“Un segnale rosso-bianco-rosso di speranza e di cambiamento positivo; un segnale rosso-bianco-rosso che oggi va dall’Austria a tutte le capitali dell’Unione Europea”.
Queste le parole che il compiaciuto liberale Van der Bellen ha pronunciato durante il consueto discorso successivo alla vittoria bewlle elezioni per la Presidenza della Repubblica austriaca.
Alla fine ci sono voluti quattro tornate elettorali prima che sia stato possibile avere un vincitore. La prima elezione, con sei candidati, si è conclusa con un disastro per i candidati dei due partiti di governo, i socialdemocratici e i cristianodemocratici, che insieme hanno preso meno del 23 per cento dei voti. I tre candidati sfavoriti sono arrivati primo, secondo e terzo. Rispettivamente Hofer il candidato dell’opposizione di destra seguito dagli indipendenti liberali Van der Bellen e Irmgrad Griess. Questo ha portato alla caduta del Primo Ministro socialdemocratico Faymann.
A maggio però il secondo turno di questa prima tornata elettorale è stato annullato dalla magistratura a causa di irregolarità nel processo elettorale. Lo scarto tra il liberale Van der Bellen e il candidato di estrema destra Norbert Hofer era molto esiguo, con il primo che preso aveva solo 31.000 voti in più.
Il secondo turno elettorale doveva esserci a ottobre. Ma per una situazione farsesca (causata da problemi tecnici dovuti a una colla difettosa sulle lettere per il voto per corroispondenza) sono state nuovamente rinviate.
Alla fine le elezioni si sono tenute il 4 dicembre e in nome della “stabilità” i risultati sono stati immediatamente accettati da tutti i partiti. Van der Bellen ha ottenuto una vittoria inaspettatamente ampia con un margine di 350.000 voti (53,8%) e con un affluenza al voto relativamente alta, del 74%.
I media internazionali hanno evidenziato questo risultato come un segno di speranza dopo gli shock della Brexit e la vittoria di Trump a cui sono poi seguite le vittorie di candidati presidenziali filo-russi nelle elezioni presidenziali in Moldavia e Bulgaria.
Un recente articolo sul Guardian riflette questo sollievo. Dopo aver descritto in maniera sprezzante il “maschio bianco arrabbiato della classe operaia” (è interessante come per queste persone la classe operaia esista solo quando devono sottolineare la propria presunta superiorità culturale), l’autore ha un messaggio positivo per le istituzioni:
“Piuttosto che vedere la Clinton e Van der Bellen come anomalie, dei contrattempi in una inevitabile tendenza verso il dominio dei populisti della destra radicale, i partiti democratici liberali e i politici di ogni schieramento dovrebbero imparare da loro successi (…) copiare i messaggi dei populisti può forse funzionare per una o due elezioni, ma nel lungo periodo infligge un danno permanente alla democrazia liberale. La stragrande maggioranza delle persone sono alla ricerca di politiche coerenti e convincenti che affrontino la realtà delle sfide odierne in modo inclusivo e positivo”.
Vediamo come si vuole affrontare questa “realtà”.
Coalizione di interessi
La campagna di Van der Bellen è stata la campagna politica più eterogenea che si sia mai vista in un paese capitalista avanzato. È stata orchestrata e finanziata dalla principale banca, la Raiffeisenbank, un gigante finanziario che non solo domina vaste aree dell’economia ma è strettamente legato al partito conservatore, controllando la vita politica e culturale nella maggior parte delle 2.000 città e villaggi del paese. Controlla inoltre i principali quotidiani e riviste.
Contemporaneamente i vertici dei partiti maggiori, i socialdemocratici e i conservatori, hanno appoggiato Van der Bellen. Lo stesso hanno fatto i leader dei principali sindacati e i vertici delle chiese cattolica ed evangelica. Tutti gli intellettuali hanno fatto campagna per Van der Bellen, comprese le pop star. Il NEOS partito liberale di opposizione, nato da una scissione dal conservatore ÖVP, ha fatto appello al voto per Van der Bellen. I Verdi, il partito che ha candidato Van der Bellen, si sono impegnati al massimo nella campagna.
