La rivolta scuote gli USA: raccogliendo tempesta

«E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta.» (Osea, 8:7)

Le scene drammatiche provenienti dagli USA hanno scioccato l’opinione pubblica e hanno avuto un riverbero in tutto il mondo. Nelle strade di molte città americane, un gran numero di lavoratori e giovani sono passati all’azione. Uno stato d’animo di rabbia bruciante e incontrollabile si è impadronito della popolazione


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La causa immediata di questa esplosione è stata l’omicidio il 25 maggio a Minneapolis di George Floyd – un uomo disarmato, terrorizzato e indifeso steso per terra, che supplicava per la sua vita mentre un agente di polizia teneva un ginocchio sul suo collo, soffocandolo lentamente e in maniera deliberata.

Si può solo immaginare il tormento dell’agonia fisica e psicologica sofferta dalla vittima mentre, in maniera lenta e inesorabile, gli veniva tolta la vita. «Non riesco a respirare, agente. Non riesco a respirare. Sto morendo». Ma la sua supplica pressante non ha trovato un orecchio disposto ad ascoltarla. L’agente di polizia ha continuato a premere sulla sua gola. Il terrore e l’agonia sono continuati per circa otto minuti. Poi ha smesso di supplicare – per sempre.

Questi criminali in uniforme hanno poi debitamente compilato un rapporto che ha presentato quest’atrocità in una luce totalmente falsa. Purtroppo per loro, questo fatto raccapricciante era stato ripreso dal telefono di un testimone. Milioni di persone nel mondo hanno visto le orribili immagini. E così la popolazione degli Stati Uniti, come il mondo intero, ha potuto vedere ciò che è accaduto.

Il punto di svolta

Questo non è certo un incidente isolato. Negli USA, la polizia ha ucciso 1099 persone nel 2019. Durante lo scorso anno, solo in 27 giorni su 365 la polizia non ha ucciso nessuno.

La stragrande maggioranza delle vittime della violenza della polizia sono persone povere, disoccupate, membri del cosiddetto sottoproletariato e, ovviamente, una gran parte sono persone di colore.

I neri sono il 24% delle persone uccise dalla polizia, nonostante siano solo il 13% della popolazione statunitense. E la cosa peggiore di tutte è la completa impunità con cui opera la polizia. Il 99 per cento di tutti questi omicidi, dal 2013 al 2019, non ha portato ad un’imputazione a carico degli agenti che hanno commesso il crimine.

È in questo contesto che dobbiamo osservare l’attuale sollevazione di massa per quello che è. L’omicidio di George Floyd è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ha generato un’ondata di manifestazioni di rabbia in tutto il paese.

La collera accumulata fra gli americani più poveri, quelli oppressi giorno dopo giorno, tra le minoranze nazionali ed etniche più svantaggiate, si è riversata nelle strade; questo è accaduto nonostante l’America, come altri paesi, fosse in uno stato di lockdown a causa dell’epidemia di Coronavirus.

La pandemia è già costata la vita a più di 100.000 americani. Altri 42 milioni di persone sono disoccupate, mentre l’economia statunitense è al tracollo. E, non molto al di sotto della superficie, ribolle una rabbia che ricorda la massa liquida di roccia fusa che forza la sua strada verso la superficie, durante un’eruzione vulcanica.

Migliaia e migliaia di persone si sono riversate nelle strade per esprimere la loro rabbia e la loro indignazione per le mostruose ingiustizie che hanno dovuto subire in silenzio per generazioni.

Le autorità colte impreparate

Gli eventi che si sono susseguiti erano decisamente senza precedenti. A Minneapolis, la polizia è stata costretta a fuggire al cospetto della furia delle proteste. I dimostranti hanno preso il controllo del Terzo Distretto di Polizia e lo hanno dato alle fiamme.

Questo deve aver lasciato abbastanza scosse le autorità, che erano chiaramente impreparate a quest’enorme fiammata d’indignazione e di collera. Allarmate dalla ferocia del movimento, in Minnesota hanno reagito annunciando il licenziamento dei poliziotti assassini, quindi si sono tardivamente piegate alla pressione e hanno incriminato l’agente Derek Chauvin per omicidio di secondo grado, mentre gli altri poliziotti saranno accusati di aiuto e favoreggiamento.

