La crisi del Tigrè in Etiopia: socialismo o barbarie

Il 29 novembre il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha annunciato tramite un tweet la conquista da parte dell’esercito della città di Macallè, capitale della regione del Tigrè, nel nord dell’Etiopia. Sembrerebbe l’epilogo di una guerra che ha causato un numero imprecisato di morti e feriti e 40mila profughi che sono scappati in Sudan. Ora l’obiettivo di Abiy è di “pacificare” l’area e prendere il controllo della regione. Tuttavia un’escalation del conflitto in una guerriglia prolungata o la sua estensione ad altre regioni dell’Etiopia non è da escludere. Di seguito riportiamo un articolo scritto dai nostri compagni sudafricani che fa chiarezza su quanto è avvenuto e sui retroscena del conflitto.


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Alle tre di notte di mercoledì 4 novembre, il Primo ministro etiope Abiy Ahmed è apparso sulla televisione di stato per dichiarare uno stato di emergenza di sei mesi nella regione del Tigrè, nel nord del Paese. Secondo Abiy, le forze di sicurezza regionali del Tigrè hanno commesso un “tradimento”, attaccando basi militari federali nella capitale della regione Macallè come a Dansha, uccidendo e ferendo un numero non specificato di soldati negli attacchi. Questo annuncio ha messo in moto una catena di eventi che potrebbe alla fine portare alla divisione dell’Etiopia stessa con gravi conseguenze per il Corno d’Africa.

Subito dopo, l’aviazione militare etiope ha iniziato varie incursioni aeree e bombardamenti intorno a Macallè, e truppe da tutto il Paese si sono dirette verso il Tigrè. Da allora, il governo di Abiy ha espulso gli ufficiali tigrini dalle posizioni governative ed ha esortato mobilitato le milizie etniche nel conflitto bellico. Immediatamente, il Sudan ha chiuso i confini con l’Etiopia, segnalando le conseguenze a livello regionale del conflitto. La guerra non è cominciata bene per il primo ministro, comunque, con le sue forze che hanno subito gravi perdite nella prima settimana di combattimenti. Di conseguenza, dopo solo cinque giorni ha licenziato il suo capo dell’esercito, capo dei servizi segreti e il ministro degli esteri. Il Primo Ministro etiope, che ha vinto il Nobel per la pace nel 2019, ha dichiarato con nettezza che le operazioni continueranno “finché la giunta non dovrà rendere conto davanti alla legge.” Tutte le linee internet e le telecomunicazioni sono state interrotte ed è stata imposta una “no-fly zone”.

“Guerra inaspettata”?

Il vice-comandante dell’esercito, Birhanu Jula, ha dichiarato alla televisione di Stato che il Paese “ha intrapreso una guerra inaspettata” e che “il nostro Paese è stato coinvolto in una guerra che non voleva. Questa guerra è una guerra vergognosa. Non ha senso . Il popolo del Tigrè e la sua gioventù non devono morire per una guerra senza senso. L’Etiopia è il loro Paese”.

Si dice spesso che la verità è la prima vittima della guerra. Questa guerra è stata preparata da mesi; non c’è nulla di “inaspettato” al riguardo. Nonostante le affermazioni del Primo Ministro secondo le quali i suoi soldati hanno subito un’imboscata e sono stati costretti a rispondere, i preparativi di questa guerra e l’attuale escalation sono stati organizzati con largo anticipo. Movimenti su larga scala di truppe federali dirette verso nord sono stati registrati giorni prima dell’inizio delle ostilità. La questione di “chi ha sparato prima” non è un criterio per analizzare la guerra, in quanto a un determinato punto sarebbe stato trovato un pretesto per giustificare l’inizio del conflitto. La vera questione a cui dobbiamo rispondere è: quali sono gli interessi materiali e di classe coinvolti?

Federalismo etnico

Il Tigrè è la regione del popolo tigrino che corrisponde al 6% della popolazione totale del Paese (che conta 110 milioni di abitanti). Nonostante la loro minoranza numerica, i politici provenienti dal gruppo etnico tigrino hanno goduto di un potere sproporzionato e un’influenza importante nel governo federale per gli ultimi 30 anni circa.

