La crisi del capitalismo è anche la crisi dell’ordine mondiale post-Unione Sovietica, basato sul dominio dell’imperialismo statunitense. Con l’ascesa della Cina come potenza mondiale e la Russia che assume una posizione sempre più di sfida a livello internazionale, il bastone degli Stati Uniti, il poliziotto mondiale oggi incapace di intervenire militarmente su larga scala, non ha più la forza, né garantisce l’obbedienza, di un tempo. Ciò ha importanti implicazioni per i rapporti di forza sulla scena mondiale.
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In Iraq, Afghanistan e Siria, gli Stati Uniti sono stati sconfitti. In Libia sono stati presi in contropiede. Nel frattempo, le potenze di second’ordine, molte delle quali alleate di lunga data degli Stati Uniti, si sono sempre più discostate dagli obiettivi di Washington.
Nella guerra in Ucraina, gli americani hanno visto un’opportunità per indebolire la Russia, che è l’alleato più potente del loro principale rivale, la Cina. Ma siamo in una situazione dove ogni passo che si compie peggiore una situazione già disperata. Invece che ristabilire la posizione dell’imperialismo statunitense, la guerra ha esacerbato le contraddizioni nelle relazioni mondiali e ha ulteriormente minato l’autorità degli americani.
Tutto ciò preannuncia un nuovo periodo di maggiore instabilità e conflitti tra le nazioni. Per i comunisti, questo sottolinea l’impasse del capitalismo e la necessità di una lotta determinata su basi di classe a livello internazionale per il socialismo.
La guerra in Ucraina: benzina sul fuoco
Dallo scoppio della guerra per procura tra l’imperialismo USA e la Russia in Ucraina, la macchina propagandistica della stampa occidentale ha cercato di dipingere il seguente quadro: da una parte c’è la Russia, la reietta, isolata e sola. Dall’altra parte c’è il mondo intero, con gli Stati Uniti in testa, tutti uniti nella condanna al tiranno del Cremlino.
Ma grattando la superficie di questa esposizione accuratamente ponderata, scopriamo rapidamente che sta emergendo un’immagine completamente diversa. Gli obiettivi degli Stati Uniti nella guerra in Ucraina erano di isolare e paralizzare in un colpo solo il rivale russo, indebolendo al contempo le relazioni tra Russia ed Europa, rafforzando così la presa su quest’ultima. “Trasciniamo la Russia in un pantano”, si dicevano trionfalmente i politici occidentali.
“La Russia di Putin non è nostra amica ed è l’alleato più potente della Cina”, ha scritto di recente l’ex candidato presidenziale repubblicano Mitt Romney. “Sostenere l’Ucraina indebolisce un avversario, aumenta il nostro vantaggio in termini di sicurezza nazionale e non richiede spargimento di sangue americano”.
Con questa idea in testa, l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, ha riversato grandi quantità di armi in Ucraina e le ha fornito un’ampia assistenza militare, economica e di intelligence diretta. Allo stesso tempo, ha imposto una serie di sanzioni alla Russia: le più severe mai applicate a un Paese dalla Seconda guerra mondiale.
La Russia è stata tagliata fuori dagli investimenti occidentali, le è stato negato l’accesso a tecnologie avanzate ed è stata bloccata dal sistema bancario elettronico SWIFT. Sono stati congelati 400 miliardi di dollari di attività della Banca centrale russa ed è stata intrapresa una campagna per interrompere i suoi flussi di gas verso l’Europa.
Ma come vedremo, ora queste politiche stanno fallendo e la classe dominante statunitense deve fare i conti con un pantano che hanno creato loro stessi. In un’intervista a Bloomberg, l’ex segretario al tesoro Larry Summers ha dichiarato quanto segue:
“C’è un crescente consenso per la frammentazione e la cosa forse ancora più preoccupante, è che penso ci sia una crescente sensazione che il nostro frammento potrebbe non essere il migliore a cui associarsi. Siamo dalla parte giusta della storia – con il nostro impegno per la democrazia, con la nostra resistenza all’aggressione russa, ma siamo un po’ isolati, poiché quelli che sembrano essere molto meno dalla parte giusta della storia stanno sempre più aggregandosi in tutta una serie di organizzazioni”.
Guardando oltre l’ipocrita fraseologia sul “lato giusto della storia”, troviamo in questa affermazione un avvertimento minaccioso che proviene da un serio stratega della borghesia.
Mentre il logoramento sul campo di battaglia deve ancora portare la guerra a un chiaro punto di non ritorno da una parte o dall’altra, la realtà politica sulla scena mondiale non si sta conformando agli obiettivi bellici dell’imperialismo statunitense.