Questo però è stato un tipico caso di “troppo poco, troppo tardi”. Il movimento è andato ben oltre le motivazioni iniziali. È cresciuto fino a diventare una protesta non solo contro il razzismo e le violenze della polizia, ma anche contro le più evidenti diseguaglianze sociali, che sono state pesantemente esacerbate dalle attuali emergenze sanitaria ed economica.

Una giovane donna di colore ha affermato: «abbiamo dovuto sopportare per 400 anni. Quando è troppo è troppo!». Un altro ha riassunto bene questo sentimento e, quando gli hanno chiesto contro cosa manifestasse, ha risposto con una sola parola: «l’Ingiustizia».

Il movimento si diffonde

È stato praticamente nel giro di una notte, la sera del 29 maggio, che gli USA sono sprofondati nel caos. Un fenomeno del genere non si era mai visto negli Stati Uniti. La maggioranza delle persone in strada protestava pacificamente, ma è stata respinta con proiettili di gomma, gas lacrimogeni e cariche selvagge. I manifestanti sono stati percossi, picchiati per terra, gli è stato sparato contro; e, in alcuni casi uccisi.

Le autorità hanno imposto il coprifuoco in oltre 40 città. Ma questo coprifuoco è stato largamente sfidato dai contestatori, che hanno reagito, scontrandosi con la polizia. In Colorado, si sono uditi spari vicino al palazzo del governo. A Louisville hanno sparato a sette persone. Ma niente è riuscito a creare un argine che fermasse l’ondata delle proteste.

Come seguendo un disegno invisibile, le manifestazioni sono divampate in tutto il paese. I manifestanti sono immediatamente scesi in strada, in città come New York, Atlanta, Colombus, Los Angeles, Phoenix, Denver, Washington e altrove.

Questa è stata una combustione interamente spontanea di rabbia collettiva, senza nessuna organizzazione o piano precedente. È stata un’escalation dovuta a uno scontento popolare dal basso che è sembrato schizzare fuori dal nulla e che ha travolto tutto intorno a sé.

La portata del movimento ha colto tutti di sorpresa, compresi molti attivisti politici. Hanno continuato senza sosta a mobilitarsi per otto notti, nonostante la feroce repressione da parte delle “forze dell’ordine”.

La questione della violenza

La stampa sensazionalista ha accusato i manifestanti di essere dei violenti. Ma lo stato stesso non è altro che violenza organizzata. La radice dell’attuale sollevazione è la violenza omicida degli uomini in divisa. Quel che la classe dominante critica non è la violenza in sé, ma il fatto che le masse rispondano alla violenza dello stato con la propria. Solo lo stato ha il privilegio di commettere un omicidio, e coloro che uccidono indossando uniformi della polizia non vengono arrestati, imprigionati, puniti, o anche solo condannati. Più spesso, questi individui vengono ringraziati e decorati per il servizio reso allo stato.

Chi c’è veramente dietro la violenza che a volte scoppia alla fine delle manifestazioni? In ogni protesta di questo tipo, c’è sempre una frangia di elementi impoveriti, sottoproletari o criminali veri e propri, che si avvantaggiano del disordine per saccheggiare e appiccare incendi.

I veri manifestanti hanno cercato di mantenere questi soggetti sotto controllo, riconoscendoli come elementi alieni che servono solo a fornire alla polizia una giustificazione per agire ancora più violentemente.

Ma possono essere coinvolti anche elementi più sinistri. Ci sono parecchie prove che fanno pensare che siano stati sguinzagliati degli agenti provocatori durante le proteste in corso, con lo scopo di fomentare scontri, violenze e disordini per causare caos e distruggere il movimento dall’interno.

Trump incita all’omicidio

Durante la conferenza stampa del 29 maggio (solo una dichiarazione, senza domande né risposte), Trump non ha avuto nulla da dire sull’ondata di proteste che sta scuotendo dalle fondamenta la società americana.

I giornalisti lì raccolti hanno aspettato con impazienza un qualche tipo di dichiarazione sulla notizia del giorno. Invece, il Presidente ha parlato della rottura delle relazioni con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha attaccato la Cina, ma non ha fatto menzione del fatto che le città americane erano in fiamme.

Mentre il Presidente procedeva ad abbandonare il palco, dei giornalisti frustrati dal suo atteggiamento hanno tentato di urlare le loro domande, ma lui si è rapidamente disimpegnato, lasciando questi ultimi esasperati e arrabbiati. Nessuno dei giornalisti ha creduto alle sue giustificazioni.