Per la prima volta, si è visto il fenomeno di una campagna sporca finanziata da un industriale liberale che prevedeva licenziamenti di massa e fallimenti nel caso di vittoria di Hofer, descrivendola come l’inizio della “ Öxit” l’uscita dell’Austria dalla UE.
Come se non bastasse, ci sono state centinaia di iniziative personali, di sindacalisti e di studenti che hanno fatto campagna elettorale per Van der Bellen, o meglio, che hanno fatto qualcosa per fermare l’insediamento dell’estrema destra nell’Hofburg, la sede della Presidenza Federale.
Così possiamo vedere come dietro a questa vittoria apparentemente senza macchia del candidato della classe dominante ci sono tutta una serie di interessi contrastanti e di idee, ma nessun programma politico coerente.
Gli exit poll ne danno una chiara indicazione: il 42 per cento degli elettori di Van der Bellen, lo ha votato per una sola ragione: fermare la destra. Questo si è anche riflesso in una maggiore partecipazione al voto. A maggio, Van der Bellen ha preso 200.000 voti da coloro che erano astenuti al primo turno delle elezioni; a dicembre, la sua campagna ha convinto a recarsi al voto altri 170.000 che in precedenza si erano astenuti. L’unica motivazione che ha guidato queste persone è stata quella di fermare la destra.
Dopo il voto del 4 dicembre, questa singolare alleanza è stata seppellita ed è ora storia del passato.
Hofer convince gli arrabbiati
Dall’altra parte c’era Norbert Hofer, il candidato dell’FPÖ un partito di destra. I suoi elettori vogliono una rottura con il sistema politico della Seconda Repubblica. Ma anche qui i motivi non sono sempre gli stessi.
Anche la sua candidatura era in realtà un aggregato di forze contraddittorie, anche se tutte legato a un singolo partito, l’FPÖ che per due anni è stato in testa a tutti i sondaggi.
Osserviamo che minore è il reddito medio di una provincia, maggiore è la percentuale di voti per Hofer. L’85% degli operai ha votato per lui. La principale ragione per cui gli elettori l’hanno sostenuto è che vogliono un “cambiamento nella politica” (62%) e “protestare contro le politiche del governo” (34%). Al contrario, solo l’8% degli elettori di Van der Bellen cita questi due motivazioni.
È chiaro che l’FPÖ ha attirato questo voto di protesta che è forte non solo tra la classe operaia ma anche tra gli strati della piccola borghesia e lo sta utilizzando come una leva per portare avanti politiche antioperaie. L’apparato del partito vuole andare nuovamente al governo, al quale ha partecipato tra il 2000 e il 2007. Quel governo era caratterizzato da duri attacchi alle condizioni di vita delle masse. Questo ha portato a una scissione del FPÖ e a un calo del sostegno popolare al partito, che nei sondaggi veniva dato a meno del 10% e sostanzialmente i suoi sostenitori erano limitati al cosiddetto “terzo campo”, il campo nazionale borghese-liberale. Dopo il 2007 sulla base della formazione di una nuova Grande Coalizione, per dieci anni la FPÖ ha potuto accumulare tutto il malcontento della società che si è espresso nelle elezioni.
Rompere con le politiche di unità nazionale
La Grande Coalizione di governo è di fatto un governo di unità nazionale, che gestisce un paese bloccato in una crisi permanente. La disoccupazione è in aumento ininterrotto da cinque anni, attualmente ci sono 450.000 disoccupati, il tasso più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. I redditi della classe operaia sono in stagnazione da due decenni; sono poi aumentati vertiginosamente i lavoratori precari e i prezzi delle case. Dopo la crisi del 2008-09 i nuovi contratti di lavoro offrono in media stipendi del 30% inferiori di quelli pre-crisi.
In questi ultimi anni la massima priorità del governo è stata il salvataggio delle banche, ad oggi costato quasi 20 miliardi di euro. Indagini parlamentari sulla corruzione e la cattiva gestione del settore bancario non hanno portato a nulla. Alla fine dei conti, i diversi settori della classe dominante si aiutano reciprocamente.
Le dirigenze sindacali sono pienamente integrate nel sistema di unità nazionale. Per molti anni non hanno guidato alcuna protesta sociale e sono stati i fedeli esecutori degli attacchi alle condizioni di vita delle masse. Ciò ha portato queste organizzazioni formalmente potenti, ad una crescente impotenza nelle fabbriche.
