Domenica 15 aprile, centinaia di migliaia di persone sono scese di nuovo in piazza a Barcellona contro la repressione dello stato spagnolo. La rivendicazione principale era la libertà per i prigionieri politici catalani – i manifestanti hanno marciato sulla base dello slogan “Us Volem a Casa” (“Vi vogliamo a casa”). Questo è accaduto alla fine di una settimana in cui lo stato ha tentato (e ha fallito) di accusare di terrorismo militanti del Comitato per la Difesa della Repubblica (CDR). La massiccia dimostrazione ha rivelato la capacità di ripresa del movimento, nonostante una direzione incapace di indicare quale strada seguire.
La manifestazione a Barcellona è stata molto grande. Un’ora prima dell’ora di inizio prevista c’erano già decine di migliaia di persone che riempivano tutta Avinguda del Paral·lele Plaça d’Espanya. Oltre 900 pullman sono stati organizzati da città grandi e piccole in tutta la Catalogna. La manifestazione era stata originariamente convocata dopo la carcerazione di altri cinque membri del precedente governo catalano e la detenzione del presidente catalano Carles Puigdemont (poi scarcerato) in Germania tre settimane prima.
La risposta immediata all’arresto degli altri cinque membri del governo catalano (per un totale di sette attualmente in detenzione preventiva) è stata organizzata attraverso i CDR, che hanno rapidamente coordinato manifestazioni di massa combattive con una serie di blocchi stradali e ferroviari la settimana seguente, culminati con l’apertura dei caselli autostradali nel fine settimana di Pasqua. Chiaramente, la parte più avanzata del movimento considera i cortei di massa (in cui i partecipanti si spostano dal punto A al punto B – e non ottengono nulla) come insufficienti per portare avanti la lotta, e c’è stata una richiesta crescente di convocare uno sciopero generale.
Le masse a testa alta, nonostante la debolezza della direzione
I principali sindacati, Cominsiones obreras (CCOO) e UGT, non potevano permettersi di rimanere con le mani in mano dopo gli arresti scandalosi e l’aumento della repressione di stato. Così sono ricorsi alla tattica ben conosciuta di convocare un’azione che non fosse troppo combattiva e potesse essere incanalata su un terreno sicuro, il più lontano possibile dagli avvenimenti contestati – in questo caso, tre settimane dopo.
Pertanto, una coalizione ampia ha convocato questa manifestazione. La coalizione coinvolge le due principali organizzazioni di massa a favore dell’indipendenza (ANC e Òmnium) e la maggior parte delle organizzazioni di massa in Catalogna (i principali sindacati CCOO e UGT, la federazione delle associazioni dei genitori FAPAC, la confederazione delle organizzazioni di inquilini CONFAVC, l’unione dei contadini UP e così via). Nel momento in cui fu convocata, lo scopo della manifestazione non era organizzare la lotta contro la repressione, ma fornire un canale sicuro per sfogare la rabbia.
Il manifesto ufficiale quindi è stato il più vago e generico possibile: esprimeva “preoccupazione” per la “violazione dei diritti fondamentali e delle libertà democratiche” ma anche per la “polarizzazione sociale creata nella situazione attuale”. Non faceva riferimento ai prigionieri politici in maniera esplicita né ne esigeva il loro rilascio, ma parlava piuttosto in termini vaghi su come “i problemi politici richiedono una soluzione politica, non la repressione” e invita “le istituzioni catalane, statali ed europee” a “trovare forme e spazi per un dialogo politico e una negoziazione”.
