Nelle elezioni per l’Assemblea dell’Irlanda del Nord il Sinn Féin si è imposto come primo partito. Con un ragguardevole 29% dei primi voti di preferenza rispetto al 21,3% del Partito unionista democratico (Dup nella sigla inglese), il divario è stato persino più ampio del previsto. A poche ore dalla chiusura dei seggi, l’hashtag #UnitedIreland stava già spopolando su Twitter. Questo risultato è un altro, devastante colpo al prestigio dell’imperialismo britannico e l’ennesimo strappo nel già sfilacciato tessuto del cosiddetto “Regno Unito”.
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Già nel 2017 gli osservatori avevano definito un “terremoto politico” la perdita della maggioranza complessiva dei partiti unionisti a Stormont (sede del governo nordirlandese). A Sinn Féin erano andati appena 1 200 primi voti di preferenza alle spalle del principale partito, il Dup. Adesso ha preso oltre 66 000 primi voti di preferenza in più del Dup (il sistema elettorale dell’Irlanda del nord è a “voto singolo trasferibile”, un sistema proporzionale permette di assegnare più di una preferenza “numerando” i candidati sulla scheda, ndt)
Proprio mentre Boris Johnson faceva il pallone gonfiato sulla guerra in Ucraina, pretendendo di fare la lezioncina a una potenza mondiale sul perché sia sbagliato sottrarre parti di territorio da nazioni sovrane, a sgonfiarlo è bastato il voto in una provincia a sua volta separata da un’altra nazione sovrana dall’imperialismo britannico un secolo fa.
Il Regno Unito è in avanzato stato di decadimento e Westminster non è nella posizione di dare lezioni a chicchessia. Non riesce nemmeno ad esercitare la sua autorità in quello che considera il suo “cortile di casa”.
La BBC si lascia sfuggire la verità
Nel pieno di questa tornata elettorale storica, ci ha sorpreso trovare, nel più insolito dei luoghi, degli spunti sul perché il risultato sia così storico. La BBC, voce dell’imperialismo britannico, lo ha candidamente spiegato ai suoi spettatori:
“Sinn Féin, un partito nazionalista, ha fatto il pieno alle urne. Un risultato che non conosce precedenti nei 101 anni di storia dell’Irlanda del Nord. L’Irlanda del Nord è stata letteralmente progettata, e i suoi confini tracciati di conseguenza, proprio perché ciò non potesse accadere, per avere una maggioranza unionista al suo interno.” (corsivo nostro)
A dirlo è una fonte al di sopra di ogni sospetto: gli imperialisti hanno progettato l’Irlanda del Nord “come uno Stato protestante per un popolo protestante”. E le 36 elezioni succedutesi consecutivamente negli ultimi 101 anni hanno dato la maggioranza a un partito unionista. L’elezione numero 37 ha sconvolto le carte.
I confini di questo Stato furono tracciati secondo una logica soltanto, quella di far rimanere nel Regno Unito la parte più industrializzata dell’Irlanda, preservando, al suo interno, una stabile maggioranza protestante. La minoranza cattolica, di dimensioni considerevoli, fu tenuta in ostaggio: una minoranza soggiogata senza diritti né rappresentanza.
I cattolici furono emarginati, discriminati nel diritto alla casa e al lavoro, tenuti subdolamente fuori dal potere, e soggetti a ogni genere di repressione. I protestanti venivano nel frattempo istigati a schierarsi contro i loro vicini cattolici.
Il sistema unionista spaventava i protestanti. Prefigurando gli orrori che si sarebbero verificati se i loro vicini, carichi di naturale rancore, avessero avuto la meglio, e ogni anno li incoraggiava a partecipare alle manifestazioni e ai falò che in teoria celebravano le vittorie di re Guglielmo III, detto King Billy (XVII secolo), in realtà veri e propri circhi dell’intimidazione. Queste manifestazioni (oggi chiamate “culturali”) dovevano mandare un messaggio ai cattolici: “Ricordate, voi state sotto e noi, i protestanti, stiamo sopra”.
