È davvero meraviglioso il movimento di studenti e lavoratori cileni che da tre mesi tiene testa al governo di destra di Sebastian Piñera, nonostante la brutale repressione dei carabineros, i loro attacchi deliberati a colpi di bombe lacrimogene alle sedi del Partito Comunista Cileno e del Sindacato dei lavoratori delle cartiere, le migliaia di arresti.
Fino ad arrivare alla morte di Manuel Gutierrez, giovane liceale di appena 14 anni, assasinato da un colpo sparato ad altezza di ragazzino al termine della imponente manifestazione di giovedì scorso. È un intero paese quello che attraverso i suoi studenti e lavoratori vuole realizzare quello che il centrosinistra cileno non è riuscito a fare in 20 anni di governo: farla finita con la dittatura e le sue leggi e una pilotata transizione alla democrazia che fa del Cile il paese con le più profonde disuguaglianze sociali tra quelli dell’OCSE.
L’educazione di Pinochet
Le mobilitazioni studentesche sono iniziate dopo l’annuncio del governo di voler procedere ad una riforma del sistema educativo. Ma come già era successo con il precedente governo di centrosinistra guidato dalla socialista Michelle Bachelet, nessuna delle misure proposte da Piñera andavano a modificare il carattere privato del sistema educativo cileno, che anzi ne usciva rafforzato e ancora più classista.
La dittatura di Pinochet ha ridotto la spesa pubblica nell’istruzione dall’8,9% medio degli anni del governo della Unidad Popular di Allende a meno del 3%. In più lo Stato ha cominciato a finanziare in modo identico tanto le scuole pubbliche quanto le private (che comunque sono a pagamento), in funzione del numero di alunni. Il risultato è stato che mentre le scuole private possono disporre di rette, finanziamenti statali e donazioni, le scuole pubbliche devono, in regime di autonomia, attrarre il maggior numero di studenti per poter funzionare. La media di alunni per classe nelle superiori cilene è di 34, nelle pubbliche si superano i 40.
L’università è di fatto totalmente privata e a pagamento. Per ogni 100 euro spesi per l’istruzione universitaria, 84 euro sono a carico delle famiglie. Per poter andare all’università i figli di lavoratori, impiegati e ceti medi devono nella stragrandre maggioranza dei casi stipulare prestiti per 25 anni, a tassi di interesse del 6 o 7%, superiore a quelli del mutuo per la casa. Ci sono più di centomila studenti in mora con le banche, che hanno dovuto rinunciare non solo allo studio ma anche a scegliersi il futuro. Risultato di tutto questo solo il 16% dei figli dei lavoratori arrivano alla laurea, percentuale che sale al 60% tra le classi privilegiate.
La riforma di Piñera
La riforma educativa del governo, chiamata in modo altisonante “Legge per assicurare la qualità della educazione”, istituisce, al costo complessivo di 68 milioni di dollari, due agenzie per valutare la qualità della educazione negli istituti pubblici e privati, un sistema di selezione per presidi e di aumenti salariali selettivi al personale docente in base a criteri di “produttività”. Infine si istituiscono 60 licei pubblici “d’eccelenza” per i migliori alunni a livello nazionale. È in pratica un modo per rendere ancora più insopportabile la selezione di classe nel sistema educativo e per introdurla anche tra i lavoratori della scuola.
Agli studenti e i professori che hanno iniziato a mobilitarsi Piñera ha risposto con qualche promessa demagogica – come quella di rivedere la situazione dei centomila universitari in mora con le banche e di ridurre i tassi di interesse dei mutui per l’istruzione – perchè, come dallo stesso presidente affermato, “tutti vorremmo che istruzione, sanità e abitazioni siano pubbliche e gratuite, ma alla fine qualcuno deve pagare... se diamo una istruzione gratuita per tutti la stiamo dando, con i soldi dei più poveri, anche a quel 10% più ricco della popolazione”.
Già: alla fine qualcuno deve pagare, è quello che si sente dire in tutto il mondo in quest’epoca di crisi. Solo che per la borghesia, la destra e Piñera a pagare devono essere i lavoratori, che in realtà già pagano le spese per una istruzione alla quale difficilmente i loro figli avranno accesso. Per gli studenti in cambio devono pagare lo Stato, le imprese e quel 10% della popolazione, e l’educazione di qualità dev’essere garantita, pubblica e gratuita, a tutti. Il nocciolo della questione, della lotta di classe in Cile è tutto qui.
Le disuguaglianze sociali in Cile
La riforma introdotta dalla Bachelet nel 2006, che si limitava a stabilire criteri per definire la qualità della educazione, suscitò un gran movimento di studenti medi, ferocemente represso. Questa fu una delle cause della sconfitta elettorale della Concertaciòn de Partidos por la Democracia, la alleanza di centrosinistra tra il Partito Socialista che fu di Allende e i partiti della destra, la Democrazia Cristiana in primis, che in cambio sostennero il golpe di Pinochet dell’11 settembre 1973. Dopo 20 anni ininterroto di governo dalla fine della dittatura nel 1990, il centrosinistra cileno fu sconfitto nel 2009 dalle destre più organicamente vincolate alla borghesia cilena, al capitale internazionale che investe in Cile e al programma economico della dittatura, quello redatto da Pinochet con quel gruppo di economisti borghesi passati alla storia come “Chicago Boys”.