Si narra che l’Imperatore Nerone suonasse la lira mentre Roma bruciava. L’America, come Roma al tempo di Nerone, sta bruciando. E l’imperatore Trump, che al contrario di Nerone non mostra alcun tipo di talento musicale, gioca a gettare benzina sul fuoco.

Il Presidente Trump, che accarezza un simile sogno di grandezza imperiale, è rimasto asserragliato nella Casa Bianca, dalla quale via Twitter ha chiamato i manifestanti «teppisti» e ha avvertito che «quando inizia il saccheggio, si inizia a sparare».

Questo è stato troppo persino per Twitter, che ha interpretato la dichiarazione di Trump come un aperto incitamento all’omicidio, cosa che indubbiamente era. Poco dopo, il Presidente ha fatto un tentativo poco convincente di negare che questa fosse la sua volontà.

Successivamente, Trump ha dichiarato che non intendeva che le truppe e la polizia debbano effettivamente aprire il fuoco. Intendeva qualcosa di totalmente diverso, anche se questo qualcosa rimane a noi oscuro. Nessuno può legittimamente rimanere nel dubbio che il Presidente non intendesse proprio quello che ha scritto.

Ha avvisato che «i cani feroci e le armi più minacciose» sarebbero stati usati contro i manifestanti all’esterno della Casa Bianca, e che avrebbe scatenato «il potere illimitato del nostro esercito».

È emerso che Trump ha deliberatamente provocato in prima persona un violento attacco ai manifestanti fuori la Casa Bianca, in modo da sgomberare la strada per andare in una chiesa vicina. Qui si è fatto ritrarre in piedi con una Bibbia in mano a beneficio della stampa, prima di andare via, per quanto ne sappiamo noi, senza pronunciare preghiere.

Quest’azione era pensata per evocare il grande coraggio personale del Presidente, che si doveva sommare al suo indubbio attaccamento allo spirito della carità cristiana. Ma questo gesto non ha richiesto molto coraggio, visto che Trump era circondato dalla Guardia Nazionale pesantemente armata e da un piccolo esercito di uomini della sua scorta.

Un bullo in un bunker

La reale portata del coraggio di Trump è stata chiaramente rivelata dagli eventi più recenti. Le esplosioni di rivolta sono arrivate alle porte della Casa Bianca, dove gli slogan arrabbiati della gente sono riusciti a raggiungere l’orecchio del Presidente, che si è frettolosamente nascosto in un bunker sotterraneo, rimanendovi per poco meno di un’ora prima di venire riportato di sopra.

Una fonte interna ha detto alla CNN che «se le condizioni di sicurezza alla Casa Bianca diventassero di livello rosso e il presidente dovesse essere trasferito» nel Centro delle Operazioni di Emergenza «Melania Trump, Barron Trump e ogni altro membro della famiglia verrebbero egualmente trasferiti».

Una fonte delle forze dell’ordine e un’altra fonte vicina alla questione hanno dichiarato alla CNN che anche la first lady Melania Trump e il figlio del Presidente Barron sono stati portati nel bunker, per paura che i manifestanti entrassero nel complesso. Questo fatto non ha precedenti nella storia contemporanea degli Stati Uniti!

Donald J. Trump non è né più né meno che un bullo da cortile di una scuola. E, come tutti i bulli, è un codardo nell’anima. La sua vile codardia è quello che sta dietro alle spudorate minacce e alla sua insensibile vanagloria.

L’immagine del Presidente degli Stati Uniti – l’uomo più potente del mondo- che si rifugia in un bunker per scappare da quello che è un numero relativamente piccolo di dimostranti, ci dice tutto ciò che dobbiamo sapere sulla fibra morale di Donald J. Trump. E i suoi messaggi riflettevano solo paura e panico. Anche il sindaco di Washington l’ha accusato di incitare alla violenza.

Quando il popolo perde la paura dello stato, le ultime difese dell’ordine esistente iniziano a cedere. Questo è ciò che ha terrorizzato la classe dominante americana. Questo spiega la decisione frettolosa di mettere gli assassini sotto processo.

«Inviare le truppe»

Sembra che la leadership repubblicana sia così terrorizzata dalla piega degli eventi da aver richiesto che il Presidente facesse una dichiarazione per calmare le acque. Ma si ritrova bloccata nella contraddizione per cui qualsiasi cosa dica questo presidente, probabilmente getterà altra benzina sul fuoco.