È chiaro che al di fuori dell’Occidente e del Giappone, gran parte, se non la maggioranza, delle classi dominanti delle varie nazioni del mondo, non ha alcun interesse ad essere trascinata nel conflitto ucraino dalla parte dell’Occidente.
Infatti, molto più che isolare la Russia, , le azioni degli Stati Uniti hanno approfondito le tensioni esistenti nelle relazioni mondiali, evidenziando i limiti del potere statunitense e indebolendo la sua autorità.
Le sanzioni si ritorcono contro
Un recente articolo sulla rivista di destra britannica The Spectator affermava quanto segue:
“L’Occidente ha intrapreso la sua guerra di sanzioni con un senso esagerato della propria influenza a livello mondiale. Come abbiamo scoperto, nei paesi non occidentali manca la volontà di imporre sanzioni alla Russia o agli oligarchi russi. I risultati dell’errore di calcolo sono sotto gli occhi di tutti.
“Nell’aprile dello scorso anno, il FMI prevedeva che nel 2022 l’economia russa si sarebbe contratta dell’8,5% e di un ulteriore 2,3% quest’anno. Come si è scoperto, lo scorso anno il PIL è diminuito solo del 2,1%, e quest’anno il FMI prevede un piccolo aumento dello 0,7%. E questo nonostante la guerra in Ucraina sia andata molto peggio di quanto molti immaginassero nel febbraio dello scorso anno.
“L’economia russa non è stata distrutta, è stata semplicemente riconfigurata, riorientata per guardare verso est e verso sud piuttosto che verso ovest”.
Se è vero che alcuni settori dell’economia russa hanno subito un duro colpo e che c’è carenza di alcuni componenti avanzati, tuttavia le sanzioni non hanno raggiunto ciò che l’Occidente si era prefissato: paralizzarla a tal punto che proseguire la guerra in Ucraina sarebbe diventato insostenibile.
L’aumento dei prezzi delle esportazioni di idrocarburi, in gran parte dirottate attraverso l’India e la Cina, ha tenuto a galla l’economia russa. E la Russia ha potuto accedere a tecnologie avanzate tramite paesi terzi come Cina, Turchia e Stati del Golfo.
Il recente viaggio del premier cinese Xi Jinping a Mosca è stata una dimostrazione pubblica importante di sostegno a Putin e un’aperta sfida ai tentativi dell’imperialismo statunitense di isolarlo. L’immagine mediatica del totale isolamento russo è esplosa come una bolla di sapone. Il commercio tra i due paesi è aumentato del 40% nell’ultimo anno. Chiaramente, la Russia avrebbe trovato molto difficile continuare la sua campagna militare in Ucraina se non fosse stato per il sostegno ricevuto da Pechino.
La Cina finora non ha fornito alla Russia armi da utilizzare in Ucraina, almeno non per quanto è pubblicamente noto. Ma ha superato l’Europa come il più grande importatore di greggio russo. Inoltre, è diventato un mezzo vitale usato dalla Russia per aggirare le sanzioni sull’importazione di beni chiave, come i circuiti integrati.
Piuttosto che isolare la Russia e permettere all’imperialismo statunitense di concentrarsi sul suo principale rivale, le azioni di Washington hanno spinto la Russia tra le braccia del regime del Partito comunista cinese: un’alleanza che ora è un problema crescente per gli americani.
Il resto del mondo a disagio
Guardando oltre le cose non sembrano andare molto meglio per gli Stati Uniti.
A ottobre, le Nazioni Unite hanno condannato, con 143 voti contro cinque, i referendum per l’annessione portati avanti dalla Russia nelle regioni che controllava in Ucraina. Questo risultato è stato strombazzato dall’Occidente per dire: “Vedete? Guardate la situazione della Russia sulla scena mondiale. È completamente isolata”.
Ma perfino la rivista Time è stata costretta ad ammettere che il voto delle Nazioni Unite in realtà ha dimostrato che “la Russia non è così isolata come l’occidente potrebbe pensare“, poiché i 35 paesi che si sono astenuti, tra cui Cina e India, rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale. Nonostante il gran numero di astensioni, il problema di questa affermazione è che le risoluzioni delle Nazioni Unite sono fatte interamente di parole. Ma in politica contano i fatti e solo i fatti.
Quando guardiamo ai fatti, emerge una storia completamente diversa.
Un interessante articolo dell’Economist – intitolato “Come sopravvivere a una divisione tra superpotenze” – ha scoperto che solo 52 paesi (descritti come “l’Occidente e i suoi amici”) sono pronti a “strigliare e punire le azioni della Russia” (il corsivo è nostro). Nel frattempo, 127 stati non si sono schierati, in un modo o nell’altro, in maniera netta e stanno effettivamente aiutando la Russia a ridurre al minimo l’impatto delle sanzioni.
