All’indomani del discorso pronunciato da Macron in diretta televisiva, il suo contenuto è esaminato sotto la lente d’ingrandimento e dibattuto tra tutti coloro che si sono mobilitati in queste ultime settimane. Il verdetto è: “tanto fumo e poco arrosto”.
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In particolare, “l’aumento del salario minimo intercategoriale (SMIC) di 100 euro” non è tale: in quella cifra, infatti, sono compresi 58 euro di indicizzazione automatica già previsti per il gennaio 2019; per il resto, essa consiste in un aumento del premio di risultato che non costerà nulla al padronato – e non sarà valido nel calcolo dei contributi utili alla definizione del montante pensionistico.
“Senza che vi siano costi aggiuntivi per il datore di lavoro” è la formula al centro del discorso di Macron e ne coglie il significato più profondo. Il grande capitale può dormire sonni tranquilli: i suoi profitti non saranno minimamente intaccati dal “nuovo contratto per la Nazione” annunciato dal presidente della repubblica. Nei fatti, il grande padronato ne esce persino vincente: da un lato, grazie agli straordinari “detassati e a contributi zero” (soprattutto quelli pagati dai padroni); dall’altro, grazie alla defiscalizzazione dei premi di risultato di fine anno, visto che un certo numero di aziende aveva già previsto di versarne e che nessun meccanismo obbliga le altre ad istituirne.
Se il grande capitale non è toccato ma addirittura beneficia di ulteriori alleggerimenti fiscali, chi pagherà il conto degli annunci di Macron? La risposta è contenuta nella domanda stessa: se non pagano i capitalisti, pagheranno i lavoratori e le classi medie. In quale forma? Macron ha avuto la prudenza di non dire nulla a tale riguardo ma noi lo sappiamo bene: la gran maggioranza della popolazione pagherà il conto sotto forma di tagli alla spesa pubblica e nuovi aumenti delle tariffe. Detto in parole semplici, il poco che è stato elargito con la mano sinistra sarà ripreso con gli interessi dalla mano destra, in conformità al vasto programma di contro-riforme previste per gli anni a venire: pensioni, assegno di disoccupazione, dipendenti pubblici ecc.
Davanti a tale situazione, non sorprende che la gran parte dei gilet gialli si dichiari insoddisfatta – e in conseguenza determinata a proseguire la mobilitazione. Per quel che concerne la gioventù studentesca, ha ancora meno ragioni di chiudere la propria mobilitazione: Macron non l’ha neanche menzionata. Come se gli studenti non esistessero e non rivendicassero nulla. In generale, il movimento di massa che si è sviluppato nel paese non si accontenterà di qualche briciola lanciata qua e là. Come ha detto lo stesso Macron: “Vengono a galla 40 anni di malessere”. Proprio così. Ma proprio per questo Macron non potrà cancellare 40 anni di malessere, sofferenza e umiliazioni distribuendo qualche decina di euro in più al mese ad alcuni settori della popolazione. Molti pensionati, ad esempio, pagheranno meno contributi sociali nel 2019 [a causa della cancellazione dell’aumento della CSG, NdR], ma non smetteranno di impoverirsi, anche in modo rilevante, dopo una vita di duro lavoro, in ragione della deindicizzazione del loro assegno pensionistico. E che dire dei dipendenti pubblici, dei lavoratori pagati più dello SMIC, dei disoccupati, dei lavoratori a part-time imposto ma anche degli artigiani, dei piccoli commercianti e dei piccoli agricoltori? Per loro Macron non ha annunciato nulla. Ancor peggio, saranno tra coloro che dovranno far quadrare i conti con ulteriori sacrifici.
Nei prossimi giorni la mobilitazione dei gilet gialli continuerà. Tuttavia, come indicato con nettezza da Macron, essa sarà sotto il fuoco di una repressione brutale, al pari della lotta della gioventù. Prima di mostrare qualche piccola “carota”, Macron ha infatti brandito il “bastone”, per meglio dire il manganello dei celerini [in Francia CRS, Compagnia Repubblicana di Sicurezza, NdR] e delle forze speciali. Inoltre, il movimento dei gilet gialli è senz’altro potente, profondo e molto combattivo ma, se non sfocia rapidamente in una movimento ampio di sciopero a oltranza, il governo non cederà su nulla di sostanziale. Dopo settimane di mobilitazioni, la stanchezza rischia di farsi sentire anche nel movimento. Questa stanchezza è prevista nei calcoli del governo che attende la tregua natalizia con un’impazienza febbrile.
L’abbiamo detto e ripetuto: o un movimento di sciopero si sviluppa in tempi brevi oppure, nelle prossime settimane, il movimento dei gilet gialli rischia un temporaneo riflusso. Ma anche in quest’ultima ipotesi, Macron non avrebbe certo regolato i conti coi “40 anni di malessere che vengono a galla”. Il suo governo sarebbe in una posizione ancora più fragile di quello di Chirac all’indomani del grande sciopero a oltranza del 1995. Un punto di non-ritorno è stato toccato.
Ogni nuovo attacco del governo potrà generare una nuova e potente mobilitazione di massa, ad un livello ancora più alto di quello registrato in queste settimane. Indipendentemente dalle sue prospettive immediate, il movimento dei gilet gialli è già riuscito a mettere il governo di Macron sull’orlo del baratro. E non vediamo come il governo potrebbe non caderci dentro nei giorni, nelle settimane o, al massimo, nei mesi a venire.