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All’indomani del discorso pronunciato da Macron in diretta televisiva, il suo contenuto è esaminato sotto la lente d’ingrandimento e dibattuto tra tutti coloro che si sono mobilitati in queste ultime settimane. Il verdetto è: “tanto fumo e poco arrosto”.

La situazione sociale e politica in Francia evolve ad altissima velocità. In meno di un mese, lo svilupparsi del movimento dei gilet gialli ha posto il paese sull’orlo di una crisi rivoluzionaria. Nei prossimi giorni questo limite può essere oltrepassato. Che cosa determinerà questo passo in avanti?

In Francia il movimento dei gilet gialli è a un punto di svolta. Di fronte all’aumento della radicalizzazione che ora minaccia la sopravvivenza stessa del suo governo, Macron ha mutato il suo tono di sfida e ha promesso di “sospendere” l’aumento della tassa sul carburante, la scintilla che ha provocato il movimento. Questa ritirata è arrivata dopo che nello scorso weekend gli scontri nelle strade tra migliaia di manifestanti e la polizia ha provocato 200 feriti solo a Parigi e almeno un morto.

In Francia, centinaia di migliaia di persone stanno partecipando da metà novembre al movimento dei gilet gialli per protestare contro l’aumento delle imposte sui carburanti e, più in generale, contro il costo della vita in costante aumento. Questo movimento è il risultato inevitabile di una crisi economica palpabile e dell’austerità brutale imposta dal governo attuale. Tra tagli ai servizi sociali, aumenti delle tasse e altre misure di austerità, i gilet gialli testimoniano lo strangolamento della popolazione francese a causa dei salari stagnanti e del continuo aumento dei costi della vita.

La mobilitazione dei “gilet gialli” segna una fase importante nello sviluppo della lotta di classe in Francia. Senza partito, senza sindacato, senza alcuna forma di organizzazione preesistente, centinaia di migliaia di persone hanno partecipato a blocchi stradali e di distributori di benzina, spazzando via le minacce e le pseudo-concessioni del governo. Sono sostenuti dalla gran maggioranza della popolazione. La loro determinazione è all’altezza della loro rabbia e della loro sofferenza. Fremono di indignazione contro un governo che non ha cessato di aumentare la pressione fiscale sui lavoratori, sui pensionati e sulle classi medie, mentre i più ricchi beneficiano di ogni sorta di

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Alla fine, dopo mesi di difficili negoziati, i negoziatori britannici e quelli della UE sono arrivati ad una proposta di accordo. Tuttavia, a margine ci sono scritte le istruzioni: accendi la miccia e allontanati in fretta. Sta per scatenarsi l’inferno.

Oggi, 7 novembre 1917 (25 ottobre per il calendario giuliano), 101 anni fa, i lavoratori in Russia abbattevano il capitalismo e conquistavano il potere, guidati dal partito bolscevico. Consideriamo la Rivoluzione d’Ottobre il più grande avvenimento della storia dell’umanità e la celebriamo consigliando la lettura di questo articolo di Lenin, pubblicato per la prima volta nel 1921.

Bolsonaro ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali brasiliane con il 55 percento dei voti, sconfiggendo Haddad, il candidato del Partito dei lavoratori (PT), che ha ottenuto il 45 percento. Le speranze di una rimonta dell’ultimo minuto sono state vanificate. Questa è una battuta d’arresto per la classe lavoratrice e per i settori poveri del paese. Dobbiamo capire cosa significa, cosa ha portato a questa situazione e quale strategia dovrebbe seguire il movimento operaio di fronte a questo governo reazionario.

Una volta, Lenin scrisse un articolo intitolato “Materiale infiammabile nella politica mondiale”. Ma la quantità di materiale infiammabile presente nell’attuale situazione mondiale non ha nulla a che vedere con quella che il leader bolscevico aveva in mente. Ovunque si guardi c’è instabilità, turbolenze e convulsioni: il conflitto tra Russia e Ucraina; la sanguinosa guerra civile in Siria; il conflitto tra Iran, Israele e Arabia Saudita; la questione irrisolta della Palestina e la lunga, ed ugualmente irrisolta, guerra in Afghanistan.

Ieri, primo luglio, c’è stata una massiccia partecipazione alle elezioni, dove erano da assegnare 18229 posti tra il parlamento nazionale e le varie amministrazioni locali, ma senza dubbio le elezioni presidenziali rappresentavano il voto più importante e fondamentale . Con un corpo elettorale di oltre 89 milioni di votanti, la partecipazione, stando ai primi dati di affluenza, sarà una delle più alte della storia. Questo voto rappresenta un vero terremoto politico e sociale, l’oligarchia e l’imperialismo, che sono sempre stati abituati a comandare e a ricevere obbedienza hanno ora un governo con cui devono fare i conti, che ha detto che separerà il potere economico da quello politico e

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Il 14 giugno la Camera dei Deputati argentina ha approvato la legalizzazione dell’aborto. Dopo quasi 20 ore di votazione, ci sono stati 129 voti a favore, 125 contrari e un’astensione. Ma il voto a favore è il risultato di una vasta e massiccia lotta della gioventù contro la violenza di genere, con le mobilitazioni iniziate nel 2015 dopo il brutale omicidio di Lucía Pérez. Il movimento è diventato popolare come #niunamenos.

Dopo quasi tre mesi dalle elezioni del 4 marzo, finalmente il governo 5 stelle – Lega ha giurato davanti al Presidente della Repubblica, lo scorso 1 giugno. In questi tre mesi non sono mancati i colpi di scena e i cambiamenti improvvisi dello scenario politico. Sono il risultato del terremoto provocato dalle elezioni, che non avevano prodotto alcun vincitore e punito severamente i partiti che erano stati i pilastri dei governi degli ultimi vent’anni, Pd e Forza Italia.

Con la rinuncia del primo ministro Conte e con l’incarico a Cottarelli si è consumato un nuovo passaggio nella profonda crisi politica italiana e non solo.

Ci sono state festeggiamenti per le strade di Dublino la sera dello scorso 25 maggio, quando l’establishment conservatore in Irlanda ha ricevuto un altro duro colpo. Il voto schiacciante per l’abrogazione dell’articolo 8 della Costituzione, che vietava l’aborto in Irlanda, segue il”Sì” del referendum sul matrimonio gay tre anni fa, un risultato inaspettato.

Lo spettacolo delle celebrazioni per l’inaugurazione della nuova ambasciata Usa a Gerusalemme, lo scorso lunedì 14 maggio, è in netto contrasto con il massacro avvenuto a Gaza, dove nella stessa giornata 59 manifestanti palestinesi sono stati uccisi e oltre 2.700 feriti dai cecchini israeliani.