Stavolta però le cose stanno andando diversamente. Agli studenti medi si sono andati unendo quasi fin da subito prima gli universitari, poi il sindacato nazionale dei professori, e infine i lavoratori, specie quelli di un settore strategico per l’economia cilena, cioè i minatori. Le ragioni sono molteplici. Da un lato il governo di Piñera ha manifestato l’intenzione di disfarsi privatizzandoli anche di quelle conquiste dell’epoca di Allende ancora in piedi, come CODELCO, l’azienda statale del rame. Dall’altro il non avere di fronte un governo con la presenza del Partito Socialista ha motivato la Centrale Unitaria dei Lavoratori cileni (CUT), dove i socialisti sono maggioranza, a passare alla controffensiva, canalizzando un descontento che montava da tempo.
La Costituzione e la Legge generale del lavoro vigenti sono quelle promulgate da Pinochet negli anni ’80 ed hanno provocato una maremoto nel movimento operaio cileno. Il contratto è aziendale e non nazionale, gli aumenti salariali sono concessi come percentuale al salario minimo nazionale che è attualmente di 220 euro e non esiste un vero diritto allo sciopero, se non a livello di singola azienda. I padroni hanno diritto di licenziare in base ad esigenze aziendali e pagando al massimo una indennità di fine rapporto pari a 11 mensilità. Queste sono alcune delle ragioni per le quali la CUT, che è l’unica confederazione sindacale in Cile, raggruppa meno del 20% dei lavoratori.
Studenti e lavoratori per un Cile differente
Mentre le leggi della dittatura smontavano pezzo dopo pezzo ogni conquista sociale dell’epoca di Allende e delle lotte anteriori, il Cile sprofondava in profonde disuguaglianze. La disoccupazione è al 7,4%, il 20% dei cileni vive con meno di 92 euro al mese. Ed anche se sembra incredibile questi non sono i dati di una crisi. Tutt’altro, il Cile vive un periodo di boom economico con tassi di crescita quasi del 7%, trainato dall’aumento del prezzo delle materie prime, in primo luogo il rame cileno che copre il 36% del fabbisogno mondiale. CODELCO è difatti la principale fonte di introiti del bilancio nazionale, ma opera oramai meno di un terzo delle miniere. Le imprese private, a capitale principalmente inglese, fatturano somme uguali all’80% di tutto il bilancio nazionale cileno, come fatto osservare da Cristian Cuevas il dirigente sindacale dei minatori.
A fronte di questi dati il congresso della CUT celebrato in aprile ha dichiarato questo come l’anno delle mobilitazioni sociali. I delegati al congresso, che non sono eletti ma nominati dalla direzione motivando le richieste per una democratizzazione del sindacato, cercavano così di esprimere il profondo malessere maturato tra i lavoratori. Il movimento studentesco ha dato al movimento operaio un quadro amplio di mobilitazioni nel quale intervenire, ed ha ricevuto da quest’ultimo una spinta ulteriore e la forza necessaria per andare avanti.
I professori e i minatori sono stati i primi a partecipare alle manifestazioni studentesche. Nel nord del paese, la zona mineraria dove furono fondati i primi sindacati ed il Partito Comunista, i minatori scioperavano con gli studenti con slogan come “nazionalizzare il rame per l’educazione gratuita”. L’11 luglio tutto il settore minerario ha incrociato le braccia con una partecipazione allo sciopero del 100%. Alla fine la CUT ha proclamato uno sciopero generale di 48 ore per il 24 e 25 agosto scorsi.
Lo sciopero è stato un successo enorme. Il governo ha cercato di minimizzare la partecipazione allo sciopero, presentando cifre che da un 5% si sono poi stabilizzate a poco meno del 20%. Ma la realtà è che il Cile si è fermato, la CUT stima che l’80% dei lavoratori del settore pubblico abbiano scioperato. Ed anche se è difficile avere stime della partecipazione nel settore privato la presenza di minatori, operai, lavoratori del trasporto pubblico e privato, sindacati aziendali ecc. in tutte le manifestazioni che da un estremo all’altro del paese hanno riunito quasi un milione di cileni sono un indizio sicuro del successo dello sciopero. Ben 4 sono stati i cortei che hanno paralizzato Santiago, portando in piazza più di trecentomila lavoratori, studenti e organizzazioni varie stanche della repressione e delle disuguaglianze.
