Kazakhstan – Quali prospettive per il movimento di protesta?

Ieri (giovedì 6, ndt), l’esercito kazako e le forze di sicurezza sostenute dalle forze speciali russe sono intervenute per reprimere con la forza quello che era diventato il più grande movimento di massa in Kazakhstan dal crollo dell’Unione Sovietica.

 [Source]

Giovedì 6 gennaio, numerosi scontri di strada hanno avuto luogo in diverse grandi città del Kazakhstan dopo che le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza e hanno fatto intervenire l’esercito per ristabilire il loro controllo sul potere. In un messaggio concepito per scioccare e provocare, un portavoce della polizia ha affermato che “decine di aggressori sono stati liquidati”. Ci sono state notizie di centinaia di feriti e migliaia di arresti. In un’apparizione televisiva, oggi (venerdì), un tronfio presidente Kassym-Jomart Tokaev ha detto che ha dato personalmente l’ordine alle forze di sicurezza e all’esercito di “aprire il fuoco con l’intento di uccidere” contro quelli che ha chiamato “banditi e terroristi”.

È chiaro che l’apparato statale sta agendo in modo rapido e violento per riprendere quel controllo che sembrava sfuggirgli di mano nei giorni scorsi. Tutti gli aeroporti, le strade, le piazze e altri punti chiave di comunicazione e trasporto, di cui i manifestanti avevano in precedenza preso il controllo, sono ora saldamente di nuovo nelle mani dello stato.

In assenza di una direzione e un’organizzazione chiare, questa forza schiacciante sembra, almeno per ora, aver respinto le proteste che avevano coinvolto tutte le principali città del paese durante la scorsa settimana. Il movimento ha assunto un carattere semi-insurrezionale dopo aver occupato gli aeroporti e gli edifici governativi nelle principali città, e ci sono stati episodi di fraternizzazione tra polizia e manifestanti. Senza un piano chiaro di come andare avanti tuttavia, l’iniziativa è stata presa dalla controrivoluzione, che è riuscita a riorganizzarsi e a passare al contrattacco con una combinazione di concessioni e forza bruta.

Di fronte a questo potente movimento, lo Stato è stato inizialmente costretto a fare una serie di ampie concessioni, come la riduzione dei prezzi del gas nella regione di Mangghystau e l’introduzione di una regolamentazione statale dei prezzi della benzina, del diesel, del gas naturale e del prodotti alimentari di base, nonché le dimissioni dell’intero governo. Questo ha aumentato la fiducia del movimento e lo ha spronato ad andare avanti mentre le forze dello Stato si stavano lentamente disintegrando. La reazione di Tokaev sembrava portare a demoralizzazione e disorientamento diffusi, in particolare fra le fila dell’apparato statale.

Giovedì, tuttavia, Tokaev – che fino ad allora aveva operato come un presidente di fatto ad interim, con l’ex presidente Nursultan Nazabaev che manteneva il potere reale dietro le quinte – si è fatto avanti e ha preso in mano le redini della situazione. Ha sciolto il governo e messo da parte Nazabaev, ha annunciato lo stato di emergenza e ha chiesto l’ausilio delle truppe russe (sotto la copertura dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva). Con questa mossa audace e piena di fiducia in sè, Tokaev sembra aver galvanizzato le forze dello stato e le ha incoraggiate al lancio dell’offensiva a cui abbiamo assistito nelle ultime 24 ore.

Nel frattempo, dopo che molte delle richieste iniziali del movimento erano state accolte e nessun nuovo e chiaro obiettivo in vista, alcuni settori hanno iniziato a vacillare. Questa tendenza è stata rafforzata dai saccheggi e dalla violenza insensata, che senza dubbio è stata promossa e orchestrata in gran parte dallo stato. In queste condizioni, e di fronte alla prospettiva di combattere la repressione statale senza una chiara organizzazione o programma, un settore avrebbe fatto un passo indietro, lasciando gli elementi più radicali potenzialmente isolati nelle strade.

