Messico – La classe dominante minaccia il governo di López Obrador

Il governo di sinistra di Andrés Manuel López Obrador cerca di coniugare gli interessi e le aspirazioni delle masse che l’hanno portato al potere con le esigenze della borghesia. Nonostante i tentativi di placare la classe dominante, questa non si fida di AMLO e vuole rovesciare il suo governo.


[Source]

In Africa, America Latina e Asia, lo sfruttamento della maggioranza della popolazione da parte di piccole élite al potere in combutta con l’imperialismo è molto più brutale che nelle potenze nei paesi capitalistici avanzati. Qui milioni di lavoratori, contadini e poveri delle città vivono sull’orlo del baratro anche in tempi “ordinari”. La pandemia di COVID-19, e la crisi capitalistica che ne consegue, minaccia di farli precipitare in condizioni disperate. Ma le masse non accetteranno questa situazione.

In Messico, il governo di sinistra di Andrés Manuel López Obrador è stato spinto al potere nel 2018 dalla rabbia di milioni di persone che desideravano un cambiamento radicale. Le ingiustizie che AMLO aveva promesso di combattere sono ora esacerbate dalla crisi, e risulta evidente l’incompatibilità delle sue promesse con il capitalismo e l’imperialismo. La pandemia, infatti, sta aggravando le tensioni tra il governo e la borghesia messicana, che rischiano di degenerare in un conflitto aperto.

Alleati discutibili

López Obrador incarna il desiderio di un cambiamento radicale nella società messicana. Ha promesso di avviare il Messico alla sua “quarta trasformazione”, un processo di portata paragonabile alla guerra d’indipendenza contro la Spagna, al movimento liberale di Benito Juárez negli anni 1850-60 e alla Rivoluzione messicana del 1910. Molti dei suoi piani sono audaci e migliorerebbero le condizioni di vita di milioni di messicani. Obrador è sinceramente impegnato a migliorare la sorte delle masse. Alcune delle sue politiche, come le borse di studio per studenti e apprendisti o le pensioni supplementari per gli anziani poveri, hanno già alleviato la difficile situazione dei settori più vulnerabili.

Tuttavia, López Obrador ritiene che sia possibile trasformare la società entro i limiti del capitalismo. Una recente dichiarazione ben sintetizza la sua filosofia riformista: «Certo, vogliamo sostenere i capitalisti, ma vogliamo anche sostenere gli indigeni, i contadini, i tassisti, i piccoli negozianti, gli studenti, vogliamo sostenere tutti».

Secondo lui, non è il capitalismo in quanto tale ad essere responsabile dell’ingiustizia che flagella il Messico, ma il neoliberismo, cioè un aspetto specifico dell’ideologia capitalista. Per questo ha cercato di ottenere l’appoggio dei capitalisti “progressisti”, avviando progetti di sviluppo sostenuti dallo stato, come le ferrovie Maya e Transísmico nel sud del Paese, la creazione di zone economiche speciali nel nord, l’affitto di zone petrolifere, o utilizzando banche private per la distribuzione di benefit sociali. López Obrador ha fatto sforzi per coinvolgere nelle sue politiche l’uomo più ricco del Paese, Carlos Slim, che sarà uno dei principali beneficiari dei suoi progetti di sviluppo. Altri, come Carlos Salinas, che possiede vasti monopoli nel commercio al dettaglio, nei media e nella finanza, e il magnate Alfonso Romo, sono stati inseriti in speciali comitati consultivi. Il governo distingue tra gli uomini d’affari che «fanno investimenti e generano occupazione con tenacia e perseveranza, realizzando profitti legittimi e assistendo lo sviluppo del Paese» e quelli «che accumulano grandi fortune illegalmente, sulla base della corruzione».