Dopo aver combattuto contro il regime militare del Derg che ha governato l’Etiopia negli anni ’70 e ’80, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (Tigrè’s People Liberation Front – TPLF) è emerso come forza guida della coalizione che ha preso il potere nel Paese nel 1991 quando la giunta è stata rovesciata. La cricca dominante ha optato per una forma statale di federalismo etnico, sostenendo che questo “impedirà la disgregazione del Paese”. La coalizione, nota come Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front – EPRDF) è costituita dai quattro principali partiti politici dell’Etiopia, in gran parte divisi su linee etniche e geografiche. Hanno seguito un’impostazione federalista che ha dato un notevole potere alle regioni, ma la coalizione controllava tutti i livelli di potere e reprimeva quasi tutta l’opposizione politica. Mentre c’è un governo centrale, le sue parti costituenti sono separate lungo linee etniche, ma questo sistema ha portato alla concentrazione del potere politico in Etiopia nelle mani di pochi.

Meles Zenawi, un tigrino, ha governato l’Etiopia dal 1991 fino alla sua morte nel 2012. Questo periodo ha coinciso con un massiccio boom economico guidato dallo Stato, che ha permesso alla classe dominante di stabilizzare per un po’ la situazione . Questa crescita economica esplosiva, tuttavia, è avvenuta a costi enormi. Quasi tutta la ricchezza finiva nelle tasche dei ricchi residenti nella capitale, Addis Abeba. La città stessa è cresciuta “a rotta di collo”, spinta dagli investimenti cinesi, che hanno portato a profondi risentimenti nelle altre regioni popolate dalle etnie che ci hanno rimesso. Proteste di massa sono esplose tra gli Oromo nella popolosa regione Oromia, ma le rivendicazioni immediate delle proteste contro “l’accaparramento della terra”, sono rapidamente mutate in rivendicazioni politiche più ampie, come il rilascio dei prigionieri politici e maggiori diritti per gli Oromo, il gruppo etnico maggioritario, che costituisce il 34% della popolazione.

Le proteste si sono allargate alla popolazione Amara, il secondo gruppo etnico più grande del Paese. Queste sollevazioni hanno indebolito l’egemonia del TPLF e portato Abiy Ahmed, della popolazione Oromo, a diventare Primo ministro nel 2018. Subito dopo, membri del gruppo etnico tigrino sono stati espulsi dalle posizioni di potere e arrestati per corruzione e per atti di repressione connessi alla sicurezza, aprendo una profonda voragine tra la regione del Tigrè e il governo federale.

La causa immediata della guerra

Una lunga faida tra il governo federale e la potente fazione che controlla il Tigrè è velocemente degenerata in un violento confronto durato mesi. Il Paese avrebbe dovuto tenere le elezioni quest’anno ma con lo scoppio della pandemia di Covid-19, la commissione elettorale ha rinviato le elezioni oltre la scadenza del mandato del governo Abiy, inizialmente prevista per ottobre 2020. Di conseguenza, il partito di governo ha usato la sua egemonia nella camera alta del Parlamento per estendere il mandato di Abiy a tempo indeterminato. In quello che l’opposizione ha considerato un abuso di potere, spetta ora all’amministrazione decidere quando si terranno le elezioni e per quanto tempo sarebbe durata la legislatura. La reazione è stata più forte da parte di quei partiti che rappresentano gli oromo e i tigrini, che hanno proposto un accordo di unità nazionale per la condivisione del potere ad Abiy fino alle prossime elezioni. Ma Abiy, vedendo questa come un’occasione d’oro per mettere in pratica il suo ambizioso piano, ha avuto altre idee.

Lo sciovinismo nazionalista è stato sollevato dai gruppi dirigenti delle differenti regioni. Questo ha raggiunto il culmine a giugno con l’assassinio del noto cantante Oromo e attivista politico Hachalu Hundessa. Mentre le proteste si gonfiavano, il governo Abiy ha iniziato ad arrestare figure dell’opposizione accusate di fomentare i disordini e la conseguente violenza tra la comunità: Abiy ha operato così un giro di vite nei confronti dei suoi rivali di tutte le nazionalità, compresi i suoi oppositori tra gli Oromo.