La Turchia, un membro chiave della NATO, ha svolto un ruolo particolarmente cruciale nell’aiutare la Russia ad aggirare le sanzioni.
Il presidente turco Erdogan ha salutato la “relazione speciale” del suo paese con la Russia e ha rifiutato di imporre sanzioni occidentali a Mosca. Nei primi sei mesi dopo l’inizio dell’invasione russa, le esportazioni turche verso la Russia sono aumentate del 45% e le importazioni sono aumentate del 125%.
Anche l’Arabia Saudita, un altro alleato tradizionale degli Stati Uniti, ha sfidato gli imperialisti occidentali raggiungendo un accordo con la Russia per tagliare la produzione di petrolio del cinque per cento, mantenendo alti i prezzi del petrolio e del gas in mezzo a una recessione globale. L’indignazione di Washington per questa mossa è stata accolta con poco più di una scrollata di spalle a Riyadh.
Anche Israele, pur essendo la principale testa di ponte dell’imperialismo statunitense in Medio Oriente, ha assunto una posizione più o meno neutrale nei confronti della guerra in Ucraina, rifiutandosi di vendere armi all’Ucraina o di applicare sanzioni.
In America Latina, Brasile, Argentina, Messico, Cile e persino la Colombia, un tempo alleata degli Stati Uniti, tutte hanno resistito alle pressioni del loro potente vicino rifiutandosi di fornire armi all’Ucraina.
Dopo il suo viaggio in Cina ad aprile, il presidente del Brasile Lula ha attaccato l’Occidente per aver prolungato la guerra inviando più armi all’Ucraina, affermando che:
“[Gli Stati Uniti] devono smettere di incoraggiare la guerra e iniziare a parlare di pace, l’Unione europea deve iniziare a parlare di pace in modo da poter convincere Putin e Zelensky che la pace è nell’interesse di tutti e che la guerra è solo nell’interesse di loro due”.
Altrove, l’India ha aiutato i russi a recuperare quasi tutte le vendite di gas e petrolio che avevano perso. L’India ha le sue ragioni per rimanere in rapporti amichevoli con la Russia. Ma i prezzi del gas e del petrolio russi al di sotto dei valori di mercato hanno sicuramente aiutato l’affare. Le sue importazioni di petrolio dalla Russia sono aumentate di 22 volte dallo scoppio della guerra. Tra l’altro, l’India sta persino raffinando e riesportando alcuni di questi idrocarburi, come ad esempio il gasolio, per il mercato europeo!
La Russia rimane anche il più grande fornitore per la difesa dell’India, con piani per estendere la gamma di armamenti che include i più avanzati sistemi di difesa aerea russi.
Anche il governo sudafricano ha ignorato le proteste statunitensi riguardanti l’organizzazione di esercitazioni navali congiunte con Cina e Russia al largo della costa orientale a febbraio. E hanno appena concesso a Putin l’immunità diplomatica, permettendogli così di partecipare al vertice dei BRICS in Sud Africa in aperta sfida a un mandato di arresto della Corte penale internazionale contro di lui.
La guerra in Ucraina ha notevolmente fatto salire il prezzo del petrolio, del gas, del cibo e dei fertilizzanti. Sono tutti prodotti particolarmente delicati nei paesi poveri, dove milioni di persone stanno cadendo nell’indigenza a causa della crisi economica mondiale. In tutta l’Africa, così come in America Latina, le esportazioni russe di cereali e fertilizzanti sono aumentate.
Per evitare un’esplosione sociale, molti paesi preferirebbero trattare con la Russia, che può offrire loro questi beni a prezzi inferiori a quelli di mercato, piuttosto che imporre sanzioni che non farebbero altro che causare un ulteriore aumento dei prezzi.
Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Con l’economia mondiale in bilico e le tensioni in aumento a tutti i livelli, seguire ciecamente gli Stati Uniti lungo il vicolo cieco di un altro conflitto destabilizzante rappresenta semplicemente un costo troppo alto per le classi dominanti nella maggior parte dei paesi.
Europa
Sulla carta, infatti, l’Europa occidentale appare l’unica regione che segue fedelmente i diktat dell’imperialismo USA. Ma anche qui, l’immagine rosea di una “alleanza occidentale” armoniosa e unita è macchiato da antagonismi che stanno covando.
La guerra in Ucraina ha colpito duramente l’economia della UE, privandola del gas russo a buon mercato. Ciò ha minato la competitività dell’Unione europea sul mercato mondiale, in particolare del capitalismo tedesco e francese. Questo è il motivo per cui tutti i principali paesi della UE hanno esitato ogni volta che si parlava di inviare armi all’Ucraina o di imporre ulteriori sanzioni alla Russia.
