Il congresso nazionale del Prc si è concluso come era iniziato: all’insegna del rinvio. Proviamo a capirne le ragioni. Fin dalla scorsa primavera la discussione è stata dominata dai posizionamenti interni.
La crisi del Prc e la nostra battaglia per il partito di classe
Lo “straordinario congresso” promesso dal Segretario si è rapidamente arenato in una serie di schermaglie che hanno attraversato dapprima la commissione politica incaricata di stendere la bozza delle tesi, poi il dibattito nei circoli e infine lo stesso congresso nazionale.
La domanda “si farà il segretario?” o “Ferrero ce la farà?” ha percorso i tre giorni del congresso, non tanto negli interventi quanto nelle riunioni delle varie componenti e nel dibattito “di corridoio”.
Da una maggioranza apparentemente molto ampia (76 per cento dei delegati) non è uscita una proposta risolutiva, non solo sui gruppi dirigenti, ma anche nel documento finale.
Il testo conclusivo approvato a Perugia si può riassumere in otto punti;
1) Opposizione al governo Letta.
2) Opposizione alla revisione costituzionale e lotta per la legge proporzionale.
3) Ridare centralità al conflitto di classe e al radicamento sociale del partito.
4) Maggiore “efficacia e coordinamento” dell’iniziativa degli iscritti al Prc sul terreno sindacale, ma senza prendere posizione riguardo al congresso della Cgil. (Un nostro ordine del giorno che proponeva di sostenere il documento alternativo a quello della Camusso è stato respinto con 81 voti a favore).
5) Battaglia culturale e ideologica.
6) Assumere il Piano per il lavoro come iniziativa centrale del partito.
7) Disobbedienza ai trattati europei, lotta “per la rottura con questa Unione Europea”.
8) Costruire per le europee una lista della sinistra di alternativa in sostegno alla candidatura di Tsipras.
Chi ha seguito il dibattito di Perugia può facilmente registrare come nessuno di questi punti sia stato in realtà al centro del dibattito, né dal punto di vista dell’analisi, né della concreta costruzione. La gran parte degli interventi svolti dalla tribuna di Perugia si sono caratterizzati per un tentativo di mobilitare, spesso con gli argomenti di più facile presa, una parte della platea contro l’altra, in riferimento allo scontro interno alla mozione 1. Si è discusso molto se fosse o meno opportuno fischiare il rappresentante di Sel, quasi per nulla invece si è discusso sui punti sopra indicati, su cosa implichi metterli in atto, su quali basi si fondano, quali percorsi adottare per praticarli, quali risultati ci si attendano. Si tratta quindi di un documento votato non per decidere alcunché (ad eccezione forse della lista per le europee), ma per tentare, con un testo il più generico possibile, di posizionarsi al meglio per il successivo scontro sull’elezione segretario
L’attesa per la costituzione del gruppo dirigente si è composta quindi di due elementi: da un lato lo scontro interno alla mozione 1 (e, come vedremo, anche della terza mozione), ma dall’altro anche una aspettativa onesta di tanti compagni che si attendevano perlomeno dei riferimenti certi per potersi mettere all’opera una volta chiuso il congresso.
L’area emendataria è uscita politicamente sconfitta dal congresso. La sua rappresentanza nel Cpn fotografa un rapporto di 2 a 1 all’interno della mozione 1 (38 componenti su 125), il documento finale non accoglie alcuna delle indicazioni degli emendamenti tanto che nella dichiarazione di voto favorevole, Alberto Burgio ha dovuto limitarsi a dire che il testo non contraddice le istanze degli emendatari. Un modo diplomatico per segnalare che non si è conquistato neppure un centimetro di terreno.
La “vittoria” di Ferrero si concretizza in una maggioranza risicata (77 su 150) nel nuovo Cpn, non sufficientemente coesa da rieleggerlo segretario, né da avanzare un’altra proposta. Risultato, si rinvia.
Le divisioni della maggioranza hanno prodotto una divisione speculare nella mozione 3, che ha tentato fino all’ultimo di trovare un accordo sul testo del documento finale e si è poi divisa nella riunione della propria delegazione con 29 delegati che hanno sostenuto la scelta di presentare un proprio testo, contrapposto a quello di maggioranza, mentre 21 erano per l’astensione. Emerge distintamente un settore della mozione che cerca l’accordo con Ferrero, settore che nel Cpn immediatamente riunito alla fine del congresso ha espresso per bocca di Daniele Maffione tutto il suo disappunto di fronte al rinvio dell’elezione del segretario. La ricomposizione nel voto finale non nasce da una ritrovata unità, ma dal fatto che con la scelta di rinviare l’elezione del segretario veniva a mancare anche l’oggetto del conflitto.