Ma mentre le strade sono state liberate in alcune città come Almaty e la capitale Nursultan (fino al 2019 conosciuta come Astana, ndt), in altri, come Jañaözen e Aktau, le proteste continuano anche oggi. Non si può escludere che, una volta superato lo shock, il movimento si radicalizzi e compia nuovi passi avanti. Qualunque cosa accada, questa non è assolutamente la fine della rivoluzione kazaka. Al contrario, questo è solo l’inizio.

Instabilità futura

Quello a cui stiamo assistendo è un punto di svolta nella storia del Kazakhstan. Il paese, che per anni era stato messo in risalto dalla borghesia come un modello di stabilità, sta ora entrando in una nuova fase di instabilità, crisi e lotta di classe. La strategia del regime sarà quella di fare arretrare il movimento attraverso una combinazione di repressione violenta e concessioni economiche.

Il Kazakhstan ha alcune delle più grandi riserve di cromite, tungsteno, piombo, zinco, manganese, argento e uranio nel mondo. Ha anche riserve significative di bauxite, rame, oro, minerale di ferro, carbone, gas naturale e petrolio. Sulla base di queste riserve ha anche costruito un importante fondo sovrano dal quale può attingere per elargire concessioni sociali ed economiche.

Tuttavia, questo non sarà sufficiente per comprare una stabilità duratura. Queste risorse dipendono da un’economia mondiale che si trova in uno stato terribile. Nel 2014, quando i prezzi del petrolio e dei minerali hanno iniziato a diminuire a causa del rallentamento della crescita economica in Cina e in Occidente, la crescita del PIL del Kazakhstan è scesa dal 4,2% all’1,2%. Una volta che è arrivata la pandemia , la situazione è peggiorata, poiché i prezzi sono aumentati e la possibilità di accedere ai servizi sociali è diminuita per i più poveri

Nel prossimo periodo, l’economia mondiale affronterà nuove fasi recessive, che metteranno ulteriori pressioni sull’economia del Kazakhstan, il che significa che la classe dominante dovrà attaccare il tenore di vita della popolazione per mantenere la propria posizione.

Per due decenni il regime kazako, guidato in modo bonapartista da Nursultan Nazabaev, ha potuto godere di una relativa stabilità sulla base di un’economia che cresceva rapidamente e una relativa crescita del tenore di vita – almeno per alcune parti della popolazione. Quell’epoca, tuttavia, è finita. Se non era chiaro fino alla scorsa settimana, sicuramente dopo la scorsa notte, il regime è stato completamente screditato e sarà sempre più costretto a fare affidamento sulla forza bruta per mantenersi al potere, un fatto che a sua volta spingerà ancora più settori all’opposizione. Così, l'”ordine” che Tokaev ha così orgogliosamente proclamato a Nur-Sultan e Almaty, costituirà la base per un nuovo periodo di instabilità e di lotta di classe.

Una rivoluzione “colorata”?

Alcune personaggi di sinistra hanno fatto gara a caratterizzare il movimento della scorsa settimana in Kazakhstan come una “rivoluzione colorata”, orchestrata dall’occidente come parte di un complotto per isolare la Russia. Secondo questa linea di ragionamento, ciò a cui stiamo assistendo è simile al movimento reazionario di Maidan in Ucraina, che era essenzialmente un movimento controllato da elementi di estrema destra e fascisti incoraggiati da Washington. Questo, tuttavia, è un paragone superficiale che ignora i fatti concreti in Kazakhstan.

Semmai, il movimento a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni si è caratterizzato per la limitata presenza di elementi liberali e piccolo-borghesi. A differenza dei movimenti di protesta tra il 2018 e il 2020, le proteste della scorsa settimana hanno avuto un autentico carattere rivoluzionario e sono state fatte partire dai lavoratori, che hanno avuto un ruolo fondamentale, così come da disoccupati poveri ed elementi della classe medio-bassa.