Nel frattempo, gli americani hanno approvato l’Inflation Reduction Act: un pacchetto da 400 miliardi di dollari che puntava principalmente a sostenere le società con sede negli Stati Uniti e a rendere meno competitivi i capitalisti europei. Washington sta anche tentando di trascinare più in profondità l’Europa nel suo conflitto con la Cina, che si dà il caso sia proprio il principale partner commerciale dell’Europa.
Nonostante tutte le critiche a Donald Trump, l’amministrazione Biden sta in effetti continuando la politica “America First” di Trump, con grande sconcerto dei tradizionali alleati dell’America.
Nel tentativo di mostrare una certa indipendenza, a novembre il cancelliere tedesco Olaf Scholtz è andato in viaggio ufficiale in Cina. La visita ha suscitato grande fermento e ha quasi fatto crollare il governo, poiché il ministro degli Esteri, la verde e guerrafondaia Baerbock, agendo come agente diretto dell’imperialismo statunitense all’interno del governo di coalizione, ha minacciato di dimettersi.
Il viaggio di Scholtz è stato seguito questa primavera dall’importante visita del presidente francese Emmanuel Macron a Pechino. Ciò ha chiaramente aumentato l’attrito tra gli Stati Uniti e i suoi principali alleati europei.
In una pugnalata appena mascherata agli Stati Uniti, Macron ha affermato che sarebbe “una trappola per l’Europa” rimanere invischiata in crisi che non sono proprie dell’Europa, e che una cosa del genere essenzialmente trasformerebbe i paesi europei in “vassalli”. Le osservazioni di Macron erano specificamente legate al conflitto tra Stati Uniti e Cina, ma chiaramente con un occhio anche sull’Ucraina.
Ad accompagnare Macron nel suo viaggio c’erano una serie di imprenditori, a sottolineare l’importanza economica del commercio francese con la Cina, con la quale speravano di stringere accordi.
La cosa più fastidiosa per gli strateghi dell’imperialismo statunitense è stato l’accordo raggiunto da Airbus, di proprietà francese ed europea, che ha annunciato la vendita di 200 aerei passeggeri alla Cina, un accordo per la fornitura di elicotteri, così come l’apertura di un nuovo stabilimento Airbus a Tianjin. Poiché la Cina è il mercato in più rapida crescita al mondo per gli aerei commerciali, un tale accordo è un colpo diretto contro gli interessi della Boeing, una società americana. Ciò avrà come conseguenza anche una specie di condivisione della tecnologia a cui l’imperialismo statunitense è categoricamente contrario.
La classe dominante francese ha sempre avuto le proprie ambizioni nell’arena mondiale e mira a svolgere un ruolo più indipendente. Ad esempio, le sue armi nucleari sono al di fuori del controllo della NATO. Inoltre, l’imperialismo francese ha i suoi interessi, in particolare in Africa. Nonostante il suo peso limitato nelle relazioni internazionali, la Francia cerca di bilanciarsi tra Stati Uniti e Cina per ottenere un certo grado di autonomia. Ovviamente, allo stesso tempo, il regime cinese è interessato a sfruttare le contraddizioni tra UE e USA a proprio vantaggio.
Mentre il viaggio di Macron era in parte inteso come mezzo per distogliere l’attenzione dal movimento di protesta di massa contro la riforma delle pensioni in Francia, le sue dichiarazioni sono chiaramente rappresentative del pensiero di un’ala della borghesia dell’Europa occidentale, che rischia di perdere molto e guadagnare poco seguendo ciecamente Washington nei suoi conflitti sulla scena mondiale.
L’Unione europea è stata creata come mezzo per unificare le nazioni che non potevano svolgere un ruolo indipendente sulla scena mondiale. Oggi è paralizzata dalle contraddizioni tra i suoi paesi membri, contraddizioni costantemente sfruttate dalle potenze imperialiste più grandi.
Frammentazione
Per un lungo periodo di tempo dopo la Seconda guerra mondiale, le relazioni mondiali furono relativamente stabili, poiché si fronteggiavano due grandi superpotenze di forza simile (e con armi nucleari). Quel relativo equilibrio è stato distrutto dal crollo dello stalinismo nel 1989-91.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti sono rimasti l’unica superpotenza del pianeta. Come Icaro nella mitologia greca, che volò troppo vicino al sole, credevano che non ci fosse limite al loro potere. Sono intervenuti in un paese dopo l’altro per punire ogni atto di disobbedienza e hanno incontrato poca resistenza. Ad esempio, all’epoca della guerra imperialista del Golfo nel 1991, la Cina e la Russia semplicemente si astennero al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzò l’uso della forza contro l’Iraq. Si era persino parlato di invitare la Russia ad aderire alla NATO. La Russia è stata poi umiliata dalla NATO nell’incidente all’aeroporto di Pristina in Kosovo nel 1999.
