Il 4 luglio, il celebre biologo evoluzionista Richard Lewontin è tristemente scomparso all’età di 92 anni. Caso raro tra gli scienziati, le concezioni scientifiche e politiche di Lewontin erano guidate da una visione filosofica consapevole, che ha difeso con fermezza e in modo inequivocabile per tutta la sua vita. Lewontin era un marxista e quindi un materialista dialettico. Attraverso il suo lavoro, ha dato al mondo un assaggio delle molteplici possibilità di applicazione per un approccio dialettico cosciente allo studio della natura.
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Nato a New York nel 1929, Lewontin fu studente del celebre biologo evoluzionista T. Dobzhansky alla Columbia University, con cui si laureò nel 1954. Dobzhansky era fuggito dalla Russia all’epoca della Rivoluzione d’Ottobre ed era fortemente ostile al marxismo. Lewontin non aveva paura di scontrarsi con il suo mentore, e i due avevano un antagonismo che apparentemente non creava problemi al suo insegnante.
Negli anni ’60, Lewontin stava svolgendo un lavoro pionieristico. Nell’era precedente al sequenziamento dei geni, lui e il suo collega, J. L. Hubby, pubblicarono due articoli che studiavano la variazione genetica tra le popolazioni misurando i livelli di proteine. Avevano applicato per la prima volta le loro nuove tecniche alla misurazione delle differenze genetiche nelle popolazioni di moscerini della frutta, scoprendo un’enorme e – a quel tempo – inaspettata variazione genetica tra gli individui.
Lewontin avrebbe poi applicato lo stesso metodo allo studio della variazione genetica tra le popolazioni umane. Ciò che scoprì spazzo completamente via i tentativi di giustificazione biologica del razzismo e la nozione che la divisione dell’umanità in “razze” sia in qualche modo scientifica.
Studiando le variazioni dei gruppi sanguigni e di alcune proteine in diverse regioni geografiche, Lewontin ha scoperto che l’85% della variazione genetica all’interno della nostra specie può essere spiegata dalla variazione tra individui all’interno delle popolazioni, mentre il 7% potrebbe essere attribuito alle differenze geografiche locali e solo il 7% alla variazione tra “razze” superficialmente distinte.
In altre parole, Lewontin ha mostrato che, lungi dall’essere categorie biologicamente valide, la divisione della specie umana nelle cosiddette “razze” in base a differenze superficiali non può essere giustificata sulla base della genetica. Il criterio della “razza” si basa puramente su differenze superficiali, che hanno assunto un significato sociale nella storia con l’ascesa del capitalismo, e con esso della schiavitù e del colonialismo, che hanno dato un impulso alla costruzione di una gerarchia razziale.
In Biology as Ideology, Lewontin ha spiegato l’impatto che il capitalismo ha avuto sulle scienze, e in particolare sulla biologia, di cui la classe dominante abusa sempre per i propri fini. Sotto il capitalismo, siamo trattati come atomi sociali. Questo sistema dà a ciascuno di noi “uguaglianza di opportunità” dalla nascita, o così ci viene detto. Il nostro successo o il fallimento nella vita dipende quindi dalle nostre qualità innate. Nell’era del DNA, ci viene detto che è “tutto nei nostri geni”. Alcuni sono geneticamente predisposti ad essere più veloci, più forti, più intelligenti, e come tali hanno maggiori probabilità di successo. L’implicazione è che i ricchi sono ricchi perché hanno geni migliori. Per la stessa logica, le nazioni più povere sono povere a causa del loro materiale genetico inferiore. Le implicazioni razziste di questa idea non hanno bisogno di essere spiegate.
Negli anni ’70, individui di spicco nel campo della biologia ripresero la filosofia riduzionista che è “tutto nei nostri geni”. Nella cosiddetta “psicologia evolutiva”, Steven Pinker si proponeva di spiegare gli stati psicologici umani facendo riferimento all’adattamento genetico; nella “sociobiologia”, E. O. Wilson tentava di spiegare tutti i tipi di fenomeni sociologici attraverso i nostri geni, tracciando un’analogia tra il comportamento evoluto delle formiche e i fenomeni sociali umani; nel frattempo, ne Il gene egoista, Richard Dawkins dipingeva gli organismi come semplici contenitori dei replicatori genetici nel nostro DNA.