Ciononostante, le masse si sono mobilitate nuovamente, in una prova di forza, per dimostrare la loro opposizione alla repressione statale. Secondo la polizia locale di Barcellona, c’erano 315.000 presenti. Gli organizzatori fanno salire questa cifra a 750.000. Erano presenti politici di tutti i partiti indipendentisti, oltre a quelli di Catalunya en Comú (l’alleato catalano di Podemos):
Attivisti del CDR detenuti con l’accusa di terrorismo
Nella settimana precedente è stato compiuto un ulteriore passo avanti nella campagna di criminalizzazione lanciata contro i CDR. Martedì 10 aprile, due attivisti del CDR sono stati accusati di ribellione, sedizione e terrorismo. La Guardia Civil ha operato un arresto di altissimo profilo di una di loro, Tamara Carrasco, 30 anni, del CDR Viladecans, che che è stata prelevata in casa sua da poliziotti armati di passamontagna armati di fucili d’assalto e portata fino all’Alta corte (Audiencia nacional) a Madrid. I mass media erano pronti a coprire la notizia dell’arresto e il pubblico ministero ha fatto trapelare ogni sorta di dettagli incriminanti. Si è detto che era una “coordinatrice” delle “azioni di sabotaggio” dei CDR. È stato reso pubblico un file audio in cui lei avrebbe discusso di azioni di sabotaggio nei confronti dell’aeroporto di Barcellona, dei treni merci e dei cavi in fibra ottica. Inoltre, i giornali hanno riferito che, durante il suo arresto, la polizia aveva sequestrato “alcuni documenti relativi alle caserme della Guardia Civil a Barcellona”, dando la chiara impressione che fosse coinvolta nella pianificazione di un attentato terroristico. L’altro attivista del CDR non ha potuto essere arrestato e un mandato di arresto è stato emesso nei suoi confronti.
I motivi per accusare Tamara di terrorismo si basano sulla riforma del 2015 della legislazione antiterrorismo, concordata tra la destra del Pp al governo e la socialdemocrazia del Psoe all’opposizione”. All’epoca giustificarono il provvedimento con l’esigenza di perseguire efficacemente i terroristi islamici “lupi solitari”. Di conseguenza, non è necessario far parte di un’organizzazione terroristica per essere accusati di terrorismo. La nuova formulazione della legge consente allo stato di perseguire per terrorismo chiunque sia coinvolto in “disordini pubblici” o azioni contro “proprietà dello stato”, purché la loro intenzione sia quella di “imporre ai poteri pubblici di operare in un certo modo o di smettere di operare” o semplicemente di “alterare gravemente la pace pubblica”.
Fondamentalmente, chiunque sia responsabile di atti odiosi come, ad esempio, un blocco stradale durante una protesta o uno sciopero; o la resistenza a uno sfratto, può essere accusato di terrorismo.
Lo stesso giorno, altri sei attivisti del CDR sono stati arrestati dalla polizia catalana, i Mossos, a Malgrat de Mar, Solsona, Dosrius, Arenys de Mar e el Pont de Vilomara, per il loro ruolo nelle proteste davanti al Parlamento catalano il 30 gennaio , quando sembrava che Puigdemont potesse essere eletto presidente della Generalitat. Sono stati tutti accusati di aver aggredito un agente delle forze dell’ordine, di disordine pubblico e disobbedienza, e sono stati rilasciati in attesa di processo.
Nel giorno in cui sono avvenuti questi arresti, migliaia di persone sono scese in piazza a Barcellona e in altre città con lo slogan “Siamo tutti CDR” e gridano “Voi, fascisti, siete i veri terroristi!”
Nel caso di Carrasco, è stata accusata di terrorismo a causa della sua partecipazione a un blocco stradale pacifico dopo l’arresto di Puigdemont. Dopo essere stata trattenuta per 48 ore a Madrid, è finalmente apparsa di fronte al giudice dell’Alta corte. Ricordiamo che l’Alta corte persegue i crimini contro lo stato ed è il diretto successore del “Tribunal de Orden Público” dell’epoca di Franco, a sua volta una continuazione del “Tribunal Especial para la Represión de la Masonería y el Comunismo” del 1940. Il messaggio inviato dallo stato è stato chiaro: “i CDR sono pericolosi, radicali e fautori del terrorismo e quindi devono essere soppressi”, e inoltre: “se sei coinvolto nella protesta contro la repressione, puoi andare in prigione accusato di terrorismo”.