Nonostante tutti gli sforzi fatti per mantenere inalterata la situazione politica e per fornire “stabilità”, le contraddizioni accumulate nella società stanno cercando di trovare un’espressione. In questo momento lo fanno attraverso il rafforzamento del FPÖ, per la semplice ragione che tutte le altre strade sono bloccate.
La strategia del FPÖ consiste nell’aspettare finché il sistema istituzionalizzato di collaborazione di classe cada sotto le proprie contraddizioni. Negli ultimi mesi i principali settori della borghesia hanno chiaramente fornito alla direzione del FPÖ l’indicazione di “essere pronta ad assumere responsabilità di governo”, che si è tradotta in un linguaggio più responsabile e nel cambiamento di alcune importanti promesse politiche. Ad esempio, hanno perfino sostenuto politiche a favore della UE, inclusa la richiesta per un mercato del lavoro aperto.
La crisi dei partiti tradizionali
Nel frattempo la socialdemocrazia e i partiti conservatori sono in uno stato di crisi. È chiaro come il rinvio delle elezioni presidenziali abbia agito da freno nel processo di frammentazione del governo. In nome della stabilità istituzionale, le elezioni sono state rinviate per tre volte. Ora che questo ostacolo è stato superato, vedremo come si svilupperà la crisi del governo dopo la pausa natalizia. La cosa più probabile sono nuove elezioni anticipate da tenersi il prossimo anno.
Questa prospettiva si basa sul fatto che quelli che una volta erano i grandi partiti popolari, stanno costantemente perdendo sostegno. I sondaggi danno i conservatori sotto al 20 per cento; i socialdemocratici con il nuovo Primo Ministro potrebbero stabilizzarsi a circa il 25-27 per cento. Ma la FPÖ si trova costantemente ben al di sopra del 30%. Quindi, l’attesa fino al 2018 non far à che portare a un ulteriore deterioramento della situazione.
I grandi industriali si stanno innervosendo, visto che tutti gli indicatori economici del paese stanno peggiorando rispetto al principale mercato per l’export, quello tedesco. Nel frattempo l’imperialismo austriaco sta avendo sempre più problemi in Europa orientale a causa dei “rischi politici” dovuti a una serie di paesi dove la “nuova realtà” dei governi nazionalisti osa condurre politiche che tengano in considerazione gli interessi delle proprie borghese corrotte, invece di accettare che sia il capitale straniero ad avere il controllo, come succedeva nel passato.
Tutto è pronto per un riallineamento politico in seguito alle elezioni anticipate. La maggior parte dei capitalisti stanno chiaramente spingendo per un blocco borghese di governo con l’FPÖ e i conservatori dell’ÖVP. Vogliono migliorare la posizione del capitalismo austriaco, nonostante il deterioramento di tutti i suoi indicatori di competitività in tutte le principali industrie esportatrici.
Questa prospettiva conduce alla prospettiva di una guerra civile aperta sia all’interno della socialdemocrazia che tra i conservatori. Nel partito conservatore, il leader del partito è profondamente impopolare. Parecchie fazioni vorrebbero sfidare la sua dirigenza. Queste hanno il sostegno della maggioranza del partito e anche dei principali capitalisti come la Raiffeisenbank. Così, mentre questa banca appoggiava l’elezione di Van der Bellen per la presidenza, contemporaneamente preparava il terreno al giovane ministro degli Esteri Sebastian Kurz per diventare il nuovo leader del partito cristiano democratico.
Sopravvivere attraverso la demagogia razzista
Kurz è stato ministro per anni ma è stato ben attento a non essere coinvolto nei scandali quotidiani della politica. Ha iniziato da liberale, riciclandosi senza successo nel partito conservatore come scelta della jeunesse dorée [la gioventù dorata]. In seguito, Kurz e altri ministri conservatori hanno demagogicamente usato la crisi dei rifugiati per avanzare una politica di tagli e attacchi ai diritti democratici, giustificandola in un ordine del giorno apertamente razzista. In assenza di un qualsiasi attacco terroristico, lo stato di emergenza è stato sostenuto da argomenti tecnici come “una quantità di rifugiati superiore a 37.500 persone all’anno fa collassare il sistema sanitario”. Se questo argomento fosse vero, anche solo il virus influenzale potrebbe portare il paese alla bancarotta, il caos e l’anarchia.
