In Europa il vento della lotta di classe torna a soffiare forte. In Francia l’effetto Macron è durato pochi mesi. La sua popolarità è crollata nei sondaggi e l’attacco che sta portando avanti nei confronti del movimento operaio lo farà precipitare. La Loi travail XXL vuole assestare un colpo definitivo al movimento operaio organizzato, prevedendo tra l’altro, la fine nei fatti del Contratto collettivo nazionale e licenziamenti molto più facili.
La risposta è stata immediata: 400mila persone sono scese in piazza lo scorso 12 settembre e altre decine di migliaia nove giorni dopo (di cui 50mila solo a Marsiglia), nelle giornate d’azione convocate dalla Cgt. Lo sciopero generale si pone all’ordine del giorno. Ancora una volta l’esperienza francese dimostra l’instabilità della situazione in Europa e la natura effimera delle vittorie elettorali per la borghesia.
Il vento della rivolta soffia ancora più forte al di là dei Pirenei, dove attorno alla questione del referendum sull’indipendenza catalana è esplosa una mobilitazione di massa. Per la borghesia e il governo catalano il referendum doveva essere un mezzo per far pressione sul governo centrale e ottenere maggiori risorse. Ma il governo di destra di Rajoy non può fare alcuna concessione sulla natura unitaria della Stato, per il nazionalismo spagnolo è una questione di principio. E dunque ha messo in campo ogni misura repressiva, fino al colpo di mano del 20 settembre, quando ha arrestato 14 alti funzionari e sospeso nei fatti l’autogoverno della Catalogna.
La reazione è stata fulminea, 50mila persone sono scese in piazza a Barcellona, altre decine di migliaia in tutto il paese: un fiume in piena che non accenna a diminuire.
L’entrata delle masse sulla scena ha cambiato totalmente la situazione. Per i giovani e i lavoratori catalani il referendum non è un gioco di palazzo, ma un occasione per decidere il proprio futuro, per riprendersi i propri diritti e assestare un colpo al governo reazionario di Madrid. È un movimento progressista che appoggiamo senza esitazioni.
Gli slogan nelle manifestazioni definiscono molto bene il clima: “Viva la repubblica catalana!”, “la Catalogna è antifascista!”, e “sciopero generale!”. I portuali di Barcellona si sono rifiutati di rifornire la nave che ospita i poliziotti mandati da Madrid per reprimere il movimento. Nei quartieri giovani e lavoratori organizzano comitati in difesa del referendum.
La mobilitazione di massa sta assumendo un carattere sempre più di classe; la borghesia catalana osserva con terrore le mobilitazioni, è contraria all’indipendenza e sui propri giornali, come la Vanguardia, invita alla moderazione e al dialogo.
Chi, in Italia (e particolarmente a sinistra) equipara la questione catalana alla Padania dimostra una conoscenza molto approssimativa della situazione. La Spagna “una e indivisibile” è sancita in una Costituzione che stabilisce la supremazia dello Stato spagnolo sulle minoranze nazionali: i catalani, i baschi, i galiziani… costretti a vivere all’interno dei suoi confini senza potere esprimere la propria scelta in merito.
Aldo Garzia in un editoriale del Manifesto (21 settembre) afferma: “Sbaglia perciò l’Europa a rimanere neutrale”. Da che parte bisognerebbe stare, secondo questi intellettuali della sinistra che fu? Da quella delle nazioni oppresse? Ma figuriamoci! Bisogna schierarsi contro la secessione chiesta “in barba alla Costituzione”! Una Costituzione, quella del 1978, che ha lasciato intatto l’apparato dello Stato franchista, che affida all’Esercito la difesa dell’integrità dello Stato e che individua la figura di un Re borbone come garanzia dell’ordine costituito, vale a dire quello capitalista!
Ecco le miserie del riformismo, che quando fa della legalità borghese il suo zenit, non riesce a sostenere nemmeno il più elementare diritto democratico: quello del voto. I paragoni con lo smembramento della Jugoslavia rivelano inoltre una completa disonestà intellettuale. La creazione della Slovenia e della Croazia costituì un passo necessario per la restaurazione del capitalismo e la penetrazione dell’imperialismo. Oggi la nascita di una repubblica in Catalogna, sulla base della mobilitazione di massa crescente, provocherebbe una seria crisi del regime del 1978, costituitosi allora proprio per impedire uno sviluppo rivoluzionario dopo un quarantennio di dittatura franchista. Una repubblica catalana metterebbe all’ordine del giorno la questione della repubblica in tutto il resto dello Stato spagnolo. C’è qualcuno che si può permettere di affermare che il rovesciamento di una monarchia non sia un fatto progressista?
E l’Europa? Si è già pronunciata, e “rispetta l’ordine costituzionale della Spagna”. Ma di quale Europa stiamo parlando? Di un unione libera dei popoli, o dell’Unione europea baluardo dell’austerità, delle multinazionali e della globalizzazione capitalista? La nascita di una repubblica catalana metterebbe in crisi anche l’Unione europea. E ben venga questa crisi!
Il referendum catalano ha implicazioni rivoluzionarie, perché pone in discussione lo status quo. Milioni di persone stanno comprendendo, attraverso la propria esperienza attiva, la natura dello Stato come organo repressivo. Questo terrorizza i riformisti, in Italia come in Spagna, ma deve invece entusiasmare i rivoluzionari, che queste istituzioni borghesi, marce e antidemocratiche, le vogliono smantellare!
Marx spiegava come “non è libero un popolo che ne opprime un altro” comprendendo pienamente l’importanza delle rivendicazioni democratiche nella rivoluzione socialista. Solo garantendo la libertà di decidere sul proprio destino da parte di tutti i popoli si può costruire un vero internazionalismo.
La lotta per i diritti democratici, che i comunisti devono portare avanti risolutamente, oggi è incompatibile con gli interessi del capitalismo. I giovani e i lavoratori catalani lo comprenderanno sempre più chiaramente. Una repubblica socialista catalana, all’interno di una federazione socialista iberica, sarebbe un catalizzatore per la lotta di classe in tutto il continente.
A questa prospettiva lavora con tutte le sue forze la Tendenza marxista internazionale, in Italia, in Spagna e in tutto il mondo.