Le elezioni sono state rinviate al prossimo anno, ma i tigrini hanno rifiutato di riconoscere l’estensione del mandato di Abiy ed hanno svolto le elezioni regionali a Settembre. Per questo motivo, il governo federale di Addis Abeba non ha riconosciuto il governo regionale e di conseguenza il governo regionale non riconosce quello federale. Il governo federale ha quindi trattenuto la parte del bilancio destinata al Tigrè, per schiacciare quello che considera uno “stato canaglia”. Era già chiaro che a questo punto un conflitto armato stava arrivando.

L’ambizione di Abiy Ahmed

Abiy Ahmed rappresenta una parte dell’elite Oromo. Il giovane Primo ministro è un membro estremamente ambizioso della borghesia. La sua ottica è di centralizzare il potere e unire il Paese, incrementando il potere del governo federale e riducendo l’autonomia dei governi regionali. Abiy vede il federalismo etnico come un ostacolo che non permette al Paese di progredire ed è pronto a calpestare ogni sentimento nazionale per raggiungere i suoi scopi, ma il Tigrè e altre regioni e gruppi etnici hanno opposto un’aperta resistenza.

Abiy è un “riformatore” dal punto di vista della borghesia. Vuole capovolgere il normale funzionamento del capitalismo etiope, ma, per rendere esecutive le riforme politiche, economiche e sociali desiderate, ha bisogno che il governo centrale goda di maggior potere. A questo scopo, Abiy ha iniziato sciogliendo l’anno scorso i diversi partiti etnici nel suo nuovo partito, il Partito della Prosperità pan-Etiope (pan-Ethiopian Prosperity Party), con l’obiettivo di proiettare l’Etiopia oltre le politiche etniche, più vicine a un modello di federalismo laico.

L’obiettivo massimo di Abiy è di rendere l’Etiopia il centro di potere indiscusso dell’Africa Orientale. Da quando è arrivato al potere due anni fa, ha operato riforme molte radicali, ma per raggiunger i suoi obiettivi, prima vuole centralizzare ed unificare il Paese. Pienamente concentrato su questo compito immediato, ha temporaneamente sospeso le lunghe ostilità con la vicina Eritrea ed ha giocato un ruolo di mediatore dei conflitti regionali tra le nazioni incluso Sudan, Sud-Sudan, Gibuti, Kenya e Somalia. Questo gli è valso il Premio Nobel per la Pace nel 2019.

Come parte della sua visione di centralizzazione del potere in Etiopia, l’anno scorso ha lanciato il Partito della prosperità , che ha riunito membri dell’ex coalizione di governo – ad eccezione del Tigrè – insieme a gruppi etnici precedentemente esclusi. Mentre all’esterno del paese proietta l’immagine di un pacifico riformatore, Abiy ha represso senza pietà i suoi oppositori all’interno dell’Etiopia. Ha arrestato leader dell’opposizione e ucciso centinaia di oppositori di diversi gruppi etnici.

L’EPRDF era una coalizione di quattro partiti etnici che rappresentavano le più grandi regioni etniche del paese. Il suo nuovo Partito della Prosperità, d’altra canto, è un’unica entità unitaria senza rappresentanza formale e istituzionalizzata per i gruppi etnici. Ciò rappresenta un colpo radicale alla precedente pace inter-nazione, che era centrale per il precedente accordo politico. Questa mossa senza scrupoli, lo scioglimento dell’EPRDF e di creazione del PP ha fatto arrabbiare non solo il TPLF, ma anche l’elettorato di Oromo di Abiy e gran parte della gente del Sud, storicamente soggiogato.

La creazione del Prosperity Party è stata guidata non solo dal desiderio di Abiy di creare un nuovo partito politico totalmente subordinato a lui, ma anche dalla necessità di portare avanti il ​​suo piano ambizioso. Per raggiungere questo obiettivo, aveva bisogno di indebolire due dei più potenti ostacoli alla sua agenda: il TPLF e l’opposizione Oromo, in particolare il Fronte di liberazione Oromo (OLF).