Disuguaglianza, sottosviluppo e corruzione sono in ultima analisi, secondo López Obrador, la conseguenza di scelte ideologiche sbagliate da parte dei politici. Questo esonera anche l’apparato statale da ogni responsabilità. Quest’ultimo sarebbe stato semplicemente «dirottato da una piccola minoranza». Lui sostiene che, sotto un’adeguata leadership, lo stato può essere orientato a proteggere i deboli e a controllare l’avidità dei potenti. In questo spirito, Obrador ha rispettato il protocollo costituzionale e le formalità della divisione dei poteri, garantendo per esempio l'”indipendenza” della magistratura e della Banca centrale. Tuttavia, l’apparato statale non è neutrale, ma è uno strumento per mantenere lo sfruttamento di classe. In un contesto di miseria diffusa e di enormi diseguaglianze come quello dei paesi ex-coloniali come il Messico, la classe dominante deve assicurarsi la lealtà dello stato attraverso la concessione di privilegi smodati, che sono invariabilmente accompagnati dalla corruzione, e alimentando in questo apparato repressivo sia le ideologie più reazionarie che un sentimento di impunità. Rimangono un punto fermo gli stretti legami tra i funzionari dello stato messicano a tutti i livelli dell’amministrazione, dai poliziotti locali ai governatori dello stato, e i cartelli della droga e la criminalità organizzata. In questo contesto, la violazione dei diritti umani di attivisti e manifestanti è un fatto ricorrente. A volte, questo ha raggiunto le dimensioni di vere e propri omicidi di massa, come nel massacro degli studenti di sinistra ad Ayotzinapa nel 2014. Come inizia a rendersi conto lo stesso López Obrador, la macchina amministrativa che egli ufficialmente governa è tutt’altro che uno strumento neutrale.

Il capitalismo messicano è legato mani e piedi all’imperialismo statunitense. Quest’ultimo assorbe l’80% delle esportazioni messicane. La divisione del lavoro tra i due paesi mostra una classica struttura imperialista, per cui il Messico esporta materie prime e beni industriali a basso costo e importa merci ad alto valore aggiunto. I magnati dell’industria messicana dipendono per lo più dal mercato statunitense e si preoccupano poco della domanda interna. Non sorprende quindi che anche López Obrador abbia cercato di soddisfare gli interessi statunitensi. Egli ha firmato l’USMCA, un aggiornamento dell’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA) del 1994, che il partito di López Obrador considera uno «strumento utile per gli scambi economici e commerciali». Sotto la pressione di Donald Trump, AMLO ha dispiegato le forze armate al confine con il Guatemala per bloccare l’ingresso in Messico dei migranti centroamericani diretti al Rio Grande. I due governi hanno anche collaborato nella cosiddetta «guerra alla droga».

Giganti economici, nani politici

L’idea di López Obrador che la giustizia sociale può essere realizzata senza mettere in discussione gli interessi fondamentali della borghesia messicana, dell’apparato statale e dell’imperialismo statunitense si sta dimostrando sempre più inattuabile. La pandemia del COVID-19 sta rendendo questa verità sempre più evidente. Anche se il governo ha giurato di proteggere (e persino di promuovere) l’impresa privata, la borghesia è contro di lui. I capitalisti temono che l’impegno di López Obrador per la ridistribuzione della ricchezza vada a scapito dei loro profitti. La sua campagna contro la corruzione minaccia di prosciugare un’importante fonte di reddito per la classe dominante, che integra la sua attività “legale” con guadagni illegali o “semilegali” prelevati direttamente dalle casse dello stato. Il ritiro dei programmi di privatizzazione e la rescissione di alcuni partenariati pubblico-privato avviati dai governi precedenti, in particolare nel settore petrolifero ed energetico e nella costruzione di un nuovo aeroporto a Città del Messico, priverà i capitalisti di promettenti fonti di profitto.

Eppure, la preoccupazione principale della borghesia non è direttamente economica, ma politica. Non controllano López Obrador come controllavano i precedenti presidenti, che erano burattini obbedienti nelle loro mani. La sua base sociale è una massa di persone effervescente e impaziente. AMLO è salito al potere su un’ondata di mobilitazioni sociali e incarna le aspettative di un cambiamento radicale. Se non lo metterà in atto, i suoi elettori lo riterranno responsabile. Obrador è sensibile alle pressioni dal basso. La borghesia messicana è particolarmente dominante politicamente perché è particolarmente rapace sul piano economico. Pertanto, ha bisogno di un governo che tenga la classe operaia sotto il suo tallone di ferro. López Obrador non lo farà, e le sue promesse hanno alimentato la fiducia delle masse. Anche la burocrazia statale è stanca de “l’austerità repubblicana” del presidente, che comporta tagli agli stipendi dei funzionari di alto rango e maggiore trasparenza. I vertici dell’apparato statale e delle forze armate sono molto sensibili alla pressione della classe dominante, alla quale sono legati da un milione di fili.