Il punto di partenza e l’epicentro iniziale del movimento è stato nella regione occidentale del Mangghystau, il cuore delle grandi aziende petrolifere e sede di una grande e forte classe operaia industriale con tradizioni di lotta. La regione è dove è ubicata Jañaözen, una città in cui decine di migliaia di lavoratori del petrolio hanno scioperato nel 2011, e sostanzialmente hanno occupato la città per sette mesi prima di essere brutalmente repressi dalle forze armate. È chiaro che questa esperienza ha giocato un ruolo importante nel movimento odierno, che in larga misura si è basato sulle tradizioni di lotta di quella regione.

Questo sviluppo impressionante del movimento nell’arco di pochi giorni è stato spiegato molto bene in una dichiarazione del Movimento Socialista del Kazakhstan, che citeremo diffusamente:

“Ora c’è una vera e propria rivolta popolare in Kazakhstan. Fin dall’inizio le proteste sono state di natura sociale e di classe; il raddoppio del costo del gpl in borsa è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopotutto, gli eventi sono iniziati allo stesso modo a Jañaözen, su iniziativa dei lavoratori del settore petrolifero, che è diventata una sorta di quartier generale politico di tutto il movimento di protesta.

“La dinamica di questo movimento è indicativa. Da quando è iniziato come protesta sociale, poi ha cominciato ad espandersi, le organizzazioni dei lavoratori hanno usato le proprie iniziative di protesta per avanzare le proprie rivendicazioni di un aumento del 100% dei salari, la cancellazione di obiettivi di produzione irragionevoli, il miglioramento delle condizioni di lavoro e la libertà di attività sindacale. Come risultato, il 3 gennaio, l’intera regione di Mangghystau è stata travolta da uno sciopero generale, che si è esteso alla vicina regione di Atyrau.

“È significativo che già il 4 gennaio i lavoratori del settore petrolifero dell’azienda Tengizchevroil, controllata per il 75% da multinazionali americane, sono entrati in sciopero. È qui che 40.000 lavoratori sono stati licenziati nel dicembre dello scorso anno ed è stata pianificata una nuova serie di licenziamenti. Questi lavoratori sono stati poi sostenuti durante la stessa giornata dai lavoratori del settore petrolifero delle regioni di Aktobe e del Kazakhstan occidentale e di Kyzylorda.

“Inoltre, nella serata dello stesso giorno sono iniziati gli scioperi dei minatori della società ArcelorMittal Temirtau nella regione di Karaganda, e dei lavoratori delle fonderie e minatori del rame della multinazionale Kazakhmys, che possiamo già considerare come uno sciopero generale di tutta l’industria mineraria nazionale del paese. E c’erano anche rivendicazioni di aumenti salariali, di diminuzione dell’età pensionabile, del diritto di organizzare i propri sindacati e indire scioperi.

“Allo stesso tempo, manifestazioni ad oltranza erano già iniziate martedì ad Atyrau, Uralsk, Aktobe, Kyzyl-Orda, Taraz, Taldykorgan, Turkestan, Shymkent, Ekibastuz, nelle città della regione di Almaty e nella stessa Almaty, dove la chiusura delle strade ha portato a uno scontro aperto dei manifestanti con la polizia nella notte tra il 4 e il 5 gennaio, in seguito al quale l’akimat [governo provinciale] della città è stato temporaneamente occupato. Questo ha dato la scusa a Kassym-Jomart Tokaev per la dichiarazione lo stato di emergenza.

“Va notato che a questi comizi ad Almaty hanno partecipato soprattutto giovani disoccupati e migranti da altri parti del paese che vivono nei sobborghi della metropoli e che lavorano sottopagati o a tempo determinato. I tentativi di placare le proteste con le promesse di ridurre il prezzo del gas a 50 tenge (la divisa locale, ndt), separatamente per la regione di Mangghystau e Almaty, non hanno convinto nessuno.