Questi ministri conservatori stanno tentando di intercettare l’ambiente tra gli strati più arretrati della società, promuovendo nuove leggi e iniziative legate ad argomenti razzisti. HC Strache, il capo del FPÖ, a cui i capitalisti avevano detto di mostrarsi responsabile nel rappresentare gli interessi della borghesia, si è perfino lamentato apertamente di come sia lui il vero razzista e non quei demagoghi all’interno dei conservatori.
D’altra parte, il SPÖ e gli apparati sindacali si stanno sempre più orientando verso la formazione di una coalizione con la stessa FPÖ. Questo significa la rottura dello status quo degli ultimi 30 anni nel quale l’estrema destra dell’FPÖ era esclusa dal gioco politico. A Vienna, questo conflitto sull’orientamento tattico sta portando ad una guerra civile intestina continua nel partito che ha governato la città per un secolo, se si esclude il periodo del fascismo.
Non è ancora chiaro se i cambiamenti nell’orientamento delle vecchie formazioni politiche, dovuti alla fine ormai vicina della strategia di “unità nazionale”, stabilizzeranno temporaneamente il governo o se faranno accelerare lo stato di aperta conflittualità. In assenza di una ripresa dell’economia, è chiaro che il programma di unità nazionale è finito; ora si tratta solo di aspettare il certificato di morte ufficiale.
Nessuna espressione politica dalla classe operaia
Dopo un altro decennio di collaborazione di classe sia nel governo che nelle fabbriche, le organizzazioni della classe operaia sono deserte. Non portano avanti nemmeno le attività più elementari e si rifiutano di parlare di azioni concrete o di politiche di classe indipendenti. Di conseguenza gli apparati burocratici possono perseguire cambiamenti tattici di orientamento per aggrapparsi in qualche modo al potere.
È ovvio che la sinistra politica è stata completamente frantumata dai processi che ci sono stati. La campagna elettorale di Van der Bellen ha accelerato questo isolamento e l’impotenza della sinistra, con le persone e le organizzazioni ancora una volta in ritirata con l’appoggio politico aperto verso questo liberal visto come il “male minore”. Van der Bellen ha usato gli spazi che gli sono stati garantiti per proporre atteggiamenti e politiche di destra. Si è appoggiato sulle cosiddette “tradizioni” rurali dell’Austria, ha abbracciato apertamente il mortale regime del Frontex [Agenzia europea di frontiera], ha sostenuto i tagli alla spesa pubblica e in particolare ha chiesto “unità” scagliandosi contro coloro che volevano condurre una campagna offensiva e manifestare contro Hofer. Solo dopo l’elezione ha dichiarato chiaramente che la sua è una vittoria per la stabilità del sistema, per l’austerità e per le istituzioni europee. Così l’anno 2016 segna anche la capitolazione della sinistra al liberalismo.
Ma la vera novità è questa: la vittoria di Van der Bellen indica che la classe dirigente ha scelto quello che pensa possa costituire un candidato affidabile e collaudato per guidare l’Austria durante il crollo delle premesse politiche della Seconda Repubblica, quelle della collaborazione di classe pacifica. Questa era l’idea principale dei sostenitori di Van der Bellen tra la borghesia e tra la burocrazia del movimento operaio. Mentre la Raiffeisenbank ha giocato un ruolo importante nella sua campagna, allo stesso tempo sta preparando un governo del blocco borghese. Nell’altro fronte, molti dirigenti sindacali sostenevano apertamente Van der Bellen, mentre contemporaneamente lottavano per riorientare il partito socialdemocratico e formare una coalizione con l’Fpö.
Quindi il 2016 è stato anche l’anno in cui le strutture precarie che hanno cercato di reggere allo scoppio della crisi capitalista del 2008, sono finalmente crollate. Noi, come marxisti, capiamo che questa è una condizione preliminare perché la classe operaia possa ottenere una espressione politica indipendente. Solo in questo modo si può superare il malessere della società: tramite una guerra di classe vittoriosa contro il capitalismo.