Interessi imperialisti

Dietro a questi eventi si profilano interessi imperialisti rivali. Nel corso dell’ultimo decennio, l’Etiopia è diventata sempre più dipendente dagli investimenti cinesi. La Export-Import Bank of China ha messo a disposizione 2,9 miliardi di dollari per il progetto ferroviario da 3,4 miliardi di dollari che collega l’Etiopia a Gibuti, fornendo al paese senza sbocco sul mare l’accesso ai porti. I fondi cinesi sono stati anche determinanti per la costruzione della prima autostrada a sei corsie dell’Etiopia (un progetto da 800 milioni di dollari), così come un sistema metropolitano e diversi grattacieli che punteggiano lo skyline di Addis Abeba. Pechino rappresenta anche quasi la metà del debito estero dell’Etiopia e ha prestato all’Etiopia almeno 13,7 miliardi di dollari tra il 2000 e il 2018.

Pechino ha finanziato mega-progetti, dalle dighe idroelettriche ai grattacieli. Ora, l’imperialismo occidentale si è interessato alle prospettive di enormi profitti da realizzare in Etiopia, ma i recenti sforzi di Abiy Ahmed per privatizzare le società statali e ridurre il peso del debito stanno spostando le dinamiche di potere nel paese. Da parte sua, Abiy è pronto a mettere la Cina contro l’Occidente per sfruttare la concorrenza tra Occidente e Cina per attrarre investimenti ancora maggiori e ridurre la dipendenza del Paese da Pechino.

Nel dicembre 2019, l’Etiopia ha ricevuto un’iniezione di 9 miliardi di dollari di aiuti finanziari dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale. L’afflusso di contanti potrebbe interrompere 15 anni di crescente dominio cinese. “La concessione di questo denaro vede l’Occidente contrastare la Cina in un modo molto tangibile, in uno dei paesi più politicamente ed economicamente importanti e significativi in Africa”, ha detto Zemedeneh Negatu, un investitore etiope-americano e presidente globale del Fairfax Africa Fund . Il prestito del FMI è stato la prima volta in oltre un decennio che il Fondo ha prestato denaro all’Etiopia. L’importo dell’aiuto rappresenta anche uno dei più alti livelli di assistenza finanziaria che possono essere forniti in base alle regole del FMI rispetto ai prestiti.

Una parte fondamentale delle priorità di Abiy è rappresentata dallo tentativo di revisione del modello economico del paese costituito da pesanti investimenti statali. Come parte di questa spinta, il primo ministro si è circondato di tecnocrati di istruzione occidentale con esperienza internazionale per attirare capitali privati ​​e privatizzare settori chiave come il mercato delle telecomunicazioni. È chiaramente oggetto d’interesse dell’Occidente, soprattutto che quest’ultimo lo ha adulato con il Premio Nobel per la Pace, un fatto che ha proiettato con prepotenza la sua immagine sulla scena mondiale. Nei media occidentali è diventato il manifesto di un ‘”Africa moderna piena di potenzialità economiche”. Lo stanno inondando di riconoscimenti e prestiti a condizioni favorevoli.

Le riforme stanno creando opportunità per le imprese occidentali di investire in Etiopia anche se stanno alterando le relazioni dell’Etiopia con la Cina. Intervenendo a una conferenza ad Addis Abeba a dicembre, Abiy è arrivata addirittura a dire che i termini dei prestiti cinesi avevano danneggiato l’economia etiope.

“Alcuni dicono che stiamo aggiungendo più debito al già alto debito del paese. Ma prendere in prestito dall’FMI e dalla Banca Mondiale è come prendere in prestito dalla propria madre. Ciò che danneggia l’Etiopia è il prestito da altre società o da alcuni paesi. Ad esempio, l’Etiopia ha avuto accesso a un prestito per costruire una ferrovia ma ci è stato chiesto di ripagare il debito prima del completamento della costruzione “, ha aggiunto, riferendosi alla linea ferroviaria costruita coi finanziamenti cinesi.