C’è quindi da riflettere, lo diciamo con tutto il rispetto a quei compagni che hanno visto nel voto alla mozione 3 uno strumento di ribellione (sacrosanta) contro un gruppo dirigente lottizzato, sul perché una mozione che fra le sue bandiere aveva, al principio, l’idea del “repulisti” dei gruppi dirigenti, alla prima prova si divide, e si divide non su questioni di fondo o di principio, ma precisamente su quei posizionamenti di correnti e sottocorrenti tanto criticati fino al giorno prima. Doveva scompaginare le correnti della ex maggioranza, e si trova invece risucchiata in pieno nello stesso vortice.
Nel documento finale approvato a Perugia si assume anche l’impegno a convocare una conferenza d’organizzazione che proponga modifiche organizzative, per poi riconvocare la platea congressuale nazionale al fine di tradurre tali proposte in nuove regole statutarie. Da dove nasce questo impegno, di cui non c’era traccia nel dibattito prima di Perugia? È presto detto: diverse delle proposte organizzative contenute nella mozione 1, in particolare sulla composizione degli organismi dirigenti e sulla introduzione di referendum obbligatori tra gli iscritti, sono state respinte nella sessione sullo Statuto. Soluzione? Semplice: rigiocare la partita tra qualche mese e vedere se l’esito sarà diverso…
Allo stesso modo va ricordato che il solenne impegno a discutere del programma, assunto a febbraio, si è via via ridimensionato fino a una conferenza fittizia (un dibattito di mezza giornata senza testi, senza proposte, senza esiti) per poi essere a sua volta rinviato a una futura conferenza programmatica da convocarsi dopo il congresso.
È stato il congresso dei rinvii, e il gruppo dirigente che ne è uscito sarà il gruppo dirigente dei rinvii. Questa è l’unica sintesi realistica della tre giorni di Perugia.
Poco importa se lo scontro sul segretario si risolverà con un accordo interno alla mozione 1, oppure con un accordo fra Ferrero e un settore della mozione 3, se il candidato sarà lo stesso Ferrero o un altro compagno/a espresso dai 77 componenti la maggioranza del Cpn. La paralisi continuerà perché nessuno dei protagonisti di questo scontro ha un’altra possibilità. Non esistono oggi “approdi” al di fuori del Prc, né a destra (Pdci, Sel), né a sinistra (Ross@) che possano garantire più del poco che ad oggi garantisce Rifondazione. Ne segue che ciascuno non potrà che rilanciare la propria lotta interna a partire dalla posizione in cui si è collocato nel congresso.
Non ripetiamo qui le considerazioni che abbiamo svolto nei nostri interventi e nel documento finale che abbiamo presentato al congresso. Crediamo che le forze che si sono raccolte attorno alla nostra mozione non debbano essere ulteriormente logorate in dibattiti sempre più sterili e sempre meno capaci di suscitare intervento politico, costruzione, formazione.
Sinistra Classe Rivoluzione, la nostra mozione, deve scegliere un altro terreno di impegno. Deve diventare un movimento politico a tutti gli effetti, impegnato non solo e neppure principalmente nella polemica interna al Prc, che orienti in modo coordinato e sistematico le sue forze ai luoghi di lavoro, fra i giovani, nei vari terreni di conflitto che si aprono.
Un movimento che sarà aperto non solo ai militanti del Prc, ma a tutti coloro che vorranno sostenere la nostra battaglia, a prescindere dalla loro appartenza o meno al partito. Un movimento che agisca in modo organizzato, che discuta una propria piattaforma programmatica (la cui traccia è già stata al centro del nostro incontro nazionale di Bologna nel luglio scorso), che attraverso l’intervento politico, la formazione dei propri militanti, i propri strumenti di propaganda e di intervento, lavori per fare avanzare la proposta del partito di classe.
Voltiamo le spalle a un dibattito ormai incancrenito, ma non voltiamo le spalle a tutti quei compagni che hanno sperato di poter risolvere la crisi del partito sostenendo opzioni diverse dalla nostra e che ora si ritrovano per l’ennesima volta a mani vuote.