Dunque la BBC ci ha visto giusto, per una volta! Questo voto non doveva accadere, nel senso più letterale del termine. È una totale rottura con il disegno settario dell’imperialismo britannico. In quella caricatura della democrazia che è l’Irlanda del Nord, un partito nazionalista non avrebbe mai dovuto vincere.
E ora che invece la vittoria l’ha ottenuta, per lo staterello si annuncia una crisi costituzionale, mentre una crisi psicologica incombe su un unionismo già lacerato dalla crisi.
Damigelle del Sinn Fèin? “Mai! Mai! Mai!”
In termini formali (ma solo formali!) queste elezioni non cambiano nulla.
A prescindere dal vincitore, tutti i partiti sono obbligati a formare una coalizione. L’esecutivo viene poi formato sulla base di una collaborazione tra i partiti nazionalisti e unionisti. Il primo partito uno dei due campi settari nomina il primo ministro (First Minister), e il primo partito dell’altro campo nomina il vice primo ministro. Se non ci riescono, cade l’esecutivo. Oh, e nonostante la terminologia, il primo ministro e il vice hanno esattamente gli stessi poteri.
Questa configurazione favorisce lo status quo e dà all’unionismo potere di veto sulla legislazione. L’Accordo del Venerdì Santo del 1998 ha sempre lasciato le chiavi in mano agli unionisti.
Ma allora che problema c’è dal loro punto di vista?
Con un po’ di persuasione, gli unionisti potrebbero accettare di concedere a Sinn Féin un posto al fondo del tavolo come “vice” di un primo ministro unionista. Ma un “vice” unionista con un nazionalista di Sinn Féin seduto a capotavola come primo ministro? Abominio! Un oltraggio alla dignità dell’unionismo!
Nessun partito unionista sarebbe disposto ad accettarlo. Chi ha illustrato in maniera più esplicita questa posizione è stato Jim Allister della Tuv (Voce unionista tradizionale): “Posso garantirvi che questo partito non sarà mai la damigella di Sinn Féin”.
Sono tali ostentazioni di disprezzo per la popolazione nazionalista e cattolica da parte dei politici unionisti che hanno spinto alle urne più cattolici di quanti ne avremmo visti altrimenti, invogliandoli a dare una lezione a quei rozzi arroganti.
Non che Sinn Féin sia tutto rose e fiori. I candidati di sinistra del Partito socialista repubblicano irlandese (Irps nella sigla inglese) e di People Before Profit (Pbp) sono sì stati schiacciati, così come il Partito socialdemocratico e laburista (Sdlp), di stampo nazionalista, ma Gerry Carrol di Pbp è riuscito a tenere il suo seggio a West Belfast, nella roccaforte di Sinn Féin, conquistato nel 2016 sulla base della crescente rabbia contro le misure di austerità.
Sia pure mascherata dalla polarizzazione sulla questione nazionale, nella società cova un’autentica rabbia contro Stormont (la sede del governo nordirlandese per non avere mosso un dito per risolvere la situazione del servizio sanitario nazionale o il carovita.
In generale, Sinn Féin ha svolto una campagna piuttosto sottotono. Da parte di Michelle O’Neill (candidata del Sinn Féin, ndt) non si sono risparmiati i baci ai bambini e sono fioccate affermazioni da statista sulla “collaborazione con le altre forze politiche”, e poco altro.
Il fatto è che Sinn Féin non aveva bisogno di fare una campagna aggressiva. Come ebbe a dire Napoleone: “Non interrompere mai il tuo nemico quando sta commettendo un errore”. E queste elezioni non sono state altro che l’autodistruzione dell’unionismo, che ha fatto ogni errore possibile e immaginabile.
Il Protocollo sull’Irlanda del Nord
“Il Dup è andato molto bene in queste elezioni”, ha detto il leader Jeffrey Dolandson. “L’unionismo ha tenuto duro. Il voto unionista rimane forte… Le nostre basi sono solide e continueremo basarci su di esse”.
