La principale peculiarità dell’attuale guerra in Ucraina è che si trova completamente eclissata da una guerra mediatica senza precedenti. Di conseguenza, gli animi si sono parecchio surriscaldati, ma è stata fatta ben poca luce sui fatti. In effetti, il suo principale obiettivo non è informare, ma nascondere la situazione reale. E bisogna ammettere che ha avuto un notevole successo.
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Prendiamo i più recenti sviluppi. All’annuncio dei russi che avrebbero ritirato alcune delle loro forze dall’area di Kiev, la gioia dei briganti imperialisti non ha avuto confini.
L’esercito ucraino avanza! I russi stanno subendo gravi perdite e sono in rotta!
Un raggiante Joe Biden informava il mondo intero che “Putin è con le spalle al muro”. La copertina del London Evening Standard del 28 marzo strillava in faccia ai suoi lettori: LA SCONFITTA DI PUTIN “È QUESTIONE DI TEMPO”.
Titoli simili si sono visti su tutta la stampa occidentale.
Ma prima di prepararsi a celebrare la parata della vittoria ucraina a Kiev, sarebbe consigliabile tornare a qualche nozione militare di base. E magari, una buona volta, potrebbero tornarci utili uno o due fatti concreti.
Sconfitta o ritirata tattica?
Il chiasso prodotto dal fuoco di sbarramento della propaganda occidentale ha lo scopo di nascondere il fatto che i russi non stanno affatto fuggendo davanti all’avanzata delle forze ucraine.
Avevano già annunciato che avrebbero ritirato alcune delle loro truppe dal nord – dove non c’era più bisogno di loro – per riorganizzarsi e unire le forze con l’esercito russo nel sud e nell’est, in preparazione di un’offensiva contro la parte più valida e temprata dell’esercito ucraino, che si trova nella regione del Donbass. È chiaro che adesso l’obiettivo russo si è spostato in quella zona.
Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato che il ritiro delle truppe dall’area intorno a Kiev è stato un gesto conciliatorio per facilitare i colloqui di pace. Anche questa affermazione è ben lontana dalla realtà.
Sergei Markov, uomo un tempo molto vicino a Putin, ha dimostrato una franchezza disarmante nello smentire la dichiarazione di Lavrov. Parlando a BBC Radio Four News ha infatti svelato l’ovvio: “La decisione di ridurre le attività militari a Kiev e Chernigov vuole permettere alle forze russe si concentrarsi sul Donbass”.
Putin ha fatto male i suoi calcoli?
Per chiarirci le idee sul reale rapporto di forze sul campo di battaglia, è necessario tornare alla situazione esistente all’inizio dall’invasione, e determinare l’effetto che essa ha avuto sui calcoli originali di Putin.
La cosa più probabile è che Putin inizialmente puntasse tutto su una rapida resa dell’Ucraina davanti all’avanzata dell’esercito russo.
In realtà, se Zelensky fosse stato disposto a non entrare nella Nato e a negoziare un accordo di sicurezza con la Russia, forse l’invasione non avrebbe mai avuto luogo. In un primo momento alcuni segnali lasciavano pensare che Zelensky avrebbe ceduto, perché in effetti sembrava in preda al panico. Solo che, sotto la pressione degli ultranazionalisti e dei fascisti, e soprattutto di Washington, si è rifiutato di negoziare. Ciò ha reso l’invasione inevitabile.
Ci può essere un barlume di verità nelle dichiarazioni occidentali secondo cui l’esercito russo ha avuto delle difficoltà iniziali. Le forze russe potrebbero anche essere alle prese con problemi logistici. Rifornirsi di cibo, carburante e munizioni in un paese di grandi dimensioni ha posto gravi difficoltà.
Errori e incompetenze – sempre presenti in ogni guerra – avranno anche fatto la loro parte. Ma gli eserciti imparano velocemente e gli errori possono essere corretti con notevole rapidità.
Un errore ben più grande è stata la sottovalutazione, da parte dei russi, della capacità di resistenza del nemico.
Prima del colpo di Stato di Maidan, l’esercito ucraino era debole e fatiscente, che nessuno avrebbe preso sul serio, ma da allora è stato riorganizzato grazie al supporto e all’addestramento della Nato. Per di più, ha accumulato un’esperienza di combattimento preziosa durante gli otto anni di guerra civile nel Donbass. È chiaro che Putin e i suoi generali, all’inizio del conflitto, non avevano preso del tutto in considerazione questo fatto.
Ma c’è stato anche un altro fattore, più difficile da quantificare, ma di grande importanza in ogni gerra. Napoleone ebbe a dire che, in guerra, il morale batte il fisico tre a uno. Gli ucraini si sono visti come combattenti di una guerra difensiva per “salvare la patria”. E la difesa è sempre un’opzione più sostenibile rispetto all’offensiva.
Zelensky, contro il consiglio dell’Occidente, non ha abbandonato il paese, ma è rimasto a Kiev, da dove ha fatto appello alla difesa nazionale, galvanizzando la resistenza del suo esercito e di parte della popolazione ucraina.
Inoltre, dal momento che la Russia ufficialmente non ha dichiarato guerra (la definisce tuttora una “operazione speciale”), Putin non può predisporre una mobilitazione generale dei coscritti e delle altre riserve. Ciò significa che, nonostante l’enorme popolazione della Russia, il numero dei soldati che possono essere effettivamente schierati sul campo al momento è limitato, anche se ciò può cambiare.
Cosa comporta tutto ciò? La Russia ha schierato circa 200 000 soldati; se consideriamo anche le forze delle repubbliche del Donbass, la sua forza da combattimento si avvicina a 300 000 unità.
L’esercito ucraino, con le sue milizie locali, si stima si aggiri intorno a 400 000 combattenti. Il numero deve essere aumentato in seguito alla mobilitazione di tutti i maschi abili, anche se resta da vedere quanto questi soldati inesperti e male addestrati potranno essere utili sul campo di battaglia.
Sulla carta, testa a testa, gli eserciti sembrerebbero relativamente bilanciati. Ma simili confronti ingannano. Alla lunga, le forze russe detengono un evidente vantaggio grazie al loro arsenale bellico ben più vasto e più avanzato, per non parlare delle superiorità del loro stato maggiore, che ha dato prova di grande abilità e flessibilità tattica nell’adattarsi alle evoluzioni del campo di battaglia.
La Russia cambia tattica
L’obiettivo iniziale era prendere il controllo della capitale, Kiev. Le forze russe avevano preso posizione nei dintorni della capitale ed erano persino riuscite a penetrare nelle periferie con quelli che avevano tutta l’aria di essere attacchi ricognitivi propedeutici a un assalto vero e proprio. Che però non è mai avvenuto.