Da quando López Obrador si è insediato nel dicembre 2018, nell’economia messicana si è sviluppato uno sciopero dei capitali. Nel 2019 gli investimenti sono scesi del 2,2%, al livello più basso degli ultimi sei anni. Questo calo è ancora più forte se si considerano gli investimenti esteri. Alcuni capitalisti molto potenti, come Claudio X. González, hanno escogitato una strategia di aperta ribellione contro il governo. Settori dell’apparato statale hanno anche ostacolato le politiche dell’esecutivo ed esercitato un aperto ricatto nei suoi confronti. Per esempio, nel luglio 2019 la polizia della capitale ha orchestrato una serie di ammutinamenti e proteste, in teoria contro la riorganizzazione delle forze di sicurezza, ma queste manifestazioni hanno avuto un chiaro orientamento politico. A novembre, il generale dell’esercito Gaytán Ochoa ha criticato apertamente il governo, sostenendo che non rappresentava l’intera nazione. Ha espresso ad alta voce ciò che molti dei suoi colleghi pensano in privato. López Obrador ha cercato di placare l’esercito attraverso concessioni economiche, come la costruzione di un nuovo aeroporto nella capitale, il tutto creando una nuova forza di pretoriani che risponde direttamente a lui, la Guardia Nazionale. Un settore della classe dominante ha anche cercato di fomentare mobilitazioni reazionarie contro il presidente. Negli ultimi mesi sono sorte diverse organizzazioni di estrema destra, alcune delle quali con una retorica golpista apertamente violenta. Tuttavia, la destra ha fallito clamorosamente nel suo tentativo di sfidare López Obrador nelle strade. L’8 marzo hanno tentato di cooptare alla loro causa lo sciopero delle donne, ma ancora una volta non hanno avuto successo.

Questo rivela l’impotenza politica della borghesia. Pur esercitando il potere economico e avendo alleati influenti all’interno dell’apparato statale, essi non hanno una base sociale. Sono giganti economici ma nani politici. I loro partiti tradizionali, il PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale), il PAN (Partito di Azione Nazionale) e il PRD (Partito della Rivoluzione Democratica) sono estremamente impopolari, dopo decenni di disastrosa amministrazione sia a livello nazionale che regionale. Si aggirano intorno al 5-10 per cento nei sondaggi d’opinione. Anche il tentativo dell’ex presidente Felipe Calderón di lanciare un nuovo partito di destra, México Libre, si è dimostrato finora inefficace. López Obrador ha vinto le elezioni a maggioranza assoluta. Anche se ha perso slancio nella sua azione politica, rimane popolare ed è in cima ai sondaggi. In effetti, è la debolezza dei suoi avversari, più che la sua stessa forza, a spiegare la solidità del governo.

Alla luce della loro vulnerabilità politica, un settore della classe dominante ha cercato di influenzare (e minare) il governo dall’interno piuttosto che sfidarlo dall’esterno. Questo vale soprattutto per i più potenti oligarchi del Paese, come i già citati Carlos Slim, Alfonso Romo, o Carlos Salinas; così come Antonio del Valle (Mexichem), Valentín Diez Morodo (Citibanamex), Emilio Azcárraga (Televisa), o Rogelio Zambrano (Cemex). López Obrador ha accolto le loro proposte di collaborazione a braccia aperte. Questi borghesi ora sono in una posizione più forte per fare pressione sul governo e sono più fiduciosi sul ruolo politico che possono giocare rispetto ad altri capitalisti di medio livello. I borghesi e gli imperialisti più intelligenti apprezzano anche la capacità di López Obrador di controllare le masse, cosa che è stata dimostrata durante le insurrezioni che hanno scosso l’America Latina in autunno. Allo stesso modo, l’amministrazione Trump ha tollerato López Obrador per la mancanza di un’alternativa migliore, e nella misura in cui si è attenuto alla linea degli interessi fondamentali degli Stati Uniti. AMLO ha utilizzato la minaccia di un riavvicinamento alla Cina e la sua possibilità di influire sul controllo delle migrazioni come leva per rafforzare la sua posizione nei confronti di Washington. Questo ha avuto un effetto, come testimoniano le concessioni degli Stati Uniti al Messico nei negoziati sul prezzo del petrolio. Eppure questi per Obrador sono tutti alleati discutibili, pronti a tradirlo da un momento all’altro. La crisi del COVID-19 ha fatto emergere tutte queste contraddizioni.