Da lunedì, l’amministrazione Trump ha già messo in azione un battaglione di polizia militare in servizio attivo, con tempi di risposta brevi a Washington e dintorni.

Il segretario di stato alla difesa, Mark Esper, prendendo parte alla riunione che Trump ha convocato insieme ai governatori lunedì, ha detto che ora sono dispiegate 17.000 unità della Guardia Nazionale in 29 stati e nel Distretto di Columbia (Washington), sorpassando per numero le 15.000 unità dispiegate per l’Uragano Katrina nel 2005. Altre 45.000 già stanno appoggiando la lotta alla pandemia di Coronavirus.

Agli occhi di ogni persona normale, queste forze dovrebbero essere più che sufficienti per fronteggiare qualsiasi disordine. Ma, come sappiamo, Donald J. Trump non è una persona normale.

Lunedì 1° giugno, Trump ha sfoderato la sua retorica isterica, minacciando di usare le forze militari per «sottomettere» i manifestanti. Durante la riunione con i governatori, ha richiesto una risposta dura. Ha detto che avrebbe voluto avere a disposizione «una forza militare d’occupazione».

Nel Rose garden (della Casa Bianca Ndt), mentre si potevano udire forti colpi e i manifestanti fuggivano spaventati, Trump ha detto che stava adottando «un’azione rapida e decisiva» per proteggere Washington, dispiegando «migliaia e migliaia di soldati pesantemente armati, personale militare e agenti delle forze dell’ordine per far finire la rivolta, il saccheggio, il vandalismo, gli assalti e la distruzione sfrenata di proprietà».

«Stiamo per reprimere tutto in maniera molto, molto forte» ha detto Trump. «La parola è ‘sottomettere’. Se non domini la tua città e il tuo stato, ti trascineranno via con loro. E lo stiamo facendo a Washington, nel Distretto di Columbia, stiamo per fare qualcosa che la gente non ha mai visto prima […] ma avremo il dominio totale».

Ha anche detto che «raccomanda strettamente ad ogni governatore di dispiegare la Guardia Nazionale in numeri sufficienti per avere il controllo totale delle strade». Se le città o gli stati dovessero fallire questo obiettivo, Trump ha dichiarato «allora sarò io a inviare l’esercito degli Stati Uniti e risolvere subito il problema per loro».

Più tardi, come per rendere concreto il desiderio del Presidente, la Guardia Nazionale ha sparato gas lacrimogeni e proiettili di gomma sulla folla pacifica radunata fuori la Casa Bianca. Ma la Guardia Nazionale non è l’esercito. È composta da persone che hanno svolto il servizio militare e che ora hanno lavori da civile, ma si esercitano part-time. Vengono solitamente impiegati nei loro stati di residenza dai governatori, o dal governo federale che decide la durata di ciascuna missione. Possono svolgere azioni di polizia quando sono sotto il comando dei governatori degli stati. Ma la legge impedisce alle truppe regolari di fare lo stesso, a meno che il Presidente non invochi l’Insurrection Act: una legge del 1807 che permette al Presidente di dispiegare l’esercito americano per reprimere i disordini civili.

Questa sembra essere la prossima “Grande Idea” che si inizia a formare tra le nebbie brulicanti del confuso cervello di Trump. Ansioso di convincere l’America della sua virilità e di cancellare l’immagine di vigliaccheria che, dall’episodio del bunker, lo contraddistingue nella testa di tanta gente, ora è determinato a chiamare in suo aiuto l’esercito.

Tuttavia, è più facile a dirsi che a farsi.

Aspettare le elezioni?

L’ex vicepresidente Joe Biden, il probabile candidato democratico alla presidenza, ha affermato durante un video discorso che questo non era «il momento di incoraggiare la violenza». Ha detto di aver parlato con la famiglia Floyd e ha invitato gli americani a fare i conti con la storia nazionale dell’ingiustizia razziale.

Belle parole! Ma come dice il proverbio: tutto fumo e niente arrosto. Biden invoca calma, pace e armonia. Tutti gli americani dovrebbero stare insieme e amarsi. Allora tutto sarebbe risolto. L’agnello dovrebbe coricarsi con il lupo, eccetera eccetera.