Alla faccia del fare buon viso a cattivo gioco! Queste elezioni sono state una catastrofe assoluta per il Dup.
Il partito è arrivato alle elezioni in una situazione piuttosto complicata. Usciva da un anno in cui aveva cambiato tre leader, uno dopo l’altro; l’ultimo era stato umiliato pubblicamente per aver tentato di cambiare casacca passando al Partito unionista dell’Ulster (Uup) poco prima di diventare leader. Infine, il partito era alle prese con la rabbia di coloro che lo incolpavano per il Protocollo sull’Irlanda del Nord.
Negli ultimi cinque anni il Dup ha forzato troppo la mano. Avendo contribuito a tenere in piedi il governo conservatore di Theresa May dopo il 2017, il Dup ha respinto la sua “soft Brexit”, che non avrebbe comportato nessuna frontiera terrestre o marittima fra il Regno Unito e il resto dell’Irlanda. Poi hanno salutato la vittoria di Boris Johnson, il quale gli ha regalato una Brexit con… il Protocollo sull’Irlanda del Nord e una frontiera nel mezzo del Mare d’Irlanda!
A Johnson, dell’assetto delle frontiere in Irlanda, non sarebbe potuto importare di meno, purché fosse riuscito a salire al potere. Il Protocollo gli ha permesso di realizzare la Brexit (“get Brexit done” era un suo slogan elettorale, ndt) in un battibaleno.
Ora il Partito conservatore e unionista sta raccogliendo, con gli interessi, i frutti dei giochi a cui ha giocato in Irlanda del Nord. Agli unionisti è rimasta l’irritante sensazione di essere stati traditi, il che ha accelerato il processo di polarizzazione e frammentazione del loro campo.
Appena prima che si aprissero le urne, il Dup si è trovato preso fra due fuochi: da una parte c’era la richiesta della Voce unionista tradizionalista (Tuv), partito di estrema destra in ascesa, di far cadere l’esecutivo fino al ritiro del Protocollo. Dall’altra parte, invece, lo Upp voleva tenere in piedi il governo.
Il Dup stava perdendo voti in entrambe le direzioni. All’ultimo momento ha fatto cadere l’esecutivo e soi è avvicinato al Tuv nel tentativo di recuperare i suoi elettori più duri e puri, passando parte della campagna elettorale nelle proteste anti-protocollo svoltesi nelle protestante. Ora il Dup si ritrova travolto dal vortice della corrente di un movimento infuriato e guidato da una logica tutta sua.
Traditori e “Lundy”
Durante una protesta contro il Protocollo svoltasi a Lurgan durante la campagna elettorale, poco prima dei discorsi ufficiali, Jeffrey Dolandson e Jim Allister, quest’ultimo leader della Tuv, sono stati visti strappare un manifesto a dir poco minaccioso. Soliti ignoti avevano disegnato un cappio attorno al collo di Doug Beattie, leader dell’Upp, su un manifesto elettorale.
Dopo l’inquietante scoperta, i due leader unionisti sono saliti sul palco e hanno aggiunto la loro voce al chiasso sul Protocollo sull’Irlanda del Nord. Dopo di loro, un altro oratore se l’è presa con Beattie, che era assente, chiamandolo “traditore” e “Lundy”.
Come nel 1689, i lealisti ritraggono i protestanti come una comunità sotto assedio, circondata da traditori
“Non sono né un Lundy né un traditore”, ha risposto un Beattie su tutte le furie dopo essere venuto a conoscenza degli epiteti usati verso di lui a queste proteste di massa.
Per chi non lo sapesse, “Lundy” risale un tenente colonnello del XVII secolo dal nome di Robert Lundy, il cui memoria viene ricordata in un modo ben poco invidiabile.
Nel 1689, durante la Guerra guglielmita, mentre la città di Derry si trovava sotto assedio da parte dei sostenitori del re cattolico Giacomo II, si dice che il colonnello Lundy fece tutto il possibile per sabotare le difese della città dall’interno.