I ribelli nella classe dominante

C’è ora un conflitto aperto tra il governo e un numero crescente di capitalisti. Di fronte alla pandemia del COVID-19 e al profondo crollo economico che ha provocato, López Obrador ha deciso di temporeggiare. La portata della depressione economica è senza precedenti. Secondo alcune stime, il PIL del paese potrebbe essere diminuito di quasi il 10 per cento. Alla paralisi causata dal blocco, al calo delle esportazioni verso gli Stati Uniti e delle rimesse dei lavoratori migranti, si aggiunge il crollo del prezzo del petrolio, una delle principali fonti di reddito per lo stato. Eppure López Obrador ha insistito sul fatto che la crisi non ostacolerà i suoi programmi sociali. Al contrario, in aprile ha annunciato una serie di nuove misure per aiutare i più poveri della società, così come le piccole imprese e gli imprenditori. Ben 22 milioni di messicani hanno ora diritto a ricevere sussidi statali. Per compensare la perdita di entrate, il governo taglierà più in profondità gli stipendi dei funzionari statali di alto rango e le spese non necessarie. López Obrador si è rifiutato di sovvenzionare le grandi imprese. Inoltre, è fermamente contrario alla stipula di ulteriori debiti, che pesano come una pietra tombale sulle economie latinoamericane.

La classe dominante, sia in Messico che all’estero, è furiosa per queste politiche. Paradossalmente, chiedono al governo di abbandonare la sua “austerità repubblicana”, di stipulare tutto il debito aggiuntivo necessario, e di intraprendere una politica di “stimolo” economico, mettendo l’erario al servizio del capitale privato. Un editoriale estremamente aggressivo del Financial Times ha dato voce a queste richieste:

«Sempre più voci nell’élite messicana parlano di una tragedia imminente. I dirigenti delle aziende hanno proposto un piano alternativo di risposta al virus. La voci dissenzienti all’interno dell’alleanza di governo di López Obrador possono a volte essere ascoltate. Ma il Messico ha una presidenza imperiale e un presidente arrogante. Il tempo è pericolosamente breve. I politici, al di là delle linee di partito, i governatori degli stati e i dirigenti delle imprese dovrebbero unirsi per concordare un programma economico e sanitario complessivo per affrontare il coronavirus e fare pressione sul loro presidente. Contro alcune delle sue politiche più discutibili dovrebbero essere contestate apertamente dal punto di vista legale.

La terribile catastrofe umanitaria del Venezuela è un chiaro avvertimento di ciò che altri quattro anni e mezzo di López Obrador potrebbero fare al Messico».

Le principali organizzazioni padronali in Messico, COPARMEX, COPAMIN e CCE, hanno lanciato appelli per la sottoscrizione del debito privato da parte dello stato, per un lockdown meno rigoroso, per sussidi statali per i salari, deregolamentazioni, agevolazioni fiscali e politiche simili volte a salvare il capitalismo e a far pagare il conto della crisi ai lavoratori. «Il piano di López Obrador non è quello che ci aspettavamo, quello di cui avevamo bisogno», ha detto il leader del COPAMIN, «le conseguenze potrebbero essere molto gravi». In un atto di palese sfida, che segna un cambiamento qualitativo nel rapporto tra la presidenza e l’oligarchia, un’emittente televisiva di proprietà di Carlos Salinas, che fa parte di un comitato consultivo del governo ed è stato considerato un capitalista “progressista”, ha consigliato al suo pubblico di ignorare i consigli delle autorità sanitarie. In effetti, l’impero della vendita al dettaglio di Salinas è rimasto aperto durante il blocco in spregio alle norme governative. Invece di punire questo pericoloso atto di ribellione, López Obrador ha cercato di placare Salinas, sottolineando l’importanza del rispetto della libertà di parola. Ha anche portato avanti progetti di sviluppo pubblico-privato, come la ferrovia Maya, per contribuire ad addolcire l’umore della classe dominante. Il governo fa appello all’ “unità nazionale”. Ma di fronte a una tale crisi, nessuna concessione a metà strada soddisferà i padroni.