Dopo avere messo alla prova la resistenza delle forze nemiche in una prima offensiva su Kiev, i russi hanno deciso che un attacco diretto sulla capitale, con combattimenti strada per strada in zone densamente abitate da civili, sarebbe stato troppo costoso in termini di vite umane.
La storia trita e ritrita per cui i russi distruggono tutto ciò che gli capita a tiro e prendono deliberatamente di mira le zone residenziali, senza alcun riguardo per le vittime civili, è una menzogna, cardine di una vasta campagna di propaganda lanciata dagli ucraini con l’aiuto dell’intelligence statunitense. Torneremo su questa menzogna più avanti.
Per ora, basti dire che i russi hanno deciso che un attacco diretto contro Kiev e altre grandi città non era fattibile.
Una volta chiarito che era da escludere la conquista della capitale con un rapido colpo da KO, i russi hanno cambiato tattica. Da quel momento in poi, il movimento verso Kiev ha assunto una natura completamente diversa. Quello che inizialmente doveva essere un attacco contro la capitale è stato trasformato in una manovra che il vocabolario militare definisce come finta.
Non ci vuole molto a spiegare come funzionano simili manovre: si tratta di mostrare una forza militare pronta ad attaccare un determinato luogo, se non addirittura cominciare tale attacco, allo scopo di ingannare il nemico e portarlo a schierare le sue risorse per contrastare la presunta minaccia. È l’equivalente di un pugile che prima sferra un colpo contro la testa del suo avversario con la destra, poi, prendendolo alla sprovvista, lo mette K.O. con un montante sinistro alla mascella.
I russi ci sono riusciti benissimo. Attaccando più fronti contemporaneamente, hanno indebolito la propria forza d’assalto. A prima vista sembrerebbe illogico, ma il vantaggio è stato costringere gli ucraini a disperdere le forze in più direzioni, soprattutto per la difesa della capitale, Kiev.
Tuttavia, Kiev non era più il principale obiettivo russo, che si era spostato sul Donbass e sulla striscia costiera che connette l’Ucraina al mar Nero, un ponte di terra fra la Crimea e la Russia.
Per spiegare il cambio di tattica da parte della Russia è necessario andare a rispolverare alcune delle regole più basilari della guerra, sulle quali i cosiddetti esperti occidentali stanno dimostrando una totale ignoranza.
Von Clausewitz sulla guerra
Sin dall’inizio del conflitto, la gigantesca macchina di propaganda messa in moto dagli ucraini con l’aiuto dell’intelligence Usa ripete con monotona regolarità la stessa, noiosa litania:
“L’avanzata russa è in stallo. Finora non sono stati capaci di conquistare o tenere nessuna grande città dell’Ucraina.”
Non è mai passato per la testa di questi signori che i russi non avevano alcuna intenzione di far ciò?
A questo punto, chiamiamo alla sbarra un testimone chiave: nientepopodimeno che Carl von Clausewitz, forse il più grande stratega militare di tutti i tempi.
Discepolo di Hegel, il vecchio Von Clausewitz capiva molto bene la dialettica della guerra. Egli postulò che gli eserciti, e non le città, fossero il centro di gravità di una nazione, e descrisse gli obiettivi della guerra con mirabile sintesi nel primo volume del suo capolavoro Sulla guerra. Ecco cosa aveva da dire a proposito dell’occupazione di territori e città:
“Lo scopo della guerra deve essere la sconfitta del nemico. Ma cosa costituisce una sconfitta? Non sempre è necessaria la conquista di tutto il suo territorio, e l’occupazione del suo territorio potrebbe non essere abbastanza.” (Della guerra, vol. 1, corsivo mio, AW)
Von Clausewitz spiega che lo scopo della guerra non è la conquista di territori e città, bensì la distruzione delle forze nemiche. Ecco cosa ha scritto:
“Il combattimento è il principale atto militare… Ingaggio significa combattimento. L’obiettivo del combattimento è la distruzione o la sconfitta del nemico.
“Cosa intendiamo per sconfitta del nemico? Semplicemente la distruzione delle sue forze, per morte, ferita, o qualsiasi altro mezzo – in forma completa, o in misura sufficiente affinché esso smetta di combattere… La distruzione totale o parziale del nemico deve essere considerata l’unico obiettivo di tutti gli ingaggi… Il diretto annientamento delle forze del nemico deve sempre costituire la considerazione dominante.”
È esattamente quanto sta facendo l’esercito russo. Questo elementare principio della guerra è ben compreso almeno dagli strateghi più intelligenti. Ai loro occhi è evidente che la realtà della situazione sul campo in Ucraina è tutt’altra rispetto ai titoli roboanti dei giornali.
La seguente analisi di Sam Cranny-Evans e del dr. Sidharth Kaushal del Royal United Services Institute (Rusi) – un think tank sulla difesa e la sicurezza – esprime la situazione reale con encomiabile chiarezza. Vale la pena citare nel dettaglio ciò che hanno da dire:
“La guerra in Ucraina è stata dominata da una campagna mediatica efficace e su vasta scala diretta dallo Stato ucraino. La narrazione ucraina domina tanto i notiziari quanto i social media, che oggi sono di uguale importanza per la formazione dell’opinione pubblica. Questa narrazione è costellata di convogli russi spezzati, contadini che trainano sistemi di difesa antiaerea russi fuori dai loro nascondigli, e sconvolgenti filmati di formazioni corazzate russe in fumo. Eppure, un’analisi delle tre mappe che raffigurano lo scenario delle operazioni, fra cui quella rilasciata dal Ministero della Difesa britannico e le due curate da investigatori open-source – l’account Twitter ‘Jomini of the West’ e lo Ukraine Conflict Monitor di Konrad Muzyka – mostra con chiarezza che le forze russe stanno facendo progressi.
“Ciononostante, concentrarsi esclusivamente sulle città – per quanto comprensibile – potrebbe finire per occultare più che rivelare. Anche se parrebbe chiaro che inizialmente il piano russo si basava su un rapido coup de main contro Kiev mentre il grosso dell’esercito ucraino era rivolto nella direzione opposta, a est, verso Donetsk e Lugansk, è improbabile che le cose resteranno tali e quali. Anche secondo le probabilità più rosee (da una prospettiva russa) è improbabile che Kiev verrà presa nel breve periodo. È però il caso di tenere in considerazione che esiste un secondo centro di gravità in Ucraina – al quale Vladimir Putin ha alluso nella sua promessa di ‘demilitarizzare’ l’Ucraina –, cioè l’esercito regolare ucraino, gran parte del quale resta nelle vicinanze di Donetsk e Luhansk sotto l’egida dell’Operazione militare congiunta (JFO).” (Corsivo mio, AW)
Il punto è esattamente questo.