Nel caso concreto, i capi di accusa erano così scandalosi che sono completamente crollati. Secondo il suo avvocato, il materiale sequestrato dalla casa di Carrasco durante il suo arresto includeva manifesti del CDR, una maschera del prigioniero politico Jordi Cuixart, un fischietto (!!), il suo telefono cellulare e computer portatile. La cosiddetta “documentazione sulle caserme della Guardia Civil” si è rivelata uno screenshot di Google Maps sulla posizione delle caserme che aveva salvato per orientarsi mentre si dirigeva a un presidio fuori dalla caserma! Nonostante le intenzioni del pubblico ministero, il giudice ha respinto accuse di ribellione, sedizione e terrorismo e ha solo accusato Tamara Carrasco di “disordine pubblico”. È stata rilasciata senza cauzione, ma non può lasciare la sua città natale di Viladecans senza il permesso del giudice.
Il caso di Carrasco è molto interessante, visto che viene da Viladecans, una città molto proletaria nel Baix Llobregat, con un’alta percentuale di spagnoli. È un’attivista locale impegnata nella lotta contro i tagli al sistema sanitario ed è stata attiva nel circolo locale di Podemos, al punto di essere eletta nelle elezioni del 2015 come parte di una lista locale legata al partito. Poi ha fatto parte della difesa dei seggi elettorali durante il referendum del 1 ° ottobre ed è ora attiva nel CDR locale.
Rivela come uno dei fili della lotta in Catalogna è composto da attivisti dei movimenti sociali, che facevano parte del movimento degli indignados del 15M, sono rimasti delusi da Podemos e ora vedono la lotta per una Repubblica catalana come una continuazione della loro lotta contro il regime del 1978 e per il cambiamento sociale decisivo.
Impasse politico
La situazione in Catalogna è a un vicolo cieco. La repressione dello stato spagnolo non è certamente riuscita a porre fine al movimento, ma i suoi leader politici hanno completamente capitolato e accettato i limiti imposti da questa repressione. Ci sono stati quattro tentativi da parte del Parlamento catalano di eleggere un presidente e in tutte queste occasioni il giudice spagnolo ha bloccato l’elezione.
La decisione della corte tedesca di non estradare Puigdemont rispetto alle accuse di ribellione è stato un duro colpo alla strategia del giudice Llarena dalla Corte costituzionale spagnola. La classe dominante tedesca ha cercato di inviare un messaggio alla sua controparte spagnola: il conflitto in Catalogna deve essere risolto attraverso negoziati politici. Ovviamente il governo tedesco ha rapidamente aggiunto “nei limiti della legalità spagnola e della Costituzione”, il che significa che non si può parlare di autodeterminazione.
L’ex presidente spagnolo Felipe González, uno strenuo difensore del regime che ha pubblicamente chiesto l’uso dell’articolo 155 per esautorare il governo catalano in ottobre, ha anche detto che pensa che i politici catalani non dovrebbero rimanere in prigione. È chiaro che una parte della classe dominante può vedere come i politici catalani (sia dell’ERC che del PDECAT) hanno già accettato i limiti imposti dalla repressione spagnola e sono del tutto pronti a rimanere all’interno della Costituzione. Vorrebbero una soluzione negoziata in Catalogna, in cui, forse, potrebbero essere concessi maggiori poteri di riscossione delle tasse all’autonomia catalano, i politici rilasciati a patto che qualsiasi idea di una repubblica catalana indipendente sia abbandonata sine die.
Esistono tuttavia numerosi ostacoli importanti per lo sviluppo di questo scenario. Da un lato, la repressione contro la Catalogna non è necessariamente guidata dalle sezioni più astute della classe dirigente spagnola, ma piuttosto dall’apparato statale spagnolo: un’istituzione completamente reazionaria che tutela i propri interessi. Il regime spagnolo ritiene che la sua autorità sia stata messa in discussione lo scorso primo ottobre e che debba essere applicata una punizione esemplare in modo che nessuno osi mai ripetere un tale atto di sfida.
Per il regime non è sufficiente che i politici catalani accettino i limiti della Costituzione: devono essere schiacciati e umiliati. In una delle ultime sentenze del giudice Llarena contro gli accusati, ha usato come argomento il “fatto” che “non si può vedere nella loro sfera psicologica interiore un elemento sufficiente che ci permetta di concludere che il loro rispetto per le decisioni di questo giudice sarà permanente”. Apparentemente, il giudice ha il potere di scrutare nella “sfera psicologica interiore” per determinare cosa farà l’accusato in futuro. Questa è una situazione da incubo, degna del 1984 di Orwell!