Ma alla fine del secolo e con le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan, la marea ha cominciato a cambiare. Le sconfitte in quelle guerre hanno messo in mostra i limiti del paese più potente del mondo. Soprattutto, hanno portato a una diffusa opposizione tra la classe operaia americana a qualsiasi ulteriore avventura militare.
Di conseguenza, non è stato possibile per gli Stati Uniti schierare truppe ed entrare apertamente in guerre su larga scala. Infatti nel 2014 Barack Obama non è nemmeno riuscito ad ottenere l’approvazione del Congresso per una campagna limitata di bombardamenti contro il regime di Assad in Siria.
Questa debolezza ha significativamente ridotto la capacità statunitense di mostrare il proprio potere. In Siria, ad esempio, abbiamo visto come la Russia e l’Iran siano riusciti a sconfiggere la coalizione guidata dagli Stati Uniti. Allo stesso modo, in Libia, le potenze occidentali sono state completamente messe ai margini dalle milizie schierate con la Russia e da quelle vicine alla Turchia.
Insieme all’effettiva sconfitta in Iraq e all’umiliante ritiro dall’Afghanistan, questi sono stati dei duri colpi all’autorità degli Stati Uniti.
Un processo parallelo ha avuto luogo sul piano economico e diplomatico.
Subito dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti rappresentavano il 40% del PIL mondiale. Su questa base, e con il “libero scambio” come slogan principale, Washington ha abbattuto le barriere commerciali e ha aperto il mercato mondiale, sotto la direzione di istituzioni come il FMI e la Banca mondiale che hanno sede negli Stati Uniti. Il dollaro si affermò come valuta stabile del commercio mondiale, il quale si espanse enormemente.
Ma oggi, la quota degli Stati Uniti sul PIL mondiale è scesa al 24%, mentre la Cina è passata da una percentuale trascurabile al 18%. La Cina non si avvicina neanche lontanamente a sorpassare gli Stati Uniti sul piano economico. Ma la sua ascesa ha comportato una riduzione del peso relativo degli USA nell’economia mondiale.
Allo stesso tempo, la crisi economica mondiale ha aumentato le tensioni tra le nazioni. Quindi, per difendere la propria posizione, il capitalismo statunitense è passato dall’essere il più accanito sostenitore del libero scambio ad essere la forza che più spinge per il protezionismo.
La guerra commerciale contro la Cina, avviata dall’amministrazione Trump, è continuata senza sosta durante la presidenza Biden. Gli Stati Uniti stanno anche adottando misure per mettere al sicuro la capacità produttiva interna. Nel frattempo, il dollaro – e i sistemi finanziari basati sul dollaro, come lo SWIFT – vengono usati come armi per colpire quelli che osano intralciare gli statunitensi.
Ciò ha scosso la fiducia nell’ordine mondiale del periodo post-sovietico. Se i beni russi possono essere congelati dall’oggi al domani, chi potrebbe essere il prossimo?
Trotskij una volta fece notare che l’imperialismo britannico, al suo apice, era solito pensare in termini di secoli e continenti. Anche l’imperialismo USA, nel suo periodo di ascesa, almeno tentava di guardare al futuro prima di agire.
Oggi, tuttavia, la borghesia statunitense è caratterizzata da una estrema miopia e stupidità. Questo di per sé è un riflesso della crisi organica del capitalismo e del dominio del capitale finanziario e del mercato azionario, che non vedono oltre la prossima bolla speculativa o, nel migliore dei casi, la prossima relazione trimestrale.
In un periodo di crisi generalizzata del capitalismo, mantenere lo status quo è la via più vantaggiosa per andare avanti. Ma lo status quo è diventato insostenibile da mantenere.
Così, come un elefante ubriaco, l’imperialismo USA barcolla nell’arena internazionale, senza un piano chiaro. In tal modo, sta minando l’ordine mondiale, che era basato sul proprio dominio assoluto dopo lil crollo dell’Unione Sovietica. La guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia hanno accelerato questo processo.
Ma è indubbiamente vero che in questo momento non esiste alcuna forza che possa sfidare il potere globale degli Stati Uniti sul piano militare o economico. La produttività del lavoro negli Stati Uniti è ancora ben superiore a quella cinese (sebbene il divario si stia riducendo). Anche la spesa militare statunitense è maggiore di quella complessiva delle dieci nazioni che la seguono, rappresentando il 54% della spesa militare mondiale totale. Tuttavia, stanno comparendo crepe nell’ordine mondiale dominato dagli Stati Uniti, crepe in cui si stanno infilando potenze minori come la Cina, e in una certa misura anche la Russia, che vanno ad aggiungersi all’instabilità esistente.