“La posizione di questa formazione si fa sempre più precaria man mano che le forze russe avanzano per accerchiarla su tre assi . Le forze russe della 58a Armata di Forze combinate e della 22a Armata, spingendo verso nord dalla Crimea, hanno avviato attacchi contro Beryslav lungo il Dnepr, e sembrano pronte a congiungersi a Polohy con le forze separatiste russe e l’8a Armata di Forze combinate in arrivo dal Donbas. Elementi della 1a Armata carri della Guardia e della 6a Armata di Forze combinate stanno superando Karkhiv e pare abbiano largamente evitato di cercare di conquistare la città, concentrandosi invece sul suo indebolimento per mano dell’artiglieria e sul suo aggiramento per avanzare verso sud ed ovest oltre Poltava, tagliando al JFO la sua via di fuga verso nord. Infine, nel sudovest, forze russe della 20a Divisione motorizzata della Guardia sembrano ugualmente intenzionate ad aggirare Mykolaiv, ma soprattutto potrebbero non avanzare su Odessa, e paiono invece voler avanzare verso nord, il che lascerebbe trapelare il desiderio di conquistare le sponde occidentali dei punti di attraversamento più importanti del Dnepr.” (RUSI Report, Not Out of the Woods Yet: Assessing the Operational Situation in Ukraine, 14 marzo 2022)
Ora l’obiettivo principale della Russia consiste nel decimare un settore fondamentale dell’esercito ucraino: le sue truppe nel Donbas, che si aggirano tra i 60 000 e 100 000 soldati. La Russia ha condotto un vasto attacco contro tutta la regione con lo scopo di tenere queste forze pienamente impegnate e incapaci di manovrare liberamente per rispondere alle altre operazioni russe. Allo stesso tempo, un’operazione di appoggio partita dalla Crimea ha conquistato Kherson e lanciato un’altra finta verso Odessa.
Una volta bloccate le forze ucraine nella regione, i russi hanno potuto concentrarsi sull’accerchiamento e la stretta di Mariupol, che ormai è quasi caduta. Ciò ha aperto un ponte di terra di grande importanza strategica fra la Russia e la Crimea, che pone inoltre l’intero mar d’Azov sotto controllo russo.
Nel frattempo la Russia ha anche lanciato una campagna di attacchi missilistici di precisione contro le strutture ucraine (depositi di petrolio e simili) con lo scopo di disarticolare le operazioni logistiche, di comando e di controllo del nemico, nonché la sua forza aerea e il suo supporto di fuoco a lungo raggio. Di conseguenza l’Ucraina starebbe esaurendo carburante e munizioni, e in questo momento non riesce a coordinare manovre su vasta scala o sfruttare la sua aviazione in modo significativo.
Con la caduta di Mariupol la finta al nord non è più considerata necessaria. Questo è il motivo dietro il ritiro ordinato russo dal nord. Le migliaia di soldati ora liberati da quell’impegno potranno concentrarsi nella regione del Donbass.
Muovendo verso sud da Izyum, nei pressi di Karhiv, e a nord dalla regione di Zaporizhzhya, l’obiettivo è accerchiare e distruggere le forze ucraine nel Donbass, che raccolgono decine di migliaia dei combattenti più determinati e temprati del paese – buona parte dei quali sono reclutati fra fanatici nazionalisti ed elementi neonazisti o sotto il loro comando.
La verità è dunque che l’esercito russo non si sta affatto ritirando. Al contrario sta ancora avanzato, lentamente, deliberatamente, metodicamente, verso il vero obiettivo, che non è più Kiev, ma la striscia costiera nel sudest e la regione del Donbas nel suo complesso.
Insistere sulla presunta capacità della Russia di conquistare le grandi città come misura del suo successo è stato un grossolano errore. La Russia è riuscita a bloccare le forze ucraine in città come Karkhiv per poi limitarsi a oltrepassarle. Nel frattempo ammassava le sue forze per un attacco decisivo a est.
Come mentono i media
Il 10 marzo il Fortune Magazine ha pubblicato un articolo di Marcus Ryder, nel quale già si esprimevano seri dubbi sulla veridicità della propaganda ufficiale:
“In una guerra in cui la vasta maggioranza dei governi occidentali ha appoggiato l’Ucraina contro le azioni della Russia, pare che numerosi giornalisti occidentali abbiano quasi del tutto abbandonato i loro princìpi giornalistici di doverosa imparzialità e obiettività nel racconto della guerra.
“I giornalisti, come i medici, non devono schierarsi. È nostro dovere riferire i fatti senza timore o simpatia, il più oggettivamente possibile.
“Se una delle parti in guerra è indiscutibilmente ‘l’aggressore’ e ‘nel torto’, ciò deve emergere con chiarezza dal modo in cui riferiamo i fatti e restare al giudizio dei nostri lettori. Se il giornalista emette un verdetto al posto del lettore, rompe il contratto di fiducia siglato dal lettore con l’organo di stampa, contratto secondo il quale i giornalisti non selezionano i fatti da riferire sulla base di quelli che tornano comodi alla parte che favoriscono.
“Da lettore, devo essere messo in condizione di poter avere fiducia che i giornalisti mi raccontino le violazioni dei diritti umani a prescindere se a commetterli sono forze russe o ucraine. Ciò non fa di me un “simpatizzante di Putin”. Un giornalismo obiettivo e imparziale che riporta i fatti mi può convincere che Putin sia nel torto. Servizi soggettivi e pregiudiziali mi portano a dubitare se sto avendo una descrizione equa e accurata di quanto sta veramente accadendo. Mi rende più riluttante a condannare Putin perché non sono sicuro se mi stanno dicendo tutto.”
Ma a nessun occidentale è mai stato detto tutto. Contrariamente alle stupidaggini della propaganda, i russi, ben lungi dal distruggere tutto ciò che gli capita a tiro, hanno dato prova di moderazione per ridurre le vittime civili – donde i numeri incredibilmente bassi di morti civili accertate.
A puntualizzarlo è stato un articolo molto interessante pubblicato il 22 marzo da Newsweek intitolato “I bombardieri di Putin potrebbero devastare l’Ucraina ma si stanno trattenendo: ecco perché”.
