La crisi di sistema italiana ha inaugurato un nuovo capitolo.
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L’inazione del governo Conte, di fronte alla più grande crisi economica, politica e sociale dal secondo dopoguerra non era più tollerabile per il grande capitale.
L’economia che crolla del 8,8%, Banca Italia che prevede il 60% di fallimenti di impresa in più nel 2020, mezzo milione di posti di lavoro persi (con il blocco dei licenziamenti in vigore), un italiano su quattro a rischio povertà… e a sovrastare questa devastazione economica, la pandemia, che non molla la presa con i suoi oltre novantamila morti.
Una tale crisi epocale non poteva essere risolta da un governo che viveva da mesi di espedienti, puntellato da improbabili “responsabili” in vendita al miglior offerente.
Dopo il Conte uno, con la coalizione M5S- Lega, e il Conte bis, dove era toccato a Pd e Leu allearsi con i grillini, era impossibile formare una maggioranza politica nel parlamento attuale.
L’appuntamento decisivo, quello della presentazione del piano di utilizzo del Recovery fund, si avvicinava inesorabile.
Come già dopo le elezioni del marzo 2018 e l’estate del 2019, è intervenuto il Presidente della Repubblica Mattarella a risolvere l’impasse. Ha messo da parte i partiti: il “governo di alto profilo”, non doveva “identificarsi con alcuna formula politica”, e ha scelto l’unica figura che poteva rendere possibile un governo di unità nazionale, l’ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi.
Il suo non può essere un ruolo neutrale, al di sopra delle parti, in una società divisa in classi. Draghi scende in campo per tutelare gli interessi dei poteri forti, di quella Confindustria che aveva invocato un cambiamento di rotta, di quell’Unione europea che ha applaudito l’ascesa a palazzo Chigi del proprio uomo, di quei mercati che hanno festeggiato in questi giorni e fatto scendere lo spread a livelli mai visti.
Raramente si sentivano lodi così sperticate come quelle per “Supermario”, un vero e proprio “uomo della provvidenza”. L’isteria collettiva dei giornalisti prezzolati dei massmedia rivela quanto sia profonda la crisi e quanto sia disperata la ricerca di un’ancora di salvataggio.
Di fronte alla pressione della classe dominante, uno dopo l’altro i partiti si sono allineati. C’è chi non aspettava altro, come Forza Italia e Italia Viva. C’è chi si sacrifica ancora una volta per il “bene del paese”, come il Pd. Il M5S china ancora il capo per dimostrarsi “responsabile” a costo di perdere ancora pezzi e di essere sempre meno rilevante (nonostante sia il primo partito in parlamento).
Ma è la Lega che esemplifica quanto conti il volere della classe dominante nei momenti decisivi. Gli imprenditori “del Nord” con le loro dichiarazioni entusiaste su Draghi hanno messo alle strette Salvini. “Tutte le forze politiche dovrebbero sostenere Draghi, ne va della loro credibilità”, come ha spiegato Carraro, presidente degli industriali veneti. Il sovranismo, davanti alla prospettiva di gestire il Recovery plan, può andare (per il momento) in soffitta.
Solo Fratelli d’Italia non voterà la fiducia, ma i loro voti non sono necessari per la maggioranza di governo.
Ma quale sarà il programma di Draghi?
L’ex presidente della Bce lo ha spiegato, in un famoso articolo sul Financial Times e in altri interventi in questo ultimo anno. Draghi sposa completamente l’idea che il debito pubblico deve aumentare. Nel periodo della crisi più acuto, le spesa pubblica deve assorbire il debito privato; in seguito il debito deve essere “produttivo”: “Non tutte le imprese in crisi dovrebbero ricevere supporto pubblico”. In queste ristrutturazioni lo stato deve intervenire solo per evitare eccessivi costi sociali, e naturalmente a scegliere su quali aziende lo stato deve investire devono essere banche e investitori “che hanno un’expertise decisamente maggiore”.
Ma dove finiranno i lavoratori delle imprese “zombie”, destinate al fallimento? “Gli incentivi devono creare nuovi lavori, non salvare quelli vecchi”. Premessa incoraggiante per chi spera che il nuovo governo intervenga a favore dei lavoratori sul blocco dei licenziamenti!
L’intervento dello Stato nell’economia sarà quindi a totale vantaggio della classe dominante. Lo Stato con i suoi capitali deve migliorare la competitività delle imprese. Le riforme strutturali significheranno tagli al welfare e totale flessibilità dei contratti e delle condizioni di lavoro. A chi resterà disoccupato, non verrà negato un sussidio temporaneo, ma con scarse possibilità di ricollocazione, se non in condizioni di estrema precarietà. Sul fronte pensionistico, Draghi ha sempre sostenuto l’allungamento della vita lavorativa: “quota 100” sarà dunque peggiorata.
Eppure, esiste l’illusione tra i vertici del movimento operaio che il governo Draghi sarà un governo di svolta per i lavoratori. Secondo il segretario della Cgil Landini, Draghi ci “porterà fuori dalla precarietà” grazie alla sua “competenza ed autorevolezza”. Sono illusioni pericolose.
Dietro lo specchietto per le allodole dell’imparzialità e della “competenza” i governi di unità nazionale sono sempre stati nefasti per i lavoratori, da quelli di Ciampi e Amato negli anni novanta a quello di Monti dieci anni fa. Oggi la borghesia necessita di politiche diverse di quelle di austerità, ma che devono essere sempre a suo servizio. L’unità nazionale è una chimera di fronte alle disuguaglianze che sono aumentate in maniera esponenziale in questi dodici mesi di pandemia, che non potranno essere ricomposte da una politica Confindustriale. La nascita del governo Draghi sarà fonte di lacerazioni e di spaccature in tutti i partiti che lo sosterranno e che usciranno da questa esperienza ulteriormente indeboliti e screditati.
In questa crisi di governo è mancato il punto di vista della nostra classe, dei lavoratori, che sono la maggioranza della società. Ciò contribuisce a rendere ancora più fitta la cortina fumogena della propaganda dei massmedia fra i giovani e i lavoratori. Per squarciarla sarà imprescindibile l’azione della lotta di classe, l’irruzione del movimento operaio e giovanile nella scena. Il compito di chi, come noi, si oppone in maniera irriducibile ai vecchi e ai nuovi governi della borghesia sarà quello di riprendere ed organizzare il conflitto sociale, l’unica via per uscire dalla crisi senza che a pagarla siano i lavoratori e le classi subalterne di questo paese.