La borghesia sta raddoppiando la pressione sul governo. Il loro obiettivo è quello di assicurare l’assoluta sottomissione del presidente e, in ultima analisi, di spodestarlo. Recentemente è trapelata una registrazione di un incontro tra il giornalista di destra Ferriz de Con e un gruppo di importanti uomini d’affari, tra cui il presidente di una delle più importanti organizzazioni dei datori di lavoro del Messico, il CCE. Il tenore di questa conversazione era apertamente golpista: «Sarà molto difficile salvare le nostre imprese se, oltre alle difficoltà attuali, avremo un governo che non farà concessioni e non ci fornirà ossigeno. Dobbiamo adottare una tattica diversa». La conversazione poi continuava, delineato i piani per spodestare il presidente attraverso una ribellione dei governatori di destra. Questi settori stanno cercando di mobilitare l’apparato statale contro l’esecutivo. Tre governatori degli stati del Nord, che confinano con gli Stati Uniti, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che denuncia la gestione della crisi da parte del governo. Anche il governatore della Baja California ha espresso critiche simili. Egli appartiene al partito di governo, il MORENA. Quest’ultimo, infatti, sta sviluppando importanti divisioni al suo interno. Nell’ultimo periodo, López Obrador ha adottato una politica di porte aperte nel MORENA. Come parte della sua visione riformista e conciliatrice, ha accolto con favore l’arrivo nel partito di tutti i tipi di opportunisti, molti dei quali disertori di PRI, PRD e PAN, così come agenti della classe dominante, come il neoliberale Esteban Moctezuma. Molti di loro ora stanno gettando sabbia negli ingranaggi del governo.

Allo stesso tempo, anche settori della burocrazia si ribellano contro l’esecutivo. La Banca Centrale del Messico ha annunciato un pacchetto di stimolo, con il quale inietterà 750 milioni di pesos nel settore finanziario. Questo va contro l’impegno di López Obrador di non sovvenzionare banche e società private. López Obrador si è espresso con dichiarazioni molto severe contro le politiche della banca, ma è ostacolato dal suo impegno a difesa della cosiddetta divisione dei poteri. Più seriamente, la Banca Interamericana di Sviluppo di Washington ha annunciato che stanzierà 12.000 milioni di dollari USA a favore delle imprese messicane. Si presume che i beneficiari finali sarebbero le “piccole imprese”. In realtà, però, le obbligazioni si rivolgeranno alle grandi banche e alle società, che in seguito dovranno prestare credito a basso costo alle imprese più piccole. Giganti dell’industria messicana, come Cemex, Mabe e Axtel hanno già fatto domanda per il programma. Il Ministero delle Finanze ha approvato questo accordo. In spregio, a quanto pare, alla volontà di López Obrador, che ha apertamente criticato il modo in cui questo piano era stato “imposto” al governo, e ha avvertito che lo stato non avrebbe sottoscritto nessuno di questi prestiti. Questo episodio indica profonde divisioni all’interno del governo.

La pandemia del COVID-19 ha radicalizzato l’opposizione contro López Obrador. Tuttavia, un colpo di stato violento è altamente improbabile al momento attuale. Anche se ci sono sicuramente molti ufficiali che appoggerebbero un tale movimento, sarebbe un azzardo sconsiderato che inevitabilmente si ritorcerebbe contro i suoi fautori. La borghesia è ancora molto debole politicamente. Infatti, la pandemia ha aumentato la popolarità di López Obrador. Si ritiene che il governo abbia gestito la crisi in modo efficace, dato che il numero di morti rimane relativamente basso. Ma soprattutto, gli attacchi contro il governo hanno galvanizzato la sua base di sostegno. Per esempio, dopo che l’emittente televisiva di Carlos Salinas ha invitato i cittadini a ignorare le autorità, una petizione su Change.org che chiedeva al governo di sospendere la licenza a trasmettere di questa emittente ha ottenuto 150.000 firme in un solo giorno. Pertanto, solo i reazionari più squilibrati contemplano un’azione violenta contro López Obrador. La maggior parte dei capitalisti ha optato per una strategia di logoramento: sabotaggio economico, sabotaggio del MORENA e dell’apparato statale, e intensificazione della contraerea mediatica, con l’obiettivo di minare la base di sostegno del governo. In futuro, questo potrebbe portare a un colpo di stato “morbido”, in cui López Obrador verrebbe spodestato costituzionalmente, come è avvenuto in Brasile con l’impeachment di Dilma Rousseff nel 2016.