L’articolo si apre con la dichiarazione per cui “Nonostante quanto la guerra ucraina si stia dimostrando devastante, la Russia sta causando meno danni e uccidendo meno civili di quanto potrebbe, secondo esperti dell’intelligence statunitense”.
E continua citando le parole di alti ufficiali Usa, i quali hanno dovuto rimanere anonimi, perché avevano ricevuto un briefing dal Pentagono e gli era stato ordinato di non parlare con la stampa. Uno di questi, ufficiale della US Air Force, afferma:
“Trovo frustrante la narrazione per cui la Russia sta intenzionalmente bersagliando i civili, distruggendo le città, e che a Putin non freghi nulla. Questa visione distorta ostacola la ricerca di una soluzione prima che si verifichi un vero disastro o che la guerra si propaghi nel resto dell’Europa.”
Un’altra fonte, analista presso la Defence Intelligence Agency (DIA), dice:
“So che i notiziari continuano a ripetere che Putin sta colpendo i civili, ma non c’è alcuna prova che la Russia lo stia facendo intenzionalmente… Anzi, io direi che la Russia potrebbe uccidere migliaia di civili in più se solo volesse.”
“A parere dell’analista”, ci dice Newsweek, “nonostante la guerra abbia portato a devastazioni senza precedenti nel sud e nell’est, l’esercito russo in verità ha dato prova di moderazione nei suoi attacchi a lungo raggio”.
Questi commenti particolarmente illuminanti vengono poi elaborati nel corso dell’articolo, dal quale citerò ora ampi estratti:
“Lo scorso weekend, dopo 24 giorni di conflitto, la Russia ha effettuato circa 1400 sortite aeree e lanciato quasi 1000 missili (in contrasto, gli Stati Uniti effettuarono più sortite e sganciarono più armi nel primo giorno soltanto della guerra all’Iraq del 2003). La vasta maggioranza degli attacchi aerei avviene sul campo di battaglia, dove l’aviazione russa fornisce ‘stretto supporto aereo’ alle forze di terra. Il rimanente – meno del 20%, secondo gli esperti statunitensi – era mirato ad aeroporti militari, caserme e depositi logistici.
[…]
“‘So che è difficile accettare il fatto che il massacro e la distruzione potrebbero essere ben peggiori di quanto già sono’, dice l’analista della DIA. ‘Ma questo dicono i fatti. Ciò se non altro mi suggerisce che Putin non stia attaccando i civili intenzionalmente, ma che forse sappia che deve limitare i danni per tenere aperto uno spiraglio ai negoziati.’
[…]
“La Russia non ha bombardato le postazioni di contraerea a protezione delle città. Gli analisti Usa dicono che i generali di Putin erano particolarmente riluttanti ad colpire bersagli urbani a Kiev.
“Di conseguenza, qualunque fossero i piani del Cremlino – se la Russia cercava veramente la supremazia aerea o se stava cercando di limitare i danni a Kiev –, è fuor di dubbio che Putin abbia dovuto rivedere il suo piano d’attacco a lungo termine.
“L’analista della DIA non è d’accordo: ‘Qualunque sia la ragione, chiaramente i russi sono stati riluttanti a lanciare attacchi dentro la megalopoli urbana di Kiev’.
“‘Hanno lanciato dei segnali’, aggiunge l’ufficiale in pensione. ‘Gli aeroporti delle regioni occidentali [a Lutsk, Leopoli e Ivano-Frankovks] sono stati colpiti perché erano i più probabili trampolini di lancio per i mezzi aerei donati all’Ucraina che sarebbero entrati dalla Polonia e da altri paesi est-europei’.
“‘Mentre venivano individuati quegli obiettivi’, continua, si parlava anche di una no-fly zone occidentale per la quale quegli aeroporti sarebbero probabilmente stati fondamentali.
“‘E il campo d’addestramento per i cosiddetti peacekeeper [a Yaroviv] è stato colpito perché era lì che sarebbe stata addestrata la ‘legione internazionale’, aggiunge l’ufficiale. ‘Mosca l’aveva pure annunciato.’
[…]
“‘Si fa un gran parlare di Grozny [in Cecenia] e Aleppo [in Siria] e delle città ucraine rase al suolo’, dice a Newsweek un secondo alto ufficiale in pensione della US Air Force. ‘Ma anche nel caso delle città meridionali, dove i centri abitati sono a portata dell’artiglieria e dei missili, gli attacchi sembrano mirati alle unità militari ucraine, molte delle quali operano necessariamente all’interno dei centri urbani’.”
Come gli ucraini fanno diventare i civili degli obiettivi
C’è abbondanza di prove che l’esercito ucraino piazzi regolarmente la sua artiglieria nelle aree residenziali in prossimità di scuole e ospedali con l’idea di attirare il fuoco russo. Ad attestarlo c’è l’articolo del Washington Post firmato da Sudarsan Raghavan il 28 marzo, dove leggiamo questa interessante ammissione:
“Secondo attivisti per i diritti umani ed esperti internazionali di diritto umanitario, la strategia dell’Ucraina di collocare attrezzature militari pesanti e altre fortificazioni nelle zone civili potrebbe indebolire gli sforzi occidentali ed ucraini di rendere la Russia legalmente colpevole di possibili crimini di guerra. La settimana scorsa l’amministrazione Biden ha ufficialmente dichiarato che Mosca ha commesso crimini contro l’umanità.
“‘Se lì ci sono attrezzature militari e [i russi] dicono che li stanno attaccando, ciò delegittima la tesi per cui stanno attaccando intenzionalmente obiettivi civili e i civili stessi’: così Richard Weir, ricercatore della divisione crisi e conflitti di Human Rights Watch, che sta lavorando in Ucraina.
“Weir ha sostenuto che l’esercito ucraino ‘ha una responsabilità dettata dalla legge internazionale” di rimuovere le sue forze e materiali dalle aree popolate da civili, e, se ciò non fosse possibile, di trasferire i civili fuori da quelle zone.
“‘Se non lo faranno violeranno le leggi di guerra’, ha aggiunto. ‘Il motivo è che stanno mettendo a rischio i civili, perché ogni materiale militare costituisce un obiettivo legittimo.’
[…]
“‘Quando un attacco contro obiettivi militari rischia di causare vittime civili’, spiega Schabas, professore di diritto internazionale, ‘il danno ai civili deve essere bilanciato rispetto al vantaggio militare. Se quest’ultimo viene a mancare, la violenza non è giustificata ed è ragionevole parlare di crimini di guerra’.
“Ma il confine con il crimine di guerra diventa ancora più sfumato se i quartieri residenziali vengono militarizzati e diventano zone di combattimento con inevitabili perdite civili.”