Il ruolo della CUT, del PS e del PCC
Il manifesto dello sciopero chiamava tutti i cileni a scendere in piazza con la CUT per un Cile differente. Come detto da Cuevas che con i minatori ha preso parte al corteo degli universitari, questa per i cileni “è una occasione storica per farla finita con la dittatura e con questa transizione incompleta”. Una occasione che è anche una enorme responsabilità per la CUT e i partiti della classe lavoratrice, quello socialista e particolarmente il partito comunista.
Alla fine dello sciopero Martinez, dirigente socialista della CUT, ha annunciato un patto tra 80 organizzazioni di lavoratori e studenti denominato Accordo per la Democrazia Sociale in Cile, che si propone mantenere in mobilitazione la società civile per esigere dal governo una riforma costituzionale, del lavoro ed un referendum per dirimere il tema dell’educazione. Questi punti sono al centro anche della proposta che il PS sta facendo al movimento e al governo, con il sostegno della CUT e il silenzio in definitiva del PC.
Intanto la destra scalpita. Il sindaco di destra di Santiago chiede l’intervento dell’esercito per mettere fine alle manifestazioni, e vari ministri cercano di portare dal lato del governo ai genitori degli alunni delle superiori, dove gli istituti sono in occupazione da quasi 2 mesi, commercianti ecc. I carabineros intanto, protetti dalla Legge della sicurezza interna che gli da poteri speciali per difendere l’ordine pubblico dalle manifestazioni sociali, arrestano, reprimono, sparano. L’assassino di Manuel resterà impune, così come quei carabineros che alla fine delle manifestazioni se ne andavano a lanciare lacrimogeni nelle sedi del PC e dei sindacati.
La CUT, la sua maggioranza socialista, dice di voler rappresentare la società civile e la voglia di vera democrazia nel paese. Il PS cerca di offrirsi al movimento come canale con le istituzioni e allo stesso tempo preservare l’unità del centrosinistra cileno. Perchè il suo principale alleato, la DC, la legge contro cui manifestano gli studenti l’ha votata, così come altri pezzi importanti del centrosinistra cileno. Ma il PC avrebbe tutte le possibilità per rompere gli indugi e proporre al movimento un programma più avanzato di lotta e una alternativa complessiva al paese, invece di fare da stampella al PS. Un programma più avanzato per l’abolizione delle leggi della dittatura, la riforma della legge del lavoro, ma anche la nazionalizzazione del rame, una tassazione fortemente progressiva sui redditi per garantire pensioni e case pubbliche, salute ed educazione gratuite. Proponendo inoltre al movimento, attraverso i militanti comunisti, la formazione di comitati operai-studenti che dirigano la lotta e permettano la più ampia partecipazione della base.
Ma c’è un altra questione oltre a quella del programma. Non si può pensare che questo movimento continui senza porsi due problemi fondamentali: quale governo può realizzare le sue rivendicazioni e se non è Piñera, allora chi? Fino ad oggi nessuno tra CUT, PS e PC ha, per ragioni distinte, lanciato lo slogan della caduta del governo. Questo gioca a favore di Piñera, che oramai già non rappresenta Cile nonostante la maggioranza parlamentare ottenuta grazie anche ai voti democristiani. E gioca contro il movimento che nonostante la forza e la determinazione dimostrate non potrà mantenersi in piedi all’infinito, senza porsi la questione centrale del potere e di chi lo gestisce. Il PC dovrebbe immediatamente lanciare alla CUT lo slogan dello sciopero politico fino alla caduta di Piñera e al PS, la cui militanza di base sarebbe pronta a sostenerla, una proposta di fronte unico per un governo dei partiti dei lavoratori su di un programma socialista.
Il movimento cileno, fonte di speranza
C’è una ultima considerazione che ci sentiamo di fare. Il Cile esce da quasi vent’anni di dittatura e altri venti di governo di un centrosinistra che è stato capace solo di mettere qualche pezza a quanto di più oltraggioso fatto dalla dittatura, senza essere neppure riuscito a giudicarne i colpevoli. Questo attrae le speranze di ogni cileno sugli studenti e i lavoratori che oggi sono in piazza nonostante 40 anni di disintegrazione sociale e arretramenti del movimento operaio.
Tra il 1990, le prime elezioni libere, e il 2009 il PC era praticamente scomparso dal parlamento. Eleggeva zero deputati nonostante percentuali che si aggiravano attorno al 7%, per il rigido sistema binominale cileno, introdotto, anche questo, dalla dittatura. Ne è riuscito ad eleggere 3 grazie ad un accordo tecnico con il centrosinistra che fece precipitare i suoi voti al 2%, perchè dimostratosi incapace di rappresentare una alternativa al centrosinistra quando questo era in declino, anzi accordandosi con quest’ultimo nel suo momento peggiore. Ma non è stato questo che ha riportato i comunisti cileni ad avere un ruolo di primo piano nella vita politica del Cile. È stata questa generazione di studenti e lavoratori cresciuti nella “democrazia” che senza tatticismi si mobilita per un Cile differente. Una lezione che è anche una speranza ed una occasione importante per il movimento comunista cileno.
Translation: FalceMartello (Italy)