Cina e BRICS
I cinesi hanno efficacemente sfruttato il senso di crescente insicurezza nelle relazioni mondiali. Durante il suo viaggio a Mosca, Xi Jinping ha aggirato le spacconate statunitensi sulle “linee rosse” riguardanti gli aiuti militari alla Russia. È invece arrivato armato di un piano di pace.
Le sue possibilità di successo erano prossime allo zero, ma non era quello lo scopo. L’intenzione era quella di inviare un messaggio al resto delle nazioni del mondo: “Cosa ha portato il vostro abbraccio agli Stati Uniti se non instabilità e guerra? Venite con noi e otterrete pace, stabilità e commercio.
Il messaggio sfrutta abilmente un sentimento di profonda costernazione a livello mondiale – che colpisce in ugual misura sia i nemici tradizionali che gli alleati degli Stati Uniti.
A marzo, la Cina ha fatto da mediatore per un accordo tra Arabia Saudita e Iran, che da anni si contendono l’influenza sul Medio Oriente. Questo è stato un duro colpo per la posizione degli Stati Uniti, che per decenni sono stati la principale potenza in Medio Oriente e il principale protettore del regime saudita.
All’Arabia Saudita è stato inoltre garantito lo status di partner nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), un organismo politico ed economico guidato dalla Cina e appoggiato dalla Russia. Commentando questo passaggio, un analista saudita, Ali Shihabi, ha detto che:
“La tradizionale relazione monogama con gli Stati Uniti è ormai finita. E siamo entrati in una relazione più aperta; forte con gli Stati Uniti ma ugualmente forte con Cina, India, il Regno Unito, la Francia e altri”.
Molte potenze minori stanno approfittando della divisione tra le grandi potenze per superare le disparità. Per dirla con le parole del presidente brasiliano Lula in visita a Pechino, vorrebbero lavorare con Stati Uniti e Cina per “bilanciare la geopolitica mondiale”.
“Bilanciare” è un buon modo di dire. La classe dominante brasiliana non può permettersi di voltare completamente le spalle agli Stati Uniti. Ma non si inchinerà nemmeno a tutte le richieste del governo statunitense, come abbiamo visto con il rifiuto del Brasile di inviare armi all’Ucraina. Allo stesso modo, mentre era in Cina, Lula ha avuto il coraggio di visitare lo stabilimento Huawei, che produce apparecchiature 5G bandite dagli Stati Uniti. Anche il grande settore agroalimentare brasiliano fa affidamento sui fertilizzanti russi.
Paesi come il Brasile, il Sud Africa e l’India da tempo sono abbastanza grandi e potenti per tracciare una linea semi-indipendente su alcune questioni, senza voltare completamente le spalle all’imperialismo occidentale.
In effetti, il cosiddetto raggruppamento dei BRICS ha da tempo formato un blocco semi-formale, come contrappeso autodichiarato al G7 occidentale, con Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica come membri fondatori.
Ma secondo il ministro degli Esteri sudafricano, non meno di altri 12 paesi hanno fatto domanda per aderire all’associazione. Molti di quelli che bussano alla porta per aderire, includono nazioni che per decenni sono stati zerbini dell’imperialismo statunitense, tra cui l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto.
L’ascesa della Cina sta certamente allentando la presa statunitense in diverse parti del mondo. Ma sarebbe sbagliato credere che la Cina sia sulla buona strada per sostituire o addirittura eguagliare il potere statunitense a livello globale.
Anche solo sul piano militare, esiste un’enorme disparità tra le due. Oltretutto l’economia americana è molto più grande e più avanzata. E ha un controllo decisivo sulle leve chiave dell’economia mondiale.
Inoltre, è chiaro che si sta preparando una crisi economica senza precedenti nella stessa Cina – e collegato a questa crisi, un periodo di profonde convulsioni sociali, che frenerà la traiettoria che il paese ha intrapreso nell’ultimo periodo.
La lotta contro l’imperialismo e i compiti dei comunisti
Nel 1928, quando l’imperialismo americano era ancora nel suo periodo di espansione, Lev Trotskij scrisse quanto segue:
“… sono proprio la forza internazionale degli Stati Uniti e la loro conseguente inarrestabile espansione che li costringono a contenere i depositi di munizioni del mondo intero all’interno della loro struttura, cioè, tutti gli antagonismi tra Oriente e Occidente, le lotte di classe della Vecchia Europa, le rivolte delle masse coloniali e tutte le guerre e le rivoluzioni..