Le aziende europee e americane si sono già messi in fila. A dicembre, Abiy ha ricevuto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il mese precedente, Adam Boehler, CEO della International Development Finance Corporation americana, il ramo degli investimenti del governo degli Stati Uniti, ha detto che Washington è “pronta a fare investimenti multimiliardari in Etiopia”.

Tali visite di alto profilo indicano il crescente interesse da parte dei paesi occidentali insieme alla Cina, agli Stati del Golfo e alla Russia, che hanno tutti manovrato per influenzare l’Etiopia da quando la sua economia ha iniziato a crescere circa un decennio fa. Uno degli impegni più visibili è arrivato nel 2018 attraverso un pacchetto di aiuti e investimenti da 3 miliardi di dollari dagli Emirati Arabi Uniti, sebbene la Cina e l’Etiopia continuino a godere di solide relazioni commerciali e di investimento.

La strategia perseguita da Abiy di mettere Pechino e l’Occidente l’uno contro l’altro, ha tuttavia raggiunto i suoi limiti. Recentemente, le relazioni tra Stati Uniti ed Etiopia hanno preso una brutta piega dopo la decisione dell’amministrazione Trump di sospendere e ritardare l’aiuto allo sviluppo all’Etiopia per il riempimento della nuova diga Grand Renaissance sulle rive del fiume Nilo. Si tratta di un progetto vitale nei piani di Abiy per l’Etiopia, ma la decisione di Trump aveva lo scopo di spingere l’Etiopia ad accettare una soluzione negoziata favorita dall’Egitto. Trump ha anche suggerito che l’Egitto potrebbe persino far saltare in aria la diga se non fosse stato raggiunto un accordo. Allo stesso modo, negli ultimi anni Pechino ha iniziato a ridurre l’importo dei prestiti all’Etiopia, da 1,47 miliardi di dollari nei 12 mesi da luglio 2014 a 630 milioni di dollari nel 2017. Ora Abiy avverte di essere sempre più rinchiuso in un angolo. L’economia era già in declino prima del Covid-19, ma l’Etiopia ora deve affrontare una crescente crisi economica e sociale. L’operazione militare nel Tigrè è una scommessa disperata per accentrare il potere politico per la realizzazione dei suoi piani. In definitiva, l’escalation del conflitto ucciderebbe anche le rimanenti speranze di riforme democratiche che ha affermato di perseguire.

Socialismo o barbarie

Il tentativo di riforma pan-etiope unilaterale e dall’alto verso il basso di Abiy ha destabilizzato profondamente l’intera situazione politica e potrebbe, a lungo termine, portare alla disgregazione del Paese. Se ciò avvenisse, sarebbe realizzata per mezzo di una barbarie su una scala inimmaginabile. La prima domenica dopo l’inizio delle ostilità, ha avuto luogo un massacro in cui 54 persone sono state uccise nel cortile di una scuola nel villaggio di Gawa Qanqa. I sopravvissuti hanno detto che gli aggressori hanno preso di mira specificamente membri del gruppo etnico Amara e che le vittime “sono state trascinate fuori dalle loro case e portate in una scuola, dove sono state uccise”. La maggior parte delle vittime erano donne, bambini e anziani, secondo i sopravvissuti che si erano nascosti nelle foreste vicine. Il 9 novembre, centinaia di corpi sono stati trovati nel centro della città di Mai-Kadra, una città nella zona sud-occidentale del Tigrè. Tutte le vittime sembravano appartenere al gruppo etnico Amara.

L’offensiva militare arriva in un momento in cui il governo federale affronta gravi crisi su più fronti. Oltre a combattere la pandemia e lavorare per rilanciare un’economia piena di debiti, sta affrontando la disaffezione all’interno della propria comunità etnica oromo. Molti oromo hanno anche criticato la repressione del suo governo nei loro confronti, a seguito della violenza etnica provocata dall’uccisione a giugno di un importante cantante oromo, Hachalu Hundessa.