D’altro canto, il PP al governo è debole e impantanato in scandali di corruzione. L’ultimo ha visto la falsificazione di un diploma di master da parte del presidente della regione di Madrid, Cristina Cifuentes. Ciudadanos, il partito ultra-liberale simile a quello di Macron, ha già superato il PP nella maggior parte dei sondaggi di opinione e ha una posizione ancora più reazionaria sulla questione catalana. Se il governo del PP dovesse essere considerato debole, conciliante o provare ad avviare negoziati con i “separatisti del complotto” catalani, ciò andrebbe a beneficio solo di Ciudadanos. Sono quindi intrappolati.
Infine, i dirigenti catalani del PDECAT e dell’ERC filo-indipendentista hanno dimostrato di essere disponibili a rispettare la legge, non avendola mai violata in difesa della volontà popolare dal 27 ottobre, quando lo stato ha esautorato il governo catalano. Anche la loro posizione è scomoda. Da un lato ci sono i CDR, che continuano a mantenere viva la fiamma della lotta. Dall’altro, lo stesso Puigdemont ha bisogno di tenere alta l’attenzione e di impedire che un altro presidente venga eletto, altrimenti sarà completamente fuori dai giochi.
L’unico modo per rompere questa impasse e far avanzare la lotta per abbattere il regime del 1978, dovrebbe essere il ritorno delle masse in piazza sulla base di un programma che combini la lotta per una Repubblica catalana con la lotta per i diritti sociali e democratici . Ciò può essere organizzato solo sulla base dei CDR e dell’organizzazione anticapitalista CUP: l’unico partito indipendentista che si è sempre mantenuto fedele alla lotta per una repubblica.
L’apertura di un “secondo fronte” contro il regime nel resto dello stato spagnolo fornirebbe anche un grande contributo per far cadere un governo che è già alle corde. In questo senso, ci sono una serie di segnali di speranza che rivelano il potenziale di unificazione della lotta per i diritti democratici in Catalogna con la lotta contro il regime nel resto della Spagna.
Unità contro la repressione
Due settimane fa una delegazione dei CDR catalani si è recata a Murcia per mostrare sostegno e solidarietà alla lotta contro la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità nel centro di questa città. I residenti locali portano avanti manifestazioni quotidiane e affrontato la brutale repressione poliziesca da oltre 200 giorni, chiedendo che la linea ferroviaria sia costruita sottoterra anziché dividere la città in due. La visita di una delegazione di solidarietà dalla Catalogna è stata accolta da una reazione isterica da parte dei media locali di destra, ma gli attivisti locali sono stati piacevolmente sorpresi di scoprire che le persone che combattono in Catalogna sono fondamentalmente simili a loro. Il 15 aprile, una delegazione di Murcia ha restituito la visita e si è presentata alla manifestazione a Barcellona, dove è stata accolta calorosamente.
Il 6 aprile si è svolta anche una manifestazione a Madrid per i prigionieri politici catalani. Alla manifestazione hanno partecipato solo poche centinaia di persone perché non aveva l’appoggio ufficiale dei leader di Podemos e di Izquierda unida, ma è stata politicamente molto significativa in quanto ha inviato un messaggio al popolo catalano: “non siete soli” .
Il 14 aprile, anniversario della dichiarazione della Repubblica spagnola, il CDR catalano ha rilasciato una dichiarazione pubblica ricolta ai repubblicani nello stato spagnolo spiegando che la lotta per una Repubblica catalana non si fonda sul nazionalismo, ma piuttosto sulla lotta contro il regime del 1978 , che opprime tutti i popoli in Spagna e la classe operaia nel suo insieme. I rappresentanti dei CDR hanno parlato alla manifestazione repubblicana di Madrid e hanno letto questa dichiarazione.
Queste sono piccole indicazioni di ciò che è possibile fare e indicano l’unica via da seguire. La lotta per una Repubblica catalana può essere vittoriosa solo collegando la difesa dei diritti democratici e nazionali con la lotta per i diritti sociali, contro il regime del 1978 e contro il capitalismo in tutto lo stato spagnolo.