Non è questo lo spazio per discutere del ruolo di Robert Lundy, né se i libri di storia gli abbiano riservato il trattamento che merita. Qualunque sia la verità, la leggenda di Lundy si è guadagnata un posto nella mitologia unionista. Ogni anno l’effige del colonnello viene portata in processione e poi bruciata, quale simbolo di un traditore contro un popolo sotto assedio.
Ora, secondo i lealisti, la storia si sta ripetendo. La popolazione protestante è nuovamente sotto assedio, accerchiata dai nemici, e i suoi politici, come Lundy, si stanno preparando a svenderla. Il Protocollo sull’Irlanda del Nord sarebbe il primo passo. Quello successivo sarebbe un’Irlanda unificata.
Il mostro di Frankenstein del settarismo protestante, aizzato dall’imperialismo britannico, è ora fuori controllo. Si alimenta della sensazione covata dai protestanti appartenenti alla classe operaia – i quali avvertono che i loro territori sono in declino, per i quali la vita è sempre più difficile – di essere stati abbandonati, tanto dal governo di Westminster quanto dai politici che li rappresentano.
Il settarismo vive di questi sentimenti e li usa per creare e rafforzare una mentalità da stato d’assedio. Ai bei tempi andati, la borghesia unionista poteva permettersi di concedere certi benefici materiali relativi agli operai protestanti. Ma più scarseggiano le briciole, meno i politici unionisti hanno da offrire ai lavoratori protestanti, e più devono aggrapparsi alla loro unica ancora di salvezza: la mentalità da stato d’assedio e il fondamentalismo settario che hanno contribuito a istigare.
Aumentare la temperatura politica
“Dobbiamo aumentare la temperatura politica”, ha detto il blogger Jamie Bryson alla stessa manifestazione di cui sopra. “… in modo pacifico e legale”, ha poi aggiunto senza troppa enfasi. “E dobbiamo garantire la massima instabilità politica e sociale”.
I demagoghi lealisti del Nord dell’Irlanda sanno che la regione è lastricata di materiale infiammabile. Gli unionisti potranno anche non avere la maggioranza necessaria ad affossare il Protocollo sull’Irlanda del Nord, ma potrebbero riuscire a creare una situazione nelle strade che risulterebbe indigeribile per lo Stato britannico, costringendolo così a sbarazzarsi del Protocollo.
Non c’è dubbio che i paramilitari lealisti, che operano impunemente nel Nord, abbiano ben ricevuto il messaggio di “aumentare la temperatura” in occasione di queste elezioni. Purtroppo però gli è sfuggita la parte sul “modo pacifico e legale”.
Durante la campagna elettorale i settari hanno fatto esattamente quello che ci si sarebbe aspettato da loro, una volta istigati dalla teppaglia lealista e dai politici unionisti.
Hannah Kenny, candidata di People Before Profit, è stata vittima di un feroce attacco durante la sua campagna a East Belfast: tre uomini l’hanno messa all’angolo e, tenendole il braccio e la gola, l’hanno coperta di invettive. Nel frattempo una candidata del Sdlp ha visto dei vandali strappare i suoi manifesti, venendo poi da loro provocata e apostrofata come “bastarda repubblicana” mentre li inseguiva a Ormeau Park.
Persino il Servizio di polizia dell’Irlanda del Nord (Psni) ha fatto la sua parte per “aumentare la temperatura politica”. Il Partito socialista repubblicano irlandese – candidatosi per la prima volta a West Belfast e Foyle – ha visto i propri candidati e le loro squadre sottoposti a una vera e propria campagna di persecuzione da parte dello Stato.
Polarizzazione
L’inasprirsi delle azioni da parte di un settore degli unionisti è solo una faccia della medaglia. È un’ambiente che va esasperandosi con il montare della rabbia nelle comunità operaie protestanti, sviato da chi vuole sfruttare politicamente quelle stesse comunità.
Ma l’altro lato dello stesso processo di polarizzazione si riflette nell’abbandono di tutti i partiti unionisti da parte di un altro settore di popolazione.