Purtroppo, gli appelli alla pace vengono accolti con cariche di polizia, manganellate, gas lacrimogeni, proiettili di gomma e colpi di arma da fuoco. La vuota retorica di Biden ci ricorda un’altra frase biblica: «Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: ‘Pace, pace’, mentre pace non c’è». (Geremia 6:14).

Vogliono che i manifestanti agiscano nel rispetto della legge. Il fatto è che la legge è scritta dalla classe dominante per difendere i propri interessi, non quelli della maggioranza della popolazione. Solone di Atene (politico greco del VI secolo a.C. Ndt) ha detto che la legge è come la ragnatela di un ragno: i piccoli vengono catturati e i grandi la strappano. Come era vero allora, lo è ancora oggi.

È veramente molto bello predicare la pazienza, la tolleranza e la pace, ma la pazienza della gente ha dei limiti ben precisi. E ora questi limiti sono stati raggiunti.

I Democratici dicono: «aspettate le elezioni!» Ma le masse hanno aspettato le elezioni per molti anni, e non hanno ricevuto nulla in cambio, se non vuote promesse che vengono sistematicamente disattese da entrambi i principali partiti.

E nulla cambia davvero.

Democratici e Repubblicani rappresentano esattamente gli stessi interessi di classe. L’unica differenza sta nei metodi che scelgono per perpetuare il dominio di una piccola cricca di banchieri e miliardari che non rappresenta nessuno. Non c’è nessuna differenza tra reazionari sfacciati e falsi amici ipocriti. In ultima analisi, i secondi sono più pericolosi dei primi. Almeno con Trump sai chiaramente con chi hai a che fare.

Trump dice: sgomberate le strade e tornate a casa, altrimenti vi spareremo. I democratici dicono: sgomberate le strade e tornate a casa, abbiate pazienza e aspettate le elezioni. Entrambi sono d’accordo su una cosa: sgomberate le strade!

Una volta che le masse saranno smobilitate e gli individui atomizzati nelle loro case, le loro rivendicazioni si ridurranno ad uno stato di rabbia impotente. È giunto il momento di spazzare via entrambe le fazioni della classe dominante. È l’unico modo per sconfiggere l’attuale sistema ingiusto e crudele, per abbatterlo una volta per tutte, per distruggerlo da cima a fondo e sostituirlo con un mondo nuovo e migliore.

Una lezione preziosa

C’è naturalmente un odio bruciante verso Donald Trump, che nella sua persona riassume tutta la crudeltà, la malvagità, l’avidità e l’arroganza della classe dominante nel suo insieme. Eppure, dobbiamo ringraziare il presidente Trump per una cosa. Egli ha fornito alle masse una lezione preziosa.

Ci sono due modi in cui le persone possono essere educate sulla natura dello stato. In primo luogo, possono leggere dei libri e ascoltare delle discussioni marxiste. Ma in questo modo si riesce a raggiungere solo una piccola minoranza della società.

In secondo luogo, possono imparare una lezione dolorosa, ma molto efficace, quando la polizia li colpisce con un manganello, li bersaglia con il gas lacrimogeno e gli spara contro. Lezioni come queste non sono dimenticate facilmente da chi le ha vissute.

Lo scopo di questa violenza spietata è intimorire la gente e farla spaventare. Normalmente questa tattica funziona in modo molto efficace. Ma ci sono dei limiti a tutte le cose. L’uso della violenza è soggetto alla legge dei rendimenti decrescenti (Nel senso che più viene usata meno diventa efficace Ndt).

Divisioni al vertice

L’incontro di Trump con i governatori degli stati dello scorso lunedì sembra aver sortito l’effetto opposto a quello che si prefiggeva. Un funzionario del governo della Virginia ha dichiarato: «La riunione con i governatori ha chiarito che il Presidente era interessato ad un’escalation della situazione e il governatore non riteneva che questo fosse un comportamento responsabile». Ha aggiunto: «Quando è diventato chiaro che le nostre truppe sarebbero state sotto il comando del procuratore generale e non del sindaco Bowser, abbiamo deciso che non era nel nostro interesse partecipare a questa operazione».

C’è un vecchio detto: “fools rush in where angels fear to tread” (letteralmente: gli sciocchi si precipitano dove gli angeli non osano andare, ovvero le persone non si rendono conto dei rischi delle loro azioni, ndt). Il pericolo insito nell’impiegare personale militare nelle città degli Stati Uniti è molto chiaro ai generali. La CNN ha riferito di aver appreso dai funzionari della difesa di «un disagio profondo e crescente tra alcuni al Pentagono anche prima che il presidente Donald Trump annunciasse lunedì di essere pronto a dispiegare i militari per far rispettare l’ordine all’interno degli Stati Uniti».

