentista. L’ERC si presenterà da solo, aggiungendo alcune personalità indipendenti alla sua lista e dovrebbe diventare il primo partito.
Anche la CUP, la formazione anticapitalista e indipendentista andrà da sola con la sua lista “di rottura, indipendentista e di sinistra”, come da accordi presi in una assemblea nazionale straordinaria dell’organizzazione a cui hanno partecipato oltre 1200 membri.
Ci sarà una forte mobilitazione del campo indipendentista in risposta alla repressione dello stato spagnolo. È chiaro che ora, dopo la brutale repressione del referendum, voterà per i partiti indipendentisti anche uno strato di coloro che sono favorevoli ad una soluzione federale per la Spagna.
Formalmente contraria sia all’indipendenza che all’articolo 155 sarà Catalunya en Comú (Catalogna in Comune) una coalizione che ruota attorno al sindaco di Barcellona Ada Colau, alla sezione catalana di Podemos più ICV e EUiA che corrisponde vagamente a Izquierda Unida in Catalogna. Il segretario generale di Podemos in Catalogna, Albano Dante-Fachin, dopo essere stato ai ferri corti con la leadership nazionale è stato alla fine rimosso dalla sua carica in maniera burocratica. Il problema con i partiti che stanno dietro a Catalunya en Comú è che tendono ad equiparare il comportamento dello stato spagnolo a quello del governo catalano. In realtà, il governo catalano ha tentato di esercitare (per quanto in modo incoerente e per i propri interessi) il diritto all’autodeterminazione, mentre lo stato spagnolo ha usato la repressione brutale per prevenirlo. Non è la stessa cosa.
È piuttosto probabile che queste elezioni produrranno un risultato simile a quello delle elezioni catalane del 27 settembre 2015. Elezioni che essendo già viste come un plebiscito per l’indipendenza condussero ad un’alta affluenza, oltre il 77%, ovvero 10 punti in più rispetto alle elezioni precedenti. All’epoca, i partiti indipendentisti ottennero il 47,5% dei voti, che diedero a loro complessivamente la maggioranza dei seggi in Parlamento e chiaramente più voti rispetto al totale dei partiti apertamente contrari all’indipendenza che ricevettero il 39% dei voti.
Nello blocco nazionalista spagnolo, Ciudadanos spera di arrivare primo e sta già sollecitando il PP e il PSC a formare una “coalizione costituzionale” a tre dopo le elezioni, ma è improbabile che ottengano abbastanza seggi. Lo stato spagnolo è preoccupato per la possibilità che si confermi una maggioranza indipendentista e ha già detto che l’applicazione dell’articolo 155 continuerà fino a quando un governo non si impegnerà a rispettare la Costituzione spagnola del 1978. Ovviamente, quella Costituzione nega categoricamente il diritto all’autodeterminazione. Voci di spicco all’interno del PP catalano, e anche di Ciudadanos, hanno richiesto l’illegittimità per partiti o programmi indipendentisti.
Come abbiamo spiegato in precedenti articoli, di fronte alla natura reazionaria e antidemocratica del regime del 1978, esercitare il diritto all’autodeterminazione in Spagna, diventa un compito rivoluzionario. I partiti borghesi e piccolo borghesi nel governo catalano non si sono dimostrati pronti a usare metodi rivoluzionari e sono intrinsecamente incapaci di farlo. L’unico modo possibile per far avanzare la lotta per una Repubblica catalana, che potrebbe essere l’inizio del crollo dell’intero regime in tutta la Spagna, sarebbe quello di utilizzare metodi rivoluzionari di mobilitazione di massa e di auto-organizzazione. I CDR rappresentano un passo importante in questa direzione.
Per rompere con la direzione borghese e piccolo borghese, il movimento repubblicano catalano deve anche adottare un chiaro carattere contro l’austerità e anticapitalista. Questo è l’unico modo per conquistare settori della classe lavoratrice catalana di lingua spagnola che fino ad ora sono stati riluttanti a partecipare. Ciò contribuirebbe anche a suscitare la simpatia e la solidarietà dei lavoratori e dei giovani nel resto della Spagna, cosa necessaria per sconfiggere lo Stato spagnolo.
Per una Repubblica socialista catalana, scintilla per la rivoluzione iberica!