“Anche la decisione di Kassym-Jomart Tokaev di mandare a casa il governo, e poi di rimuovere Nursultan Nazabaev dal posto di presidente del Consiglio di Sicurezza, non ha fermato le proteste. Manifestazioni di protesta di massa sono iniziate già il 5 gennaio nei centri principali delle regioni del Kazakhstan settentrionale e orientale che prima non erano state coinvolte – a Petropavlovsk, Pavlodar, Ust-Kamenogorsk, Semipalatinsk. Allo stesso tempo, sono stati fatti tentativi di assaltare gli edifici degli akimat regionali ad Aktobe, Taldykorgan, Shymkent e Almaty.

“Nella stessa Jañaözen, i lavoratori hanno formulato nuove rivendicazioni durante la loro protesta ad oltranza, tra cui le dimissioni dell’attuale presidente e di tutti i funzionari legati a Nazarbaev, il ripristino della Costituzione del 1993 e le relative libertà di formare partiti, il diritto di creare sindacati, il rilascio dei prigionieri politici e la cessazione della repressione. È stato immediatamente creato un Consiglio degli anziani, che è diventato un’autorità informale.

“Così, le richieste e gli slogan che ora sono utilizzati nelle diverse città e regioni sono stati trasmessi a tutto il movimento, e la lotta ha ricevuto un contenuto politico. Si stanno anche facendo tentativi sul terreno per creare comitati e consigli per coordinare la lotta”.

Ciò che vediamo molto chiaramente da quanto sopracitato è l’enorme ruolo della classe operaia industriale di Mangghystau, che essenzialmente ha guidato il movimento e lo ha fornito di un proprio programma politico proletario e di metodi di organizzazione e lotta. Nel frattempo, le richieste vaghe di stampo democratico e nazionalista dell’opposizione liberale sostenuta dall’Occidente sono rimaste, nel migliore dei casi, periferiche.

In un’intervista molto interessante pubblicata su Zanovo-media, Aynur Kurmanov – uno dei leader del Movimento Socialista del Kazakhstan in esilio – risponde all’affermazione che si tratti di una cospirazione orchestrata dalle potenze occidentali:

“Questa non è una Maidan, anche se molti analisti politici stanno cercando di presentarla in questo modo. Da dove viene un’auto-organizzazione così sorprendente? Si basa sull’esperienza e le tradizioni dei lavoratori. Gli scioperi scuotono la regione del Mangghystau dal 2008, e il movimento di sciopero è iniziato negli anni 2000. Anche senza l’apporto del partito comunista o di altri gruppi di sinistra, c’erano continue richieste di nazionalizzare le compagnie petrolifere. I lavoratori hanno semplicemente visto con i loro occhi a cosa stava portando la privatizzazione e l’acquisizione da parte dei capitalisti stranieri. Nel corso di queste prime manifestazioni, hanno acquisito un’enorme esperienza in termini di metodi di lotta e solidarietà. Vivere nel deserto ha fatto sì che le persone restassero unite. È poi stato in questo contesto che la classe operaia e il resto della popolazione si sono unite. Le proteste dei lavoratori a Jañaözen e Aktau hanno poi dato il tono ad altre regioni del paese. Le yurte e le tende, che i manifestanti hanno cominciato a montare nelle piazze principali delle città, non sono state affatto prese dall’esperienza di “Euromaidan”: erano presenti nella regione di Mangghystau durante gli scioperi locali dell’anno scorso. La popolazione stessa ha portato acqua e cibo per i manifestanti”.

Non solo i lavoratori della regione di Mangghystau non sono in combutta con l’imperialismo statunitense, ma hanno una ricca tradizione di lotta contro le multinazionali con sede in Occidente! Questo non vuol dire che non ci siano organizzazioni borghesi “liberali” e nazionaliste che cercano di capitalizzare il movimento, ma una cosa è certa: non l’hanno fatto partire loro e non ne hanno il controllo.

 

Il Kazakhstan, la Russia e l’Occidente

Non sarebbe corretto presentare il Kazakhstan come un paese dominato dalla Russia. Il regime kazako di Nazarbaev ha passato 30 anni in un gioco di equilibrio tra la Russia, gli Stati Uniti, la Cina e anche la Turchia, mettendo una potenza contro l’altra per ottenere il miglior accordo per sé. In effetti, non è la Russia, ma gli Stati Uniti, grazie agli investimenti di Chevron e ExxonMobil, che sono al primo posto tra gli investitori stranieri in Kazakhstan. La stessa Chevron è il più grande investitore in Kazakhstan.