E proseguiva:

«Ma alcuni ufficiali al Pentagono sono profondamente diffidenti, riferiscono alla CNN diversi funzionari della difesa. Hanno cercato di rispondere affermando con forza che la situazione non richiede ancora il dispiegamento di truppe in servizio attivo, a meno che i governatori degli stati non argomentino chiaramente che tali forze siano necessarie».

«C’è un forte desiderio che le forze dell’ordine locali siano al comando», ha detto un funzionario della difesa, alludendo ai provvedimenti che vietano ai militari di assumersi il compito di far rispettare l’applicazione della legge all’interno degli Stati Uniti. «C’è anche del disagio verso questa missione volta al mantenimento dell’ordine tra alcune truppe della Guardia Nazionale – che ora hanno raggiunto il massimo livello di mobilitazione all’interno degli Stati Uniti rispetto a qualsiasi altro momento storico precedente».

Già domenica, il Maggiore Generale dell’esercito Thomas Carden, Aiutante Generale della Guardia Nazionale della Georgia, ha dichiarato ai giornalisti:

«Credo che noi in America non dovremmo abituarci o accettare che i membri dei corpi dell’esercito di qualsiasi arma debbano essere messi in una posizione per cui debbano garantire la sicurezza delle persone all’interno degli Stati Uniti d’America».

Ha aggiunto che «anche se siamo lieti e onorati di farlo, questo è un segno che siamo in tempi in cui è necessario migliorare come paese».

Carden ha descritto la missione di rafforzare le autorità locali dicendo che: «di tutte le cose che mi è stato chiesto di fare negli ultimi 34 anni nell’esercito, questaera in fondo alla mia lista». Parlando della sua esperienza in Georgia, ha riconosciuto che le circostanze «lo richiedevano», e ha detto che ritiene che la presenza della Guardia Nazionale «abbia avuto un significativo effetto deterrente e tranquillizzante».

Questa è la prima volta dalla Guerra Civile che c’è stata una rottura così aperta tra gli elementi di punta dell’esercito statunitense e la Casa Bianca. Si tratta di uno sviluppo estremamente allarmante dal punto di vista della classe dominante. Lenin ha spiegato che la prima condizione per la rivoluzione è la divisione all’interno della classe dominante: che i circoli del potere devono essere in crisi, e incapaci di governare nel modo abituale.

Questa definizione si adatta esattamente alla situazione attuale negli USA.

Le condizioni per la rivoluzione

C’è una rivoluzione negli Stati Uniti? Chiaramente, questa non è la Russia del novembre 1917. La classe dominante ha ancora notevoli riserve di sostegno, e i mezzi per difendersi.

La crisi della classe dominante è solo la prima condizione per la rivoluzione. Ma Lenin ha spiegato che per portarla a compimento sono necessarie anche altre condizioni. Alcune di queste indubbiamente oggi ci sono negli USA, ma solo in modo incompleto ed embrionale. E non tutte le condizioni necessarie sono ancora presenti, in particolare la più importante.

Quali sono le condizioni per la rivoluzione? Innanzitutto, come abbiamo detto, la classe dominante deve essere divisa e in crisi. Questo è certamente il caso degli Stati Uniti mentre scrivo. In secondo luogo, le masse devono essere mobilitate e disposte a lottare per la rivoluzione. Questa condizione si applica molto chiaramente anche alla situazione attuale dell’America. Decine di migliaia di persone sono scese in strada, sfidando le autorità e la brutale repressione delle forze dell’ordine.

Lo stato capitalista possiede risorse e mezzi di repressione colossali, che ora sta impiegato massicciamente per sconfiggere la mobilitazione. Ma hanno fallito. E l’arma principale che possiedono le masse, oltre alla forza schiacciante dei numeri, è la loro volontà di lottare fino alla morte. Quando le masse smettono di avere paura della polizia e della Guardia Nazionale, questo costituisce un pericolo mortale per l’ordine esistente.

La terza condizione

La terza condizione è che la piccola borghesia deve vacillare tra la classe operaia e la borghesia. Tutto sembra indicare che negli Stati Uniti è in atto un cambiamento di coscienza decisivo e che questo processo è stato enormemente accelerato dai recenti avvenimenti.