È il caso di Kiev stessa, le cui zone residenziali sono frequentemente colpite da missili russi, non perché erano il bersaglio originale, ma perché tali missili sono stati abbattuti dai razzi ucraini schiantandosi su zone popolate. L’articolo spiega:
“Esperti di sicurezza di media occidentali hanno fatto notare che la contraerea ucraina si trova talmente dentro la città che quando colpisce razzi, missili e droni russi i detriti sono talvolta caduti su complessi residenziali.
“I soldati e i volontari ucraini dissuadono i giornalisti dal fare foto o video dei checkpoint, degli equipaggiamenti militari, delle fortificazioni e delle basi estemporanee all’interno della città per non rivelare ai russi le loro ubicazioni. Un blogger ucraino ha caricato su TikTok un post dove si vedevano un carro armato e altri veicoli militari ucraini stazionati nei pressi di un centro commerciale. Centro distrutto il 20 marzo da un attacco russo che ha lasciato otto vittime.
“Non ci sono prove che il post su TikTok abbia portato all’attacco. Su Facebook un sostenitore dell’esercito ucraino ha detto di dare la caccia al tiktoker per avere rilevato le postazioni militari ucraine ‘solo per avere dei like’. ‘Fornisco premio di $500 per ogni informazione riguardo questo utente TikTok: identità, indirizzo, contatti’. Il Servizio di sicurezza dell’Ucraina ha poi annunciato l’arresto del blogger.”
Le atrocità russe: realtà o messinscena?
La raffica di falsità propagandistiche è riuscita a ingannare il pubblico, specie nel Regno Unito. Ma finalmente il muro sta cominciando a mostrare delle crepe.
In una recente trasmissione di Channel Four News, il corrispondente senior Alex Thomson (da Poltava) ha espresso per la prima volta i suoi dubbi sul modo in cui l’esercito ucraino censura le notizie:
“Quando si va a fare informazione su una guerra bisogna sempre sottoscrivere le regole di censura militare: non puoi quindi rivelare le posizioni e i numeri dei dispiegamenti di forze e così via, perché ciò potrebbe causare delle morti. E nessuno ha niente da ridire.
“Le cose si sono fatte un po’ più interessanti qui in Ucraina. A Kiev, nei pressi del centro città, due giorni fa, è stato colpito un importante edificio strategico. Ecco, è meglio che non aggiunga altro. Ma per due giorni i media del mondo intero, oltre a quelli ucraini, non hanno potuto dire praticamente nulla in merito, né mostrare dei filmati dettagliati su quanto era accaduto.
“Non ho mai visto un livello di controllo così forte in nessuna delle guerre che ho mai seguito, e nemmeno così efficace. Questo giusto per ricordare che ovviamente, non si discute, i russi hanno un regime di censura molto forte e ingombrante che si propaga da Mosca. E lo sappiamo tutti, ne abbiamo vista parecchia in azione. Ma anche qui c’è della censura e anche noi operiamo sotto quelle restrizioni. È bene ricordarlo.”
È in questo contesto che dobbiamo valutare le ultime notizie sulle presunte atrocità russe a Bucha, uno dei villaggi dai quali l’esercito russo si è recentemente ritirato. L’esercito ucraino ha annunciato il ritrovamento delle prove di crimini di guerra russi: cadaveri di civili abbandonati per strada con le mani legate dietro la schiena, alcuni con segni di tortura, e così via.
Ma a nessuno è stato permesso di verificare queste notizie. Il governo di Kiev ha immediatamente vietato a tutti i giornalisti di visitare la zona per 24-48 ore. Il pretesto ufficiale per tenere fuori tutti gli osservatori esterni è stato la possibile presenza di trappole esplosive nella zona.
Ma Thomson ha precisato che non c’era la minima prova. La sua supposizione è che vi fosse un “potenziale di indagini per crimini di guerra” e che la “scena del crimine” dovesse essere preservata a tale scopo.
È naturale che ogni accusa seria di crimini di guerra debba essere investigata da soggetti qualificati la cui onestà e imparzialità non possano essere messe in discussione. Ma l’esercito ucraino corrisponde forse a questa descrizione? Thomson si è espresso in modo molto attento e misurato nei suoi commenti – tutti, come ci ha ricordato lui stesso, fatti sotto stretta censura militare:
“Dobbiamo essere molto attenti a non saltare a conclusioni – se avete visto le nostre foto stanotte – riguardo come queste persone sono finite dov’erano, nello stato in cui si trovavano, con quegli uomini con le braccia legate dietro la schiena.”
Sì, è verissimo. Ma fermi tutti! La scena del delitto, per definizione, deve essere lasciata completamente intatta, per evitare che possa essere manomessa o alterata in qualsiasi modo. Escludendo deliberatamente i giornalisti e ogni altro osservatore esterno, gli ucraini hanno avuto 48 ore per fare quello che pareva loro.
È un tempo più che sufficiente per interferire con la scena del delitto, sistemare prove incriminanti e, in generale, presentare una visione distorta al mondo. Fatto questo, gli ucraini si sono sentiti liberi di accompagnare sul posto un gruppo di giornalisti ben selezionati e metterli davanti a tutte le varie “prove” che avevano deciso di allestire per i loro occhi.
Ma dalla parte ucraina sarebbero capaci di un simile inganno? La domanda stessa è carica di ingenuità. È cristallino che sin dall’inizio gli ucraini sono stati impegnati in una campagna di disinformazione elaborata, sofisticata e altamente efficace, ripresa e magnificata da tutti i media del mondo occidentale. Visto il ruolo chiave giocato dai media in questa guerra, perché dovrebbero astenersi dal ricorrere a simili metodi?
La prima domanda che deve essere fatta per identificare l’autore di un crimine è: cui bono? A chi giova?
Commettere una strage per poi lasciare le vittime in giro per le strade affinché il nemico le trovi non sembra la tattica ideale per i russi, che non ne trarrebbero il benché minimo beneficio.
Ma per gli ucraini, i quali, nonostante tutta l’insensata retorica, si trovano ora in una posizione sempre più disperata, il beneficio di una simile propaganda è incommensurabile, perché darebbe ulteriore peso alle richieste di aiuti militari ripetute ancora una volta da Zelensky davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Oh, sì! Varrebbe l’invio di un intero carico di razzi anticarro per un uomo con le spalle al muro.
In assenza di prove certe da fonti assolutamente imparziali e affidabili, noi dobbiamo sospendere il giudizio riguardo la validità di queste accuse. Sarà il tempo a dire chi stava mentendo e chi stava dicendo la verità.