Anche l’imperialismo statunitense ha duramente criticato il governo messicano. Washington ha esortato il Messico a far funzionare le sue industrie nel tentativo di far ripartire la sua economia. Poiché le catene di produzione in entrambi i Paesi sono intrecciate, la politica economica messicana deve allinearsi a quella di Trump. Finora, le pressioni americane hanno riguardato solo l’economia, ma se la situazione politica diventa sempre più polarizzata, non si può escludere un’ingerenza aperta contro López Obrador. La riapertura dell’industria stessa potrebbe diventare una questione rapidamente politicizzata, dato che i lavoratori delle maquilas (fabbriche nelle zone di confine) hanno già inscenato degli scioperi a gatto selvaggio.

Bonapartismo, sui generis

Nei paesi ex-coloniali come il Messico, il capitale straniero domina l’economia. Ciò significa che la classe operaia nazionale è relativamente forte nei confronti della borghesia nazionale. Inoltre, quest’ultima è socialmente isolata dalla mancanza di una numerosa aristocrazia operaia o di una piccola borghesia prosperosa, come ne esistono nei paesi imperialisti. Riflettendo sulle politiche di Lázaro Cárdenas, Trotskij ha spiegato che una struttura sociale così sbilanciata porta inevitabilmente allo sviluppo di tendenze bonapartiste di tipo particolare:

«Nei paesi industrialmente arretrati il capitale straniero gioca un ruolo decisivo. Di qui la relativa debolezza della borghesia nazionale rispetto al proletariato nazionale. Ciò determina un tipo particolare di potere statale. Il governo si barcamena tra il capitale straniero e il capitale indigeno, tra la debole borghesia nazionale e il proletariato relativamente forte. Ciò conferisce al governo un carattere bonapartista sui generis, di tipo particolare. Si colloca, per così dire, al di sopra delle classi. In realtà, può governare o divenendo strumento del capitalismo straniero e tenendo incatenato il proletariato con una dittatura poliziesca, o manovrando con il proletariato e giungendo persino a fargli delle concessioni, assicurandosi in tal modo la possibilità di una certa libertà nei confronti dei capitalisti stranieri». (Industria nazionalizzata e gestione operaia, Einaudi 1970, pag 585)

Il governo messicano oggi mostra chiaramente queste caratteristiche bonapartiste “plebee”. La crisi di COVID-19 le esaspererà ancor di più. Abbandonato dalla borghesia, López Obrador si appoggerà alla sua potente base proletaria per riaffermare la sua autorità. Potrebbe anche chiamare i suoi seguaci per le strade se si sentisse messo all’angolo. Un tale stato di equilibrio tra le classi aumenterà il potere del governo. Ma questo si baserà su un equilibrio instabile che potrebbe implodere da un momento all’altro.

López Obrador è molto popolare in questo momento, ma questa popolarità non è scritta sulla pietra. Si basa sull’aspettativa di un cambiamento sociale radicale. Se continuerà la sua politica di pacificazione verso la classe dominante, finirà per minare la sua stessa base di sostegno e deludere chi lo appoggia. Questo preparerebbe il terreno per la vittoria della reazione, come è avvenuto in Brasile nel 2016. Finora la classe operaia è stata in gran parte un osservatore passivo nei recenti scontri secondari. Una resa dei conti decisiva tra il governo e la classe dominante la trascinerebbe inevitabilmente nel conflitto. Se López Obrador chiedesse alle masse di mobilitarsi per difendere il suo governo dagli attacchi della classe dominante, i lavoratori, i contadini e i poveri risponderebbero con entusiasmo, come hanno sempre fatto in passato.