L’assassinio di George Floyd ha scosso la coscienza della nazione. Un nuovo sondaggio di Morning Consult, condotto domenica e lunedì, ha rivelato che il 54 per cento degli adulti statunitensi sostiene le proteste. Questo dato riguarda il 69 per cento dei Democratici e il 49 per cento degli indipendenti, che hanno sostenuto le proteste con un margine di oltre 2 a 1.

Ancora più significativa è stata la reazione dei repubblicani, con il 39 per cento di sostegno e il 38 per cento di opposizione. Un risultato straordinario! Indica che si stanno aprendo profonde spaccature nelle file del partito di Trump.

Organizzatevi!

Le condizioni per la rivoluzione in America o già esistono, oppure si stanno rapidamente sviluppando. Ma c’è un problema. Il movimento attuale, con tutto il suo enorme spirito, coraggio e determinazione, ha tutti i punti di forza di un movimento rivoluzionario istintivo e spontaneo, ma anche tutte le sue debolezze.

L’attuale movimento non è stato convocato da nessuna organizzazione o individuo. È puramente spontaneo e non organizzato. Manca di leadership, di direzione, di un programma chiaro, di una strategia o di una tattica coerente. Questa è una debolezza fatale.

Il movimento si scontra con una forza organizzata, disciplinata e unificata. Che combatterà fino alla fine per difendere lo status quo e gli interessi della classe dominante. Di fronte a un nemico così potente, un movimento non organizzato può continuare per qualche tempo. Ma prima o poi si scontrerà con i suoi stessi, reali limiti.

C’è un limite preciso a quanto un movimento può spingersi oltre nel perseguire la stessa tattica. Il solo fatto di scendere in strada e di scontrarsi con le forze dell’ordine, un giorno dopo l’altro, non può mai rappresentare una vera soluzione. Questa soluzione non può che essere la conquista definitiva del potere da parte degli stessi lavoratori. Può essere solo la completa dissoluzione dello stato esistente e la sua sostituzione con il governo diretto del popolo. Ma questo richiede qualcosa di più di manifestazioni e proteste di massa, per quanto coraggiose e potenti possano essere.

Karl Marx ha sottolineato molto tempo fa che la classe operaia senza organizzazione è solo materia prima per lo sfruttamento. La condizione finale per una rivoluzione di successo è la presenza di un partito rivoluzionario in grado di fornire una direzione, una guida, delle prospettive e un programma corretti. L’assenza di tale direzione è proprio il tallone d’Achille dell’attuale insurrezione negli USA.

Quante volte ci si può aspettare che la gente vada in strada a farsi spaccare la testa dai manganelli della polizia, a respirare gas lacrimogeni, a farsi sparare, ad essere arrestata o addirittura uccisa, senza ottenere alcun risultato tangibile? Alla fine, i manifestanti si stancheranno, si scoraggeranno e ricadranno nell’inattività. Le manifestazioni di massa si ridurranno di dimensioni e degenereranno in semplici sommosse, che daranno poi alla classe dominante e ai suoi agenti la possibilità di reprimerle con ancora maggiore violenza. E la reazione resterà ancora una volta al potere.

È un risultato inevitabile? No, non è inevitabile. Ma per evitarlo, bisogna imparare alcune lezioni. Un giovane dimostrante ha gridato: «Siamo in guerra». Questo è assolutamente corretto. Ma la guerra è composta da una serie di battaglie.

L’attuale insurrezione è solo l’inizio di questa guerra. È solo una battaglia, che cercheremo di vincere. È una scuola preparatoria in cui i soldati della futura guerra vengono addestrati e preparati.

Ci saranno molte battaglie di questo tipo in futuro. Il nostro compito è quello di unire tutte le forze della società: tutte le classi oppresse e sfruttate devono riunirsi in un potente esercito.

Che cosa significa?

La crisi attuale non è qualcosa di secondario, un’esplosione di follia che passerà presto senza lasciare traccia nella vita politica e sociale dell’America. Infatti, la crisi ha rivelato in modo evidente le divisioni all’interno della società americana, le evidenti differenze tra ricchi e poveri, bianchi e neri, governo e governati. Secondo le parole del Washington Post:

«I persistenti problemi politici e la disuguaglianza razziale in America sono stati messi a nudo questa settimana, mentre il numero di morti dovuti al coronavirus ha aggiunto una nuova tragica tappa fondamentale e al paese è stato servito l’ennesimo promemoria di come i neri vengano uccisi dalle forze dell’ordine in numero sproporzionatamente elevato. Insieme, gli eventi presentano un triste quadro di una nazione in crisi, martoriata dalla violenza contro i suoi cittadini, afflitta da una malattia mortale che rimane incontenibile e scossa da un colpo devastante alla sua economia».