Non solo i partiti unionisti si sono spaccati, ma, al contrario dell’affermazione di Jeffrey Donaldson secondo cui “l’unionismo ha tenuto duro”, il loro primo voto di preferenza aggregato è persino caduto di quattro punti percentuali.
Non è forse una coincidenza che queste cifre corrispondano più o meno a quelle della crescita del Alliance Party. Questo bizzarro partito liberale, che si presenta ufficialmente come né “unionista” né “nazionalista”, è salito al 13,5%, il che ne fa il terzo partito nell’arena politica nordirlandese, davanti all’Uup (11%) e al Sdlp (9%).
Non c’è dubbio che tale voto sia arrivato da alcuni settori di classe media, già a favore della permanenza nell’Unione europea, che sono indifferenti al Protocollo e vogliono stabilità politica e il mantenimento dello status quo.
Ma c’è innegabilmente anche uno strato di giovani protestanti sempre più radicalizzati a sinistra, schifati dal bigottismo dei partiti tradizionali, e senza nessuna forza politica a rappresentarli. Dato il riflesso distorto della politica che passa per Stormont, non c’è dubbio che molti di questi giovani abbiano votato per l’Alliance Party in cerca di qualcuno capace di esprimere le loro aspirazioni politiche.
Tocca a lei, Mr Johnson
L’Assemblea dell’Irlanda del Nord si trova ora a un’impasse. Il Dup è stato chiaro: non si rassegnerà alla vergogna di esprimere il vice primo ministro finché Westminster non straccerà il Protocollo.
Se non altro, qualora dovessero raggiungere questo obiettivo, potrebbero entrare a Stormont sornioni e tranquilli che la supremazia unionista continuerà a regnare, a prescindere se il partito di maggioranza della provincia sarà unionista o meno.
Ostaggio dell’estremizzazione della sua stessa base unionista, il Dup troverà senz’altro difficile entrare a Stormont senza prima passare prima sul cadavere del Protocollo. Fare altrimenti sarebbe un suicidio politico.
Siamo dunque al tramonto dell’Accordo del Venerdì Santo e della condivisione del potere? Forse sì. La palla passa ora a Boris Johnson.
Nel prossimo periodo, Johnson dovrà annullare il Protocollo sull’Irlanda del Nord o rivedere l’Accordo del Venerdì Santo. Secondo un opinionista di The Spectator – il quale sembra essere ben ammanicato con il governo tory – non è scontato che i conservatori non annulleranno il Protocollo e rischieranno una guerra commerciale totale con l’Europa:
“Nel discorso della regina della prossima settimana, facendo uso di un linguaggio il più anodino possibile, verrà annunciata una controversa proposta di legge. Il governo legifererà per proteggere l’Accordo del Venerdì Santo di Belfast nella sua integrità. Queste parole saranno una minaccia in codice all’Unione europea: il Regno Unito è pronto a stracciare unilateralmente le parti dell’accordo sulla Brexit relative all’Irlanda del Nord.”
Se si tratti davvero di una minaccia in codice, l’insider di The Spectator l’ha decodificata per noi:
“‘Pensavamo che l’Ue avrebbe ammesso che non è nell’interesse di nessuno tenere intatto un Protocollo sull’Irlanda del Nord foriero di controversie’, dice un membro del governo. ‘Stanno tornando i fantasmi degli anni ’80. Sappiamo già come va a finire questo film e non possiamo sederci ad aspettare.’”
Come abbiamo già spiegato, è impossibile che l’Ue scenderà a compromessi sulla questione delle frontiere. L’integrità del mercato comune dipende dal controllo delle merci in ingresso e in uscita. Annullare il Protocollo sull’Irlanda del Nord potrebbe portare l’Ue a rispondere con una guerra commerciale totale, forse facendo crollare l’accordo sulla Brexit, e sostituendo una frontiera terrestre alla frontiera marittima. “Johnson è disposto a rischiare tutto questo?”, si domanda l’opinionista di The Spectator. E si risponde anche:
“Ci sono segnali che lo sia. Il primo ministro fa i propri calcoli politici. I momenti della sua massima autorità politica sono arrivati quando ha chiamato a raccolta le forze del Leave: pensiamo al referendum del 2016 e alla campagna per le elezioni del 2019, dominata dal tema Brexit.”