“Da un lato, ciò trasforma il capitalismo nordamericano nella principale forza controrivoluzionaria dell’epoca moderna, sempre più interessato al mantenimento dell’ “ordine” in ogni angolo del globo terrestre; e, dall’altro lato, tutto ciò prepara il terreno per il gigantesco scoppio rivoluzionario all’interno di questa, già dominante ed in continua espansione, potenza imperialistica mondiale”. (La Terza internazionale dopo Lenin)
Queste parole sono ancora più vere oggi di quando furono scritte. L’imperialismo statunitense è la forza più reazionaria del pianeta. I suoi tentacoli economici, militari, diplomatici e culturali si estendono in profondità in quasi ogni singolo paese. E rappresenta una minaccia per la classe operaia laddove le masse iniziano a muoversi verso la rivoluzione in maniera decisiva.
Allo stesso tempo, l’ascesa del capitalismo americano ha creato la classe operaia più potente del mondo, capace di determinare il corso della storia. La lotta contro l’imperialismo è parte integrante della lotta della classe operaia per il socialismo.
Negli Stati Uniti, le nozioni di una cosiddetta Pax Americana e del “Secolo americano” sono stati potenti strumenti di propaganda nei tentativi della classe dominante statunitense di superare la lotta di classe. Ma la cinica bugia dei “bravi ragazzi” americani che diffondono la “democrazia” in tutto il mondo è oggi infangata e svelata come anche il cosiddetto Sogno americano.
Ad ogni battuta d’arresto e sconfitta dell’imperialismo statunitense, la posizione della classe dominante viene ulteriormente indebolita dall’interno, a vantaggio della classe lavoratrice.
In ogni fase, il compito dei comunisti è quello di sviluppare una posizione indipendente per la classe operaia. Dobbiamo mettere alla luce tutti i discorsi ipocriti e cinici dell’establishment sulla difesa della “democrazia” e sulla “resistenza a uomini forti” come Putin, come nient’altro che una cortina fumogena usata per coprire i ristretti interessi predatori dei capitalisti.
Basti citare i milioni di vite perse nelle guerre in Medio Oriente negli ultimi decenni, la sanguinosa disgregazione della Jugoslavia, il saccheggio della Russia e dell’Europa orientale negli anni ’90, la morsa che l’Occidente mantiene sull’Africa, l’aver scatenato il fondamentalismo islamico, i cambi di regime, i colpi di stato e le controrivoluzioni che sono costate milioni di vite umane, secoli di politica in cui si sono sostenuti colpi di stato militari, l’aver sostenuto dittatori sanguinari e rovesciato governi progressisti in America Latina. L’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Questa catena omicida prodotta dalle potenze occidentali nel secolo scorso, ha seminato tra le nazioni coloniali, semicoloniali ed ex coloniali oppresse un odio profondo contro l’imperialismo.
Il compito di rovesciare il regime reazionario di Putin è dei lavoratori russi. Il compito della classe operaia statunitense è combattere contro la propria classe dominante, che è da decenni il più grande nemico di tutti i veri movimenti rivoluzionari nel mondo. Senza questo non si può parlare di una vera unità internazionale della classe operaia.
Un mondo multipolare
Tuttavia c’è chi sostiene che, dato che siamo contrari all’imperialismo occidentale, dovremmo sostenere i suoi avversari.
La cosiddetta teoria del mondo multipolare, che si presenta in varie forme e dimensioni, suggerisce che dovremmo lottare per un mondo dominato da molteplici potenze imperialiste che si bilanciano a vicenda, al contrario di quello attuale che è dominato da un’unica superpotenza .
Nella prefazione al suo libro Per un mondo multipolare del 2006, Samir Amin ha scritto:
“Voglio vedere la costruzione di un mondo multipolare, e questo significa ovviamente la sconfitta del progetto egemonico di Washington per il controllo militare del pianeta. Ai miei occhi è un progetto prepotente, criminale per sua stessa natura, che sta trascinando il mondo in guerre senza fine e sta soffocando ogni speranza di progresso sociale e democratico, non solo nei paesi del Sud ma anche, in misura apparentemente minore, in quelli del Nord”.
Oggi, questa idea sta guadagnando una rinnovata popolarità tra alcuni settori della sinistra internazionale, che credono che dovremmo sostenere l’ascesa della Cina e il rientro della Russia come potenza nell’arena mondiale.
Si sostiene che in un mondo così multipolare, l’imperialismo cinese, quello russo e forse quello di altri paesi come l’India e il Brasile terrebbero sotto controllo l’impero statunitense, portando a un mondo più pacifico e più giusto. Tuttavia, non viene mai spiegato il motivo per cui queste potenze sarebbero più interessate alla pace e alla “correttezza” rispetto agli Stati Uniti.
Qui abbiamo l’essenza concentrata della vecchia teoria del fronte popolare (seppur su scala internazionale!) a lungo sostenuta dagli stalinisti quando erano al loro apice.
Invece di chiarire le contraddizioni di classe tra i lavoratori e i capitalisti, questa posizione sfuma i confini di classe e tenta di spingere la classe operaia dietro a un blocco imperialista, anche se più debole, contro un altro.