Ma ci rifiutiamo categoricamente di sottoporci al rullo compressore della macchina della propaganda, che non fa che manipolare i fatti nell’interesse della cricca al governo dell’Ucraina e i suoi sponsor imperialisti, le cui mani sono indelebilmente macchiate del sangue di innumerevoli innocenti.
Un crimine di guerra ucraino
È arcinoto che in tutte le guerre da entrambe le parti vengono commessi atti atroci. Non c’è ragione di supporre che la guerra in Ucraina faccia eccezione. Quel che è strano, però, è che nessuno parla mai delle atrocità e dei crimini di guerra commessi dagli ucraini.
Fino ad oggi.
Ieri il velo di segretezza e censura è finalmente caduto. Abbiamo avuto notizia di un incidente verificatosi in una località a nord della cittadina di Dmytrivka, a poco più di otto chilometri da Bucha. È stato documentato e ha avuto larga diffusione sui social media.
In questo video si vedono quattro corpi a terra in un bagno di sangue – tutti con l’uniforme militare russa. Le mani di almeno uno di questi corpi sembravano legate dietro la schiena.
Dei quattro soldati a terra nel video, uno si muove ancora, mentre si sentono dei fischi. Uno dei soldati intorno ai corpi dice: “Guardate, è ancora vivo”. Poi un soldato gli spara alla testa due volte. Il corpo continua a muoversi e quindi il soldato gli spara di nuovo. A quel punto si ferma.
Il video è stato inizialmente condiviso sulla piattaforma social Telegram. Il New York Times ha comunicato di avere verificato il video, e la BBC ha detto di aver confermato la località e trovato immagini satellitari che mostrano i corpi a terra.
Secondo il giornalista della BBC, i soldati ucraini sono rimasti sulla macabra scena ridendo e ironizzando sulla loro impresa. Uno di loro si sente gridare: “Gloria all’Ucraina”. Un altro risponde: “Gloria agli eroi”.
Ora, non ci vuole una grande dose di eroismo per uccidere un ferito a terra con le mani legate dietro la schiena. Non è stato un atto di guerra commesso nel fervore della battaglia, ma un omicidio a sangue freddo. Il fatto che le vittime fossero in uniforme non cambia nulla, in quanto un prigioniero di guerra disarmato non è più un combattente attivo, per legge è assimilabile a un civile.
Il video ha causato un certo imbarazzo, ma è stato fatto velocemente cadere nel dimenticatoio con le solite assicurazioni che ci saranno delle “indagini”. Possiamo prevedere con certezza che non se ne saprà più nulla e che i censori militari ucraini stringeranno ancor più la presa per evitare che ulteriori prove dei crimini ucraini possano apparire sui social media.
Possiamo fare due ulteriori previsioni con assoluta fiducia:
1) ci saranno molte altre notizie di presunti crimini di guerra russi nell’immediato futuro;
2) maggiore sarà il baccano fatto su queste storie, maggiore sarà la certezza che gli ucraini stanno perdendo terreno.
Joe Biden mostra gli artigli
Armiamoci di santa pazienza e ascoltiamo le perle di saggezza giunte dalla bocca di un anziano signore che presiede il paese più potente del pianeta. Eccolo qui che parla dei crimini di guerra russi:
“Ho un ultimo commento da fare prima di cominciare la mia giornata. Forse ricorderete che sono stato criticato per aver chiamato Putin un criminale di guerra. Be’, la verità l’avete vista a Bucha. Ciò ci legittima a chiamarlo criminale di guerra.”
Oh, finalmente si parla chiaro!
Ma fermi un attimo! C’è dell’altro:
“Ma dobbiamo raccogliere informazioni, dobbiamo continuare a fornire all’Ucraina le armi di cui hanno bisogno per continuare a combattere, e dobbiamo trovare tutti i dettagli così che questo possa essere un vero… per avere un processo per crimini di guerra.”
Un momento solo, prego: prima dici che Putin è un criminale di guerra. Poi che “dobbiamo raccogliere informazioni”.
Ma non è forse necessario raccogliere le informazioni necessarie prima di stabilire se qualcuno è colpevole o no?
Il nostro zio Joe si è caricato sulle spalle (un po’ cadenti) il ruolo di giudice, giuria ed esecutore. Ci ricorda un giudice dei vecchi film di cowboy: “Ti faremo un processo giusto, e poi ti impiccheremo”.
Mosca commenta i commenti di Biden
Il Cremlino non ha misurato le parole nella sua risposta allo zio Joe. Il portavoce Dimitri Peskov ha detto ai giornalisti che “Rifiutiamo categoricamente tutte le illazioni”.
Peskov ha precisato che gli “esperti al Ministero della Difesa [russo] hanno identificato segnali di fake video e falsi di altro tipo”.
Secondo l’AFP, ha anche detto che “Sarebbe auspicabile che i leader internazionali non si affrettassero a lanciare accuse generiche e almeno ascoltassero le nostre argomentazioni”.
Gli investigatori russi hanno inoltre annunciato un’indagine sulle immagini da Bucha, sostenendo che per l’esercito di Mosca “non corrispondono alla realtà e sono di natura provocatoria”.
E Peskov ha chiesto quale diritto hanno gli Usa di accusare chicchessia di crimini di guerra quando l’imperialismo statunitense stesso è stato responsabile della morte di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. È una buona domanda. Mi chiedo se Washington sia in grado di fornire una risposta altrettanto buona.
Un vero caso di genocidio
Nelle ultime settimane la parola “genocidio” è stata sbandierata più e più volte. Zelensky ha una passione particolare per questa parola nel descrivere le azioni russe in Ucraina, anche se Joe Biden non sembra condividere il suo entusiasmo. Ma cos’è un genocidio esattamente?
La definizione più in uso è lo sterminio deliberato di vasti numeri di persone di una particolare nazione o gruppo etnico, con l’obiettivo di distruggere quella nazione o gruppo, come il massacro di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti, o lo sterminio di massa dei tutsi da parte degli hutu in Rwanda. Ma che rapporto c’è con le morti in Ucraina?
In tutte le guerre muoiono i civili, spesso in gran numero. Ma non tutte le guerre vengono chiamate guerre di sterminio. Di che stime parliamo in Ucraina? Il 3 aprile l’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu registrava un totale di 3 455 vittime civili nel paese; 1 417 morti e 2 038 feriti.