Boris Johnson rischierebbe dunque una guerra commerciale con l’Europa e danni catastrofici per il capitalismo britannico? La risposta a questa domanda potrebbe dipendere dalle alterne fortune della sua carriera.
Johnson si è senz’altro dimostrato capace di mosse simili in passato. Trovandosi ora in una situazione politica molto difficile, potrebbe essere pronto ad accendere un altro candelotto di dinamite nelle fondamenta del capitalismo britannico per prolungare di un po’ la propria carriera politica. È un atto d’accusa all’imperialismo britannico il fatto che l’intera unione sia stata messa in pericolo dagli interessi a breve termine dei suoi rappresentanti politici. E non c’è motivo di credere che questa miopia non ci lascerà anche a lungo termine!
Per un’Irlanda unita e socialista!
La vittoria di Sinn Féin sferra un colpo travolgente all’imperialismo britannico e alla sua unione. L’imperialismo britannico ha cercato di schiacciare l’Ira, e con essa tutta la popolazione cattolica, facendo ricorso ai metodi più brutali, ma ha fallito. Ora, appena 28 anni dopo il cessate il fuoco dell’Ira, l’imperialismo britannico e l’unione sono stati umiliati da Sinn Féin.
Questa sconfitta ha acceso enormi speranze. L’idea di un primo ministro di Sinn Féin al Nord che possa, nel giro di qualche anno, stringere la mano a un taoiseach (capo del governo, ndt) di Sinn Féin al Sud, ha rinfocolato le aspettative di chi vede una possibile unificazione irlandese a portata di mano. Michelle O’Neill ha parlato di riunificazione dandosi un calendario di 5-10 anni.
È ora di gettare le basi della lotta per l’unificazione irlandese. Sarebbe però sciocco pensare che la classe dominante britannica permetterà all’unità irlandese di entrare nei libri di storia nella veste di un trionfo reso possibile da un voto legale e pacifico. Johnson e i conservatori, mossi dai loro più bassi interessi immediati, potrebbero anche bloccare una via pacifica all’unificazione, come dimostrano le citazioni su riportate.
Dal canto suo il settarismo lealista, rimasuglio del colonialismo britannico che si approfitta dell’alienazione delle comunità protestanti, non se ne starà docilmente a guardare il trionfo pacifico dell’unificazione irlandese. I suoi rappresentanti preferirebbero vedere la regione in fiamme.
Per battere i fondamentalisti settari e costruire un fronte per l’unificazione irlandese in grado di andare oltre le divisioni serve trovare un programma che faccia appello ai lavoratori di entrambe le comunità.
Nel Sud l’ascesa di Sinn Féin è legata più alla questione di classe che alla questione nazionale. La sua crescita si basa su una retorica di sinistra riguardo il diritto alla casa, la sanità e il far pagare i ricchi (anche se con tasse moderate sulle multinazionali e le banche). Un simile programma potrebbe essere d’impatto anche per il Nord, dove però Sinn Féin non sarebbe molto credibile nemmeno con un programma di sinistra così mite. Dopotutto è stata al governo per dieci anni e ha applicato le politiche di austerità!
Quel che serve è un programma di classe. L’unità di classe si può forgiare solo attraverso la lotta di classe: nella lotta contro il carovita, per salari più alti e condizioni migliori, i lavoratori cattolici e protestanti cominceranno a capire chi sono i loro veri alleati – e il loro vero nemico: la classe capitalista.
Attraverso la lotta di classe, i lavoratori di entrambe le comunità possono abbattere la diffidenza che li separa e spianare veramente la strada all’unificazione. Una strada che passa per la rivoluzione socialista e termina con la formazione di un’Irlanda unita e socialista, parte della rivoluzione socialista mondiale.