Una guerra di lunga durata avrà l’effetto opposto di quello che Abiy prevede per l’Etiopia. Il comando settentrionale dell’esercito è prevalentemente Tigrino e ha sviluppato stretti legami con il TPLF. Questo spiega perché la maggior parte della forza combattente federale proviene da una pletora di eserciti etnici degli stati regionali. Le forze del Tigrè contano fino a 250mila uomini e hanno le proprie scorte significative di equipaggiamento militare e decenni di esperienza di combattimento. Ha grandi risorse, una società marchiata dalla guerra e controlla vaste aree di territorio da cui può organizzare e lanciare un attacco militare concertato. Una delle eventualità più probabili è che l’esercito si divida secondo linee etniche, con gli ufficiali del Tigrè che disertano e si uniscono alle forze della propria regione. Ci sono segni che sta già accadendo.

“La frammentazione dell’Etiopia sarebbe il più grande crollo di uno stato nella storia moderna”, ha detto un gruppo di ex diplomatici degli Stati Uniti in una dichiarazione pubblicata giovedì dall’Institute of Peace statunitense. Questa è una possibilità concreta.

L’attuale guerra con il TPLF non rappresenta solo una minaccia significativa per l’integrità e la coesione dello stato etiope e del suo popolo. La guerra con il TPLF potrebbe protrarsi per anni, senza un chiaro vincitore. Per aggiungere a questo, c’è ancora una rivolta di bassa intensità in atto nell’Oromia occidentale e meridionale. La guerra potrebbe anche incoraggiare altri gruppi in altre parti del Paese di ricorrere alla ribellione armata, in particolare nelle aree in cui vi è una significativa opposizione alla visione di Abiy.

Infine, in qualunque modo finisca la guerra, lo scontro tra Abiy e il TPLF avrà profonde ramificazioni: L’ONU ha avvertito di una grave crisi umanitaria che potrebbe creare ben 9 milioni di profughi. Ciò si riverbererebbe in tutta l’Etiopia e nel Corno d’Africa per i decenni a venire. Potrebbe definire la struttura, il carattere e l’identità dell’Etiopia e della regione. Una guerra in piena regola in Etiopia colpirebbe gravemente i sei paesi che la circondano. La violenza in Tigrè potrebbe sconfinare nella vicina Eritrea, che ora è alleata del governo federale dell’Etiopia e ha un risentimento di lunga data nei confronti del TPLF. Molti veterani del TPLF che hanno partecipato alla guerra etiopico-eritrea tra il 1998 e il 2000 fanno ora parte delle forze paramilitari della regione del Tigrè.

Questa barbarie è ciò che il capitalismo ha in serbo, nel suo periodo di agonia mortale. La popolazione della Somalia, dell’Eritrea, dell’Etiopia e del Corno d’Africa ha generalmente sofferto per decenni di conflitti brutali; una guerra civile in Etiopia ha il potenziale per approfondire ulteriormente la barbarie nella regione. L’unica via d’uscita per le popolazione nella regione – e per il popolo africano in generale – è la via della rivoluzione. Una rivoluzione di successo in un paese chiave come il Sud Africa o la Nigeria rappresenterà un faro per l’intero continente. La classe operaia non ha nazionalità e in Africa le linee di confine artificiali sono ancora più evidenti dal modo in cui furono tracciate dagli imperialisti. Allo stesso tempo, un’economia socialista isolata in una parte dell’Africa sarebbe completamente in balia del mercato mondiale capitalista. Quindi una rivoluzione socialista può essere solo l’inizio di una rivoluzione panafricana come primo passo verso una rivoluzione socialista mondiale.

Il socialismo è internazionale o non è. Gli interessi della classe operaia in una parte del continente non sono diversi dagli interessi dei lavoratori in tutto il mondo. Lo stesso sfruttamento e oppressione che ha luogo qui, avviene ovunque. Con l’intensificarsi della crisi del capitalismo mondiale, la classe capitalista intensifica anche i suoi attacchi alla classe lavoratrice per proteggere i suoi profitti. Questa è la ragione dietro l’ondata crescente della lotta di classe dappertutto. I marxisti sono internazionalisti. Non limitiamo le nostre organizzazioni ai confini artificiali delle singole nazioni, ma costruiamo un’organizzazione rivoluzionaria mondiale per la diffusione delle idee del marxismo e la difesa degli interessi della classe operaia ovunque.