I commentatori seri hanno cominciato a capire la gravità della situazione e ciò che essa significa veramente per il futuro dell’America. Come argomenta Douglas Brinkley, storico e professore della Rice University, al Washington Post: «I fili della nostra vita civile potrebbero iniziare a disfarsi, perché tutti vivono in una polveriera».

Barbara Ransby, attivista politica e storica della University of Illinois, ha dichiarato:

«La gente si sta attivando per ogni genere di cose, ci sono grandi svolte e rotture nella storia […] Questo è uno di questi momenti, ma non sappiamo come andrà a finire».

Eric Foner, storico della Columbia University, ha detto che il passato è pieno di eventi le cui conseguenze non sono state così travolgenti come potevano sembrare. Egli ha indicato gli esempi più disparati, come le rivoluzioni europee del 1848 – notoriamente considerate il «punto di svolta in cui la storia moderna non è riuscita a cambiare direzione» – e l’uragano Katrina del 2005, che ha messo in luce dei terribili fallimenti, ma non ha causato trasformazioni politiche.

«Sembra che ci sia un’inerzia molto potente che ci spinge a tornare alla normalità», ha detto Foner. «Sono scettico nei confronti di coloro che pensano che questo coronavirus cambierà tutto».

Non c’è modo di tornare indietro

Questi eventi mostrano molto chiaramente una cosa: che qualcosa sta cambiando in America. No, che qualcosa è cambiato in America. Il genio è uscito dalla lampada e non sarà facile ricacciarlo dentro.

Quello che abbiamo visto nell’ultima settimana negli USA è un movimento istintivo e spontaneo delle masse che ha acquisito caratteristiche insurrezionali. Come regola generale le masse non imparano dai libri, ma solo dalla loro esperienza. Durante una rivoluzione, questo processo di apprendimento viene enormemente accelerato. Le masse imparano di più in 24 ore durante eventi tempestosi, come quelli che si verificano oggi negli Stati Uniti, che in dieci o 20 anni di normale esperienza.

Come ha sottolineato quel giovane contestatore, questa è una guerra: una guerra spietata tra forze di classe ostili. Non ci può essere una tregua in questa guerra, e alla fine, il vincitore si prende tutto.

Il movimento di massa in America ha provocato ondate di mobilitazione a livello internazionale. Ci sono state manifestazioni in molte città di altri paesi, tra cui Londra, Manchester, Berlino, Stoccolma, Vienna, Amsterdam e così via. Queste proteste non sono solo contro un omicidio razzista negli Stati Uniti. Riflettono un generale stato d’animo di rabbia e frustrazione contro l’ordine esistente, divenuto ancora più intollerabile nel corso della crisi del coronavirus e del lockdown.

Il nemico che affrontiamo è molto potente. Lo stato borghese è armato fino ai denti. A prima vista, il nostro compito sembra impossibile. Ma c’è un potere nella società che è più grande di quello di qualsiasi stato, esercito, forza di polizia o guardia nazionale. Questo potere è il potere della classe lavoratrice, una volta organizzata e mobilitata per cambiare la società.

Ricordate: non si accende una lampadina, non gira una ruota e non squilla un telefono senza il permesso della classe operaia. Questo è il potere che è nelle nostre mani. Dobbiamo usarlo per rovesciare la dittatura delle grandi imprese e porre fine all’oppressione e alla sofferenza.

A Minneapolis e New York sono stati segnalati casi in cui gli autisti degli autobus si sono rifiutati di guidare quando la polizia ha requisito i loro veicoli per portare via i manifestanti arrestati. Piccoli incidenti, si potrebbe dire. Ma sono fatti molto significativi che indicano la strada per gli sviluppi futuri. O la più grande di tutte le vittorie o la più terribile di tutte le sconfitte. Questa è la scelta che abbiamo davanti a noi.

All’epoca della Rivoluzione francese c’era uno slogan:

«Appaiono così grandi ai nostri occhi solo

Perché ci inginocchiamo davanti a loro.

Alziamoci!»