Nel frattempo, la maggior parte della grande ricchezza dell’establishment kazako è depositata all’estero in Occidente e nei paesi del Golfo. La principale arma politica interna di Nursultan Nazerbayev non era la propaganda anti-occidentale, ma il nazionalismo kazako anti-russo, che ha portato a una frattura pericolosa tra i kazaki e i russofoni del paese.

Non c’è nessun presunto complotto da parte dell’imperialismo statunitense per entrare in Kazakhstan – è già lì e sta traendo profitto dalla sua presenza! Lo stesso vale per la classe dominante del Kazakhstan. Questa relazione è stata rivelata chiaramente nella dichiarazione sommessa del portavoce del Dipartimento di Stato USA, Ned Price, che ha detto che gli USA “…spera[no] che il governo del Kazakhstan sia presto in grado di affrontare problemi che sono fondamentalmente di natura economica e politica”. Price ha continuato a sottolineare che gli Stati Uniti sono un “partner” del paese dell’Asia centrale!

Il segretario di Stato americano Antony J. Blinken, che ha parlato con il ministro degli Esteri del Kazakhstan Mukhtar Tileuberdi, “ha ribadito il pieno sostegno degli Stati Uniti alle istituzioni costituzionali del Kazakhstan e alla libertà dei media e ha auspicato una soluzione alla crisi pacifica e rispettosa dei diritti”. Queste non sono le parole di una potenza imperialista bellicosa che cerca di farsi strada a forza in Kazakhstan, ma di una potenza imperialista che è irritata per la futura stabilità di quel paese, e per la capacità del regime kazako di garantire la sicurezza dei suoi interessi. Semmai, rivela l’impotenza dell’Occidente ad intervenire, anche se volesse farlo.

Nel frattempo, la Russia osserva nervosamente gli sviluppi in Kazakhstan. In modo simile al recente movimento di massa in Bielorussia, il movimento kazako rappresenta una minaccia per la stabilità della Russia, dove le masse subiscono condizioni simili. Così, l’intervento delle forze russe ha un importante scopo interno. Questo non significa, tuttavia, che Putin non chiederà un certo “risarcimento” per salvare il regime kazako, proprio come ha chiesto obbedienza al regime bielorusso. Tuttavia, gli Stati Uniti non saranno in grado di fare nulla al riguardo. Piuttosto, è probabile che diventino sempre più dipendenti dalla Russia per proteggere i loro interessi nel paese.

Quale soluzione?

Quello a cui stiamo assistendo non è una rivoluzione “colorata”, una cospirazione della CIA, né uno scontro tra diversi settori della classe dirigente kazaka. È un autentico movimento rivoluzionario dei lavoratori, dei giovani, dei poveri e dei diseredati.

Si basa sul programma e sui metodi organizzativi di lotta sviluppati dai settori più avanzati della classe operaia industriale. Questi metodi (scioperi, presidi di massa, ecc.) e un programma di richieste economiche, sociali e democratiche sono stati molto efficaci, come dimostra la velocità con cui il movimento si è sviluppato, minacciando di far crollare l’intero edificio dello stato in quattro giorni.

Tuttavia, la questione della direzione e dell’organizzazione rimane la principale debolezza del movimento. Senza un’organizzazione nazionale della classe operaia, il movimento è stato incapace di estendere gli scioperi al livello di uno sciopero generale nazionale e rivoluzionario; o di rispondere alle rapide manovre del regime. Non è riuscito nemmeno a organizzare una campagna sistematica per conquistare in modo decisivo i russofoni, che costituiscono poco meno del 20% della popolazione.