Ad Harvard, Lewontin ha combattuto instancabilmente contro questi pregiudizi mascherati da scienza insieme ai suoi colleghi e compagni, Richard Levins e Stephen J. Gould, entrambi influenzati dalle idee del marxismo.
Lewontin ha capito che non è un caso che di volta in volta queste idee reazionarie penetrino nella scienza. Queste idee poggiano su una certa visione filosofica, che deriva dalla visione e dagli interessi della classe dominante. Come spiegarono Lewontin e Levins ne Il biologo dialettico, per tutta la loro vita avevano combattuto “l’ideologia meccanicista, riduzionista e positivista che dominava la nostra educazione accademica e che pervade il nostro ambiente intellettuale”.
È proprio la logica del riduzionismo – sotto forma di quello che Lewontin chiamava “determinismo biologico” – che ci riporta alle gerarchie razziali, ai “geni della criminalità”, ai “geni dell’intelligenza”, ai “geni del sessismo”, e a tutta la spazzatura che è stata travestita da “scienze biologiche” per giustificare lo status quo.
La visione riduzionista vede il tutto come nient’altro che la somma delle sue parti. Se vediamo guerra, avidità e oppressione nella società, è solo perché siamo individualmente bellicosi, avidi e portati ad opprimere gli altri. A sua volta, ognuno di noi è solo un’espressione dei nostri geni, che si sono evoluti per renderci così perché questi tratti ci danno una migliore possibilità di sopravvivenza. Queste “teorie” suggeriscono che i nostri tratti fisiologici, psicologici e sociali sono programmati nei nostri geni, con una linea retta di causa ed effetto tra questi ultimi e i primi.
In opposizione a questa visione, Lewontin ha proposto una comprensione dialettica dell’interazione tra un organismo, il suo materiale genetico e il suo ambiente. Lungi dall’essere l’ambiente a plasmare le specie, anche le specie plasmano il loro ambiente, creando le proprie nicchie ecologiche nel corso della propria storia. Oltre a mangiare la vegetazione del loro ambiente, le mandrie di gnu fertilizzeranno quello stesso suolo. Attireranno i predatori, che a loro volta avranno un impatto sull’ecosistema.
Mentre la visione meccanicista vede l’organismo e il suo ambiente come metafisicamente separati, i due in realtà si compenetrano e si condizionano a vicenda in modo dialettico. In un senso reale, un organismo è il suo stesso ambiente. Le proteine e i filamenti di RNA formati dal DNA formano anch’essi il suo ambiente; i gradienti ormonali attraverso più cellule formano l’ambiente in cui le singole cellule vivono e si sviluppano; la struttura generale di un organismo forma l’ambiente che limita la direzione in cui i singoli organi possono evolvere.
Lungi dall’essere programmati dai loro geni, gli organismi e le specie sono formati da una complessa interazione tra loro, i loro geni e il loro ambiente. Il modo in cui ognuno di noi si sviluppa è un prodotto non solo dei nostri geni, ma della chimica del grembo materno, della nostra alimentazione durante la crescita, degli stimoli ambientali e sociali, delle medicine che prendiamo che possono trasformare una mutazione genetica che in una generazione sarebbe stata invariabilmente dannosa in qualcosa di completamente innocuo.
Come Lewontin stesso ha spiegato in Not in our Genes, confutando l’idea particolarmente perniciosa che ci sia una sorta di “gene dell’intelligenza”:
“Non sappiamo quale sia l’ereditabilità del QI. I dati semplicemente non ci permettono di calcolare una stima ragionevole della variazione genetica del QI in qualsiasi popolazione. Per quanto ne sappiamo, l’ereditabilità potrebbe essere zero o il 50 per cento. Infatti, nonostante la massiccia dedizione negli sforzi di ricerca per studiarla, l’ereditabilità del QI è irrilevante. La grande importanza attribuita dai deterministi alla dimostrazione dell’ereditabilità è una conseguenza della loro errata convinzione che ereditabilità significhi immutabilità”.