Invece di incoraggiare la lotta contro il capitalismo, questa teoria semina illusioni nella possibilità di una soluzione dentro ai confini del sistema attuale.
Russia e Cina saranno anche potenze minori rispetto agli Stati Uniti. Ma questo non rende assolutamente Putin e Xi più progressisti. Questi sono regimi capitalisti, basati sullo sfruttamento della classe operaia. Sono i nemici dei lavoratori e dei poveri.
E mentre non è compito del proletariato occidentale rovesciarli, è certamente il compito degli operai russi e cinesi. Per loro, non c’è altra soluzione entro i ristretti limiti del capitalismo.
Tuttavia, per evitare la lotta di classe e radunare la nazione dietro ai loro regimi, sia Xi che Putin si basano demagogicamente sulla minaccia dell’imperialismo statunitense e sui sentimenti antimperialisti dei lavoratori russi e cinesi. In altre parole, la minaccia dell’imperialismo statunitense viene utilizzata per sottomettere i lavoratori russi e cinesi.
Invece di seminare illusioni in questi regimi, il dovere dei comunisti è quello di smascherare questa demagogia e di mostrare come gli interessi di questi regimi siano direttamente opposti a quelli dei lavoratori e dei poveri.
Per la fortuna dei nostri amici “multipolari” di sinistra, la loro idea è stata sostenuta da Vladimir Putin e Xi Jinping nel recente incontro che hanno avuto a Mosca. Qui hanno delineato la loro intenzione di “promuovere un ordine mondiale multipolare, la globalizzazione economica e la democratizzazione delle relazioni internazionali”, e di “promuovere lo sviluppo di una governance globale in modo più equo e razionale”.
Il loro conflitto con l’imperialismo occidentale ha una natura di classe completamente diversa dall’antimperialismo delle masse.
Quando Xi e Putin parlano di “globalizzazione economica e democratizzazione delle relazioni internazionali” e di uno “sviluppo della governance globale” più giusto, ciò che intendono non è la fine dell’imperialismo e dell’oppressione nazionale, ma di un nuovo assetto nelle relazioni mondiali – uno in cui le loro rispettive classi dominanti ricevono una fetta più grande di quella torta che ritengono venga divorata avidamente dall’Occidente.
Ciò che la Cina cerca sono campi di investimento, fonti di materie prime ed energia e il controllo delle rotte commerciali, tutto nell’interesse dei capitalisti cinesi. Questa non è una vera lotta contro l’imperialismo. È semplicemente un’offerta per sostituire un imperialismo con un altro.
Affinché le masse di Russia e Cina possano davvero combattere contro l’imperialismo, devono prima prendere il potere nelle proprie mani e unire la loro lotta a quella dei lavoratori in Occidente. Solo a queste condizioni può iniziare una lotta autentica, internazionale, antimperialista.
Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!
Il 21° secolo è stato annunciato come il Nuovo Secolo Americano. Quando gli Stati Uniti ordinavano qualcosa, il mondo obbediva ciecamente. Ma un tale comportamento non gode più dell’unanimità che aveva una volta.
Con l’arrivo sulla scena di nuove potenze e con l’emergere dei limiti del potere statunitense, le potenze regionali stanno tentando di estendere la loro influenza e seguire una rotta più indipendente. Gli americani stanno scoprendo che alleati precedentemente fedeli ora pensano di poter ottenere il meglio da entrambi i mondi bilanciandosi da un lato con gli Stati Uniti e dall’altro con la Cina e la Russia.
In questo nuovo equilibrio di forze, con l’autorità degli Stati Uniti indebolita, senza che ci sia un vero concorrente per dominare il mondo come potenza economica e militare, assisteremo a nuovi scontri.
Invece di un’era di pace, questo nuovo mondo “multipolare” vedrà una concorrenza sempre più feroce tra le potenze imperialiste minori, che cercheranno di mostrare i muscoli.
In questi scontri, le nazioni più piccole verranno schiacciate politicamente ed economicamente, o militarmente come abbiamo visto nei casi di Libia, Siria e Ucraina.
Ci sarà un periodo di estrema turbolenza, con “piccole” guerre e conflitti per procura – che alimenteranno e si combineranno con la crisi generale del sistema capitalista.
Ciò pone urgentemente il compito di una lotta a livello internazionale per eliminare una volta per tutte questo sistema morente: per inaugurare un ordine socialista mondiale, senza i limiti soffocanti del profitto e dello stato nazionale.
La Tendenza marxista internazionale è un’organizzazione comunista rivoluzionaria presente in più di 40 paesi a livello mondiale. Unisciti a noi e alla lotta per la rivoluzione socialista nel tuo paese e in tutto il mondo!