Certo, anche una sola morte civile rappresenta una tragedia. Ma rispetto a quasi qualsiasi altra guerra che possa venirci in mente, questi numeri sono minuscoli. E sono ben lontani da qualsiasi accettabile definizione di genocidio.
Prendiamo un altro esempio. Penso alla sanguinosa guerra in Yemen, dove negli scorsi otto anni i sauditi e i loro alleati hanno condotto una spietata campagna di bombardamenti contro la popolazione civile, distruggendo deliberatamente zone residenziali, silos per il deposito di grano, porti e imbarcazioni impegnate a trasportare generi alimentari a una popolazione ridotta alla fame.
L’Onu stima che la guerra in Yemen abbia ucciso 377 000 persone per la fine del 2021. Più di 150 000 di queste morti sono conseguenza diretta del conflitto armato, ma ben superiori sono quelle causate dalla fame e dalle malattie portate dalla guerra.
I raid aerei sauditi colpiscono frequentemente obiettivi civili civili come ospedali e scuole, nonché assembramenti come matrimoni e mercati senza alcun obiettivo militare nelle vicinanze. Spesso si tratta di attacchi definiti a colpo doppio, perché si ripetono poco dopo per bombardare i soccorsi giunti sul posto.
Per giunta, la coalizione saudita ha deliberatamente bombardato tutte le infrastrutture, le strade, i porti ecc., ed ha imposto un embargo via terra e mare che ha bloccato l’arrivo degli aiuti umanitari, persino quelli disposti dall’Onu.
Benché il governo britannico dichiari che fornisce servizi di addestramento alla coalizione per evitare le vittime fra i civili, non c’è alcuna prova che questo abbia ridotto i decessi causati dai raid aerei. Tutto questo ben si presta a essere definito genocidio. Ma Boris Johnson e Joe Biden non hanno nulla da dire in proposito.
Perché? Perché la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sono complici di questa guerra di sterminio contro il popolo dello Yemen e appoggiano il regime saudita con le mani grondanti di sangue di Mohammed bin Salman, che riforniscono di quelle stesse armi che stanno uccidendo e menomando uomini, donne e bambini innocenti. La loro è una tacita approvazione dell’uso della carestia di massa per spezzare la popolazione civile di un paese povero.
Se c’è qualcuno che dovrebbe essere trascinato davanti alla Corte internazionale di giustizia sono loro. Ma nessuno osa dire mezza parola in merito.
Gli interessa molto più sbraitare contro un inesistente genocidio in Ucraina e puntare il dito contro l’uomo del Cremlino, che tratta la loro stupida retorica come l’impotente balbettio, qual’è.
Un momento critico
Questo è un momento critico per la guerra in Ucraina. L’accerchiamento e la distruzione di una vasta parte delle forze armate regolari del paese avrà effetti catastrofici e presumibilmente porterà a un crollo del morale. Ciò renderebbe superfluo conquistare Kiev, come quando nel 1940 per l’esercito tedesco non fu più necessario mettere sotto assedio Parigi una volta che l’esercito francese era stato accerchiato e aveva subito una sconfitta decisiva sul campo.
Questa è una possibile variante. Se, ciononostante, gli ucraini continueranno a resistere, la distruzione sarà spaventosa e, alla fine, dovranno capitolare, accettando qualsiasi condizione che i russi desiderino offrire.
Ecco perché Zelensky è preso dall’ansia di negoziare un accordo il più presto possibile. Dietro tutti suoi ultimi discorsi, a dispetto dal loro tono sprezzante, si identifica chiaramente una nota di disperazione. Ma non tutti sono altrettanto entusiasti alla prospettiva di un accordo che comporterebbe la fine delle ostilità in Ucraina.
Un ruolo particolarmente disgustoso viene giocato dai britannici e dagli americani. Devono sapere che le probabilità di una vittoria ucraina sono infinitesimali, eppure Biden, e soprattutto Johnson, continuano a spingere per continuare a combattere fino alla fine. Anziché incoraggiare gli ucraini a trovare una forma di accordo negoziale, sabotano sistematicamente ogni tentativo di trattativa.
La cricca famelica dei pazzi destrorsi che governano la Gran Bretagna ha deciso di mettersi in prima mel partito internazionale della guerra. Non che intendano mandare un solo soldato britannico a combattere in Ucraina, men che meno imbracciare un mitra e andarci in prima persona.
Ma ora sospettano che i loro alleati nella Nato, specie gli odiati europei, si stiano preparando a svendere l’Ucraina. Nemmeno gli yankee sono al di sopra dei sospetti. Pochi giorni fa The Times di Londra ha pubblicato un articolo con un titolo interessante:
“La Gran Bretagna incoraggia l’Ucraina: non demordere. Il governo teme che gli alleati occidentali spingeranno Zelensky a trovare un accordo di pace a breve.”
Sarebbe difficile immaginare un articolo più cinico e disgustoso di questo. Ecco cosa vi si legge:
“La Gran Bretagna teme che gli Stati Uniti, la Francia e la Germania spingano l’Ucraina a ‘scendere a patti’ e fare concessioni significative nelle trattative di pace con la Russia, secondo fonti raccolte da The Times.
“Una fonte governativa di spicco ha svelato il timore che gli alleati siano ‘troppo desiderosi’ di ottenere un accordo di pace a breve, aggiungendo che l’accordo andrebbe raggiunto solo con un’Ucraina nella posizione più forte possibile.
“In una telefonata nel weekend, Boris Johnson ha avvertito il presidente Zelensky che il presidente Putin è ‘un bullo e bugiardo’ che non si farebbe problemi a sfruttare i colloqui per ‘sfiancarvi e costringervi a fare delle concessioni’.
‘La fonte dice che queste concessioni potrebbero essere significative in termini di territori, sanzioni e l’incriminazione di Putin come potenziale criminale di guerra.
“I ministri credono che a Putin non debba essere offerta una ‘facile via d’uscita’, mentre Johnson ha affermato che vuole un’intensificazione delle sanzioni da parte degli alleati finché tutte le forze russe non avranno lasciato l’Ucraina, compresa la Crimea.”
Non è carino? Questi benestanti signori, dalle comodità delle loro stanze di Westminster, mentre sorseggiano il miglior Scotch, spingono Zelensky a combattere fino all’ultima goccia di sangue – di sangue ucraino, intendiamoci.
E quanto all’accusa del nostro Boris a Vladimir Putin di essere un bugiardo: è un po’ strano sentirla da un uomo incapace di aprire la bocca senza sparare almeno due o tre colossali falsità.