“Né per il quoziente d’intelligenza né per qualsiasi altro tratto si può dire che i geni determinano l’organismo. Non c’è una corrispondenza uno a uno tra i geni ereditati da un genitore e l’altezza, il peso, il tasso metabolico, la malattia, la salute o qualsiasi altra caratteristica organica non banale… ogni organismo è il prodotto unico dell’interazione tra geni e ambiente in ogni fase della vita”.
In opposizione all’idea che ogni attributo fisiologico di un organismo possa essere ridotto a qualche vantaggio di sopravvivenza che esso conferisce a partire dai propri geni (un’idea popolare tra i deterministi biologici, e spesso chiamata adattazionismo), Lewontin e Gould spiegarono che gran parte della biologia evolutiva può essere compresa solo cogliendo l’unità dialettica tra incidente e necessità. Nello spiegare questo punto, Lewontin e Gould hanno coniato un nuovo termine, spandrel per riferirsi a caratteristiche evolute che non erano in alcun modo vantaggiose per un organismo (anche se possono in seguito diventare vantaggiose), ma erano conseguenze accidentali di altre pressioni evolutive.
Hanno preso questo termine dai pilastri dell’architettura rinascimentale. Dove due pilastri si incontrano per formare un arco, che ha uno scopo strutturale, si crea uno spazio approssimativamente triangolare tra i due. Anche se non pianificato, gli artisti e gli architetti rinascimentali usavano questo spazio per mostrare il loro estro artistico incorporando magnifici disegni sulla sommità di un arco. Un esempio potrebbe essere il mento umano. Poiché ci serve meno sforzo per masticare i cibi fibrosi rispetto ai nostri antenati, i muscoli relativi alla nostra mascella si sono ridotti, lasciando un osso sporgente che è molto raro nel regno animale.
Lewontin non è stato solo un rivoluzionario nella scienza. Durante tutta la sua vita, il marxismo lo ha guidato anche nella lotta per cambiare la società. Dalla lotta contro il razzismo e la guerra imperialista, alla lotta per denunciare l’uso degli OGM da parte delle multinazionali per rovinare i piccoli agricoltori, Lewontin era sempre dalla parte degli oppressi. Come lui e Levins hanno spiegato in Biology Under the Influence, un libro dedicato ai Miami Five (cinque prigionieri politici cubani detenuti negli Stati Uniti per essersi infiltrati in gruppi terroristici cubano-americani con sede a Miami):
“Siamo stati anche attivisti politici e compagni in Science for the People; Science for Vietnam; la New University Conference; e nelle lotte contro il determinismo biologico e il razzismo “scientifico”, contro il creazionismo e nel sostegno al movimento studentesco e al movimento contro la guerra. Il giorno in cui la polizia di Chicago assassinò il leader delle Pantere Nere Fred Hampton, andammo insieme nella sua camera da letto ancora insanguinata e vedemmo i libri sul suo comodino: fu ucciso per la sua militanza razionale e e la sua voglia di capire. Il nostro attivismo ci ricorda costantemente la necessità di mettere in relazione la teoria con i problemi del mondo reale e l’importanza della critica teorica. Nei movimenti politici, dobbiamo spesso difendere l’importanza della teoria come protezione contro le pressioni esercitate dalle contingenze delle situazioni passeggere, mentre nel mondo accademico dobbiamo ancora sostenere che per chi ha fame il diritto al cibo non è un problema filosofico”.
Anche se Richard Lewontin non è più tra noi, in un certo senso continuerà a vivere: attraverso i suoi numerosi contributi nel suo campo, e nei suoi affascinanti e accessibili scritti divulgativi, che sono permeati di un approccio dialettico e che raccomandiamo caldamente a tutti i nostri lettori. Attraverso le sue opere, Lewontin continuerà a ispirare ed educare una nuova generazione di scienziati e di rivoluzionari.