Nel prossimo periodo, soprattutto se assisteremo a un passo indietro generale di larghi settori delle masse dalle manifestazioni di piazza, elementi liberali borghesi cercheranno senza dubbio di dirottare ciò che resta del movimento. Data la mancanza di un solido partito operaio nazionale e di una direzione che contrastino le loro manovre, potrebbero anche riuscirci. Tuttavia, la lotta tra queste diverse tendenze nel movimento non è determinata in anticipo. Caratterizzare l’attuale movimento come reazionario equivale a capitolare in questa lotta fin dall’inizio. Invece, è necessario che gli elementi rivoluzionari più avanzati traggano le lezioni da questi eventi e comincino la lotta per la costruzione di una direzione rivoluzionaria, basata sugli elementi più avanzati della classe operaia e della gioventù.

Qui, dobbiamo essere in disaccordo con Aynur Kurmanov, che abbiamo citato sopra, il quale sembra suggerire che, se le forze di opposizione liberal-borghesi giungessero al potere, ciò potrebbe in qualche modo andare a beneficio della classe operaia. Nell’intervista di cui sopra, afferma:

“I gruppi di sinistra esistenti in Kazakhstan sono più che altro dei piccoli circoli e non possono influenzare seriamente il corso degli eventi. Le forze oligarchiche e quelle straniere cercheranno di appropriarsi del movimento o almeno di usarlo per i loro scopi. Se ci riusciranno, inizieranno la redistribuzione della proprietà e lo scontro aperto tra i vari gruppi della borghesia, una “guerra di tutti contro tutti”. Ma, in ogni caso, i lavoratori potranno conquistare certe libertà e ottenere nuove opportunità, anche per la creazione di propri partiti e sindacati indipendenti, che nel futuro faciliteranno la lotta per i loro diritti.” (nostra enfasi)

Dobbiamo mettere in guardia da qualsiasi illusione in tal senso. La classe operaia e il movimento rivoluzionario non possono in alcun modo essere visti come promotori dell’arrivo al potere di forze liberali borghesi. Il ruolo dell’opposizione liberale ‘democratica’ è quello di diluire la natura di classe del movimento e le contraddizioni di classe nella società in generale. Come dimostrano l’esperienza della Lega Nazionale per la Democrazia in Birmania, il movimento Maidan in Ucraina e le esperienze di innumerevoli rivoluzioni, il ruolo dell’opposizione liberale è quello di salvare il sistema. Sono i nemici delle masse, e come rivoluzionari dobbiamo lottare contro qualsiasi concessione a queste forze. Qualsiasi collaborazione o anche solo la disponibilità a collaborare con tali reazionari screditerà e minerà il movimento. L’arrivo al potere di un’altra banda di oligarchi capitalisti non risolverebbe nessuno dei problemi delle masse lavoratrici. Indipendentemente dalla loro pretesa di essere “democratici” e “liberali”, non c’è alcuna garanzia che salendo al potere questi signori (molti dei quali facevano parte del regime di Nazabaev non molto tempo fa) non portino avanti le stesse misure e useranno gli stessi metodi, con la messa al bando dei partiti politici di sinistra e dei sindacati, l’incarcerazione degli attivisti di sinistra e dei lavoratori, e con la repressione in risposta alle mobilitazioni di massa

La massa dei lavoratori e dei poveri può contare solo sulle proprie forze per portare a termine la rivoluzione kazaka. In pochi giorni, sulla base di metodi e richieste radicali e proletarie, hanno ottenuto più di quanto qualsiasi ONG liberale avrebbe potuto sognare di ottenere negli ultimi dieci anni. Hanno ottenuto una serie di vittorie e hanno cacciato il governo in carica e il vecchio dittatore. Solo sulla base dell’approfondimento di questa lotta possono prepararsi a portare a termine questo compito e far cadere l’intero regime marcio.

7 gennaio 2022

Nota: Lo striscione dell’immagine in evidenza recita: “Siamo gente normale, non terroristi”, ed è stato esposto ad Almaty il 6 gennaio.

Titolo originale: Kazakhstan: president calls in foreign troops to smash protest movement (Il presidente chiede l’intervento di truppe straniere per schiacciare il movimento di protesta)