Cosa importa agli “amici dell’Ucraina” a Londra e Washington se la guerra si trascina e migliaia di persone perdono la vita? Certo, è tutto molto triste. Ma ha il vantaggio di dare ai “difensori del mondo libero” strabilianti storie da copertina di incalcolabile valore per distrarre l’attenzione di un pubblico sempre più scontento per la dura realtà dell’aumento dei prezzi e del crollo delle condizioni di vita. Non è forse una causa per la quale vale la pena combattere e morire?
È nei loro interessi egoistici far sì che il massacro continui il più a lungo possibile per poterlo usare al fine di coprire la miseria del popolo sotto i drastici tagli alle condizioni di vita inflitti dai rispettivi governi. Nell’interesse del popolo ucraino, così dicono!
Ma Zelensky capisce meglio di chiunque altro che la guerra deve finire con un negoziato. Sicuramente comprende che, prolungando l’agonia del suo popolo, l’accordo finale sarà persino peggio di prima.
Il paese sarà distrutto e Washington non avrà materiale di propaganda a sufficienza per nascondere quella che sarà un’umiliante disfatta.
E i poveri ucraini dovranno pagare il prezzo di tutto questo.
Un avvertimento
Tutte le prospettive hanno un carattere necessariamente condizionale. Ciò è tanto più vero per qualsiasi prognosi dell’esito della guerra, che – come affermato da Napoleone – è la più complessa di tutte le equazioni.
Ho basato la mia analisi sui fatti a mia disposizione. Ma nelle guerre si possono verificare molte svolte brusche e inaspettate. Ci saranno numerosi alti e bassi prima dell’epilogo. Ma nei limiti di ciò che è possibile valutare, i fatti puntano verso una sola direzione.
È vero che i russi hanno subito delle perdite, quasi certamente maggiori rispetto a quanto Mosca sia disposta ad ammettere. Tuttavia le vittorie ucraine sono state esagerate dai media.
Qua e là i russi sono stati rallentati da unità ucraine di piccole dimensioni grazie a tattiche mordi e fuggi per mettere fuori gioco carri armati e altri veicoli con moderni lanciarazzi, per gentile concessione di Boris Johnson. Ma a prescindere da quanto possano essere state vittoriose in certi casi particolari, queste tattiche di guerriglia non possono cambiare l’orientamento generale della guerra, men che meno stabilire il suo esito ultimo.
Nel frattempo le perdite ucraine – sulle quali i media non dicono una parola – devono essere ben superiori rispetto a quelle russe. E la Russia è molto più in grado di rimpiazzare le perdite rispetto all’Ucraina, alimentando così una campagna punitiva per un periodo di tempo ben maggiore.
Ma l’esito non sarà necessariamente rapido e semplice come l’ho presentato qui. Tanto per cominciare, l’accerchiamento delle forze ucraine nel Donbass è una manovra mastodontica e complicata, che potrebbe richiedere settimane, se non di più.
Anche in quel caso, in teoria, non è da escludersi che Zelensky, sotto la pressione degli elementi ultranazionalisti e fascisti del suo governo e degli “alleati” a Washington e Londra, decida di continuare a combattere, anche se certamente sa che sarebbe una linea di condotta disastrosa.
Joe Biden e Boris Johnson stanno aiutando Zelensky, sull’orlo del precipizio, a fare qualche ulteriore passo in avanti. Con amici così, a che servono i nemici? In ogni caso, il risultato finale non è di difficile previsione.
Conseguenze
Le conseguenze di tutto ciò saranno di lunga durata. E non saranno di gradimento per gli stupidi sciovinisti di Washington e Londra. Tutta la propaganda occidentale sull’imminente crollo della Russia e le dichiarazioni incendiarie su un Putin con le spalle al muro sono già state smascherate come ridicola aria fritta.
Senza dubbio, le sanzioni hanno avuto degli effetti in Russia, ma non catastrofici come si sperava a ovest: hanno fatto infuriare il popolo e l’hanno messo contro l’Occidente, senza la minima conseguenza sulle azioni di Putin o sulla guerra in Ucraina.
Biden e co. speravano che, colpendo i portafogli degli oligarchi russi, questi ultimi si sarebbero rivoltati contro Putin. L’effetto è stato esattamente l’opposto. Le mie fonti in Russia mi dicono che la popolarità di Putin fra le élite russe è persino aumentata dopo l’imposizione delle sanzioni occidentali.
Due mesi fa gran parte degli oligarchi russi erano filo-occidentali. Non è più così. I filo-occidentali sono emigrati, chi è rimasto sta facendo quadrato attorno a Putin.
Per quanto riguarda le larghe masse, il sostegno per la guerra è in aumento in tutti i gruppi sociali. Al contrario del 2014, però, il sostegno per Putin fra le masse, benché esista, è relativamente passivo. La situazione potrebbe cambiare in qualsiasi momento nel futuro, ma non presto. Quanto ai tentativi occidentali di ottenere una rivolta di massa contro Putin, gli sono più che altro d’aiuto. Putin non potrà essere popolare, ma le masse nutrono un disgusto ben radicato per la Nato e l’imperialismo Usa, che giustamente vedono come loro nemici giurati.
Dovremo occuparci degli effetti economici in un prossimo articolo. Ma le masse stanno già subendo gli effetti delle sanzioni con la lacerazione del fragile tessuto del commercio mondiale, l’interruzione delle catene di approvvigionamento, l’aggravarsi delle scarsità delle merci e un’inflazione galoppante. Le masse dovranno pagare il conto dei crimini del capitalismo e dell’imperialismo: aumento dei prezzi e crollo delle condizioni di vita. Sarà benzina sul fuoco della lotta di classe.
La storia dimostra che le guerre hanno spesso conseguenze rivoluzionarie, una volta dissipatisi i fumi velenosi dello sciovinismo e i deliri bellicisti. I lavoratori greci stanno già dando l’esempio con lo sciopero generale e manifestazioni di massa contro la guerra e gli attacchi al tenore di vita. Altri seguiranno.
I fatti in Ucraina sono il preludio di un nuovo, tempestoso periodo nella storia del mondo. In un paese dopo l’altro, le masse cominceranno a trarre conclusioni rivoluzionarie. I marxisti devono essere pronti!
La cosa più importante è non farsi influenzare dal martellamento senza precedenti della propaganda ufficiale, avere sangue freddo e mantenere una ferma posizione rivoluzionaria e internazionalista di classe.
E la precondizione per farlo è tenere salda la presa sui processi reali mediante un’analisi marxista scientifica. Che le nostre azioni siano guidate dalle meravigliose parole di quel grande pensatore dialettico che fu Spinoza:
Non piangere né ridere, ma capire.