Le proteste in Iran, scatenate dall’omicidio della giovane curda Mahsa Amini, si sono estese ad almeno 140 città in tutte le province del Paese. Si è trasformata in una rivolta nazionale, incomparabile con qualsiasi altro movimento precedente nella storia della Repubblica islamica.
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Il regime ha risposto con una dura repressione: chiudendo l’accesso a Internet e mobilitando quasi tutte le sue forze di sicurezza: la polizia, le unità di controinsurrezione, la Guardia Rivoluzionaria [leggi: controrivoluzionaria] e le milizie paramilitari basij. Queste forze del regime sparano direttamente in maniera sempre più deliberata sulla folla, con oltre 100 morti accertati. Il numero reale è probabilmente da tre a cinque volte superiore, con altre centinaia di persone arrestate o ferite.
In risposta, i manifestanti si sono difesi. Giovedì, a Teheran, i manifestanti armati di bastoni e aste di metallo hanno allontanato le forze di sicurezza, per poi prendere d’assalto l’ufficio del pubblico ministero, costringendo i dipendenti e le forze di sicurezza a fuggire per la paura. A Qeshm, come in molte altre città, giovedì sera i manifestanti hanno preso d’assalto l’ufficio dell’Imam della preghiera del Venerdì, dandolo alle fiamme; un manifestante ha esclamato: “Avete torturato il popolo per 40 anni – questo è il risultato”.
Le proteste più violente si svolgono a Teheran e nei sobborghi circostanti, nonostante queste aree siano sottoposte alla repressione più dura, con una campagna di arresti imponente di studenti rivoluzionari. Questo non ha fatto altro che dare più forza i manifestanti. Venerdì, in pieno giorno, i manifestanti hanno bruciato immagini dell’ayatollah Khamanei davanti alla sua abitazione. In risposta alla dura repressione, a Teheran è diventato comune l’uso di molotov.
La frusta della reazione
Fin dall’inizio di questo movimento, il regime è stato quasi completamente sopraffatto. Lo abbiamo visto nella città curda di Sandanj, dove il regime ha dichiarato la legge marziale e ha represso il movimento mercoledì sera, ma una folla di giovani hanno iniziato a riversarsi nelle strade giovedì sera, travolgendo tutti i posti di blocco e respingendo le forze di sicurezza.
A Teheran e nei dintorni, le proteste sono state disperse, per poi riprendere in un’altra zona della città. Il regime non riesce a tenere il passo di una gioventù sempre più combattiva. Abbiamo visto questo stesso schema generale in tutto l’Iran, in cui la repressione da parte del regime non fa altro che scatenare le proteste in un’altra parte della stessa città: a volte nel giro di poche ore, a volte quasi immediatamente.
Non potendo affrontare direttamente i manifestanti, il regime è stato costretto a far girare le proprie forze di sicurezza in incognito, in abiti civili. Anche questo si è ritorto contro, con i manifestanti che hanno liberato i detenuti sequestrati dagli agenti di sicurezza in abiti civili, spesso dopo aver circondato le forze di sicurezza e picchiate a terra.
Anche l’arresto dei manifestanti facendo irruzione nelle loro case sta diventando difficile. Ad Anzali, ad esempio, le forze di sicurezza hanno tentato di arrestare i giovani nelle loro case, ma i genitori e i vicini li hanno buttati fuori dall’edificio.
Proprio come le proteste dei giovani nel 1978, preludio della rivoluzione iraniana del 1979, i funerali delle persone uccise dalle forze di sicurezza si sono trasformati in manifestazioni combattive, con discorsi che invocano la caduta del regime.
Ogni scontro, ogni arresto e ogni martire non ha fatto altro che alimentare la rabbia delle masse. In un solo giorno, da mercoledì a giovedì, le proteste si sono estese ad altre 50 città. A questo punto le città da coinvolgere sono finite, il che significa che il movimento si sta diffondendo nei paesi e persino nei piccoli villaggi!
Il movimento non deve essere sconfitto: per uno sciopero generale!
Dal 2018 in Iran è in corso un periodo di rivolte e di scioperi e proteste continui, ma il movimento in corso è più grande in termini di dimensioni e combattività di tutte le rivolte precedenti. L’occupazione e l’incendio di edifici governativi, mentre le forze di sicurezza vengono sopraffatte in quasi tutte le principali città, è un salto di qualità rispetto a quanto visto in precedenza. Sono gli stessi metodi visti durante il preludio della Rivoluzione iraniana del 1979.
Nonostante lo stato d’animo combattivo dei giovani in prima linea, se questo movimento rimane isolato, col tempo il regime guadagnerà terreno in una lotta lunga, prolungata e sanguinosa, che potrebbe durare giorni o addirittura settimane. Solo la classe operaia, grazie al suo ruolo nella produzione, è in grado di bloccare l’economia, di stroncare il regime e di impedirgli di scatenare il terrore necessario per mantenere il suo dominio.
Mentre molte delle organizzazioni operaie indipendenti che si sono formate nell’ultimo periodo di lotta hanno fatto circolare dichiarazioni di solidarietà con le proteste, purtroppo solo la Workers of Tehran and Suburbs’ Bus Company (che rappresenta gli autisti di autobus) ha finora indetto uno sciopero generale.
Il regime non ha nulla da offrire alle masse se non le peggiori forme di oppressione, povertà e terrore. Per la classe operaia iraniana resta quindi una sola strada da percorrere: una lotta politica senza quartiere contro la Repubblica islamica. Non è più tempo di semplici dichiarazioni di solidarietà.
La situazione attuale richiede niente di meno che uno sciopero generale per rovesciare la marcia Repubblica Islamica!
Le organizzazioni dei lavoratori devono lanciare immediatamente lo slogan dello sciopero generale in ogni settore dell’economia. Devono chiedere la formazione di consigli di fabbrica, di quartiere, nelle scuole e nelle università per porre la direzione di questa lotta su una base organizzata, e generalizzarla in tutto il Paese.
Di fronte a un movimento di massa così organizzato, la Repubblica islamica sarebbe completamente impotente e verrebbe rapidamente rovesciata.
Abbasso la Repubblica islamica! Abbasso il capitalismo!
Il movimento si sta dirigendo verso una decisiva resa dei conti con il regime, che si svolgerà nei prossimi giorni.
A prescindere dall’esito dell’attuale rivolta, le masse, e soprattutto i giovani, stanno recuperando le tradizioni rivoluzionarie del movimento operaio iraniano. In molte università esistono gruppi studenteschi rivoluzionari, che si ispirano alle organizzazioni comuniste che esistevano prima del 1979. Molti di questi gruppi hanno agito in maniera decisa nelle proteste in corso, ma il loro compito è più grande.
La gioventù rivoluzionaria iraniana, ispirata alle idee del marxismo, deve diventare il settore più determinata del movimento in corso, lanciando in maniera sistematica appelli allo sciopero generale e ai consigli dei lavoratori. Ma devono anche spiegare pazientemente che l’unica strada percorribile è il rovesciamento della Repubblica islamica e del capitalismo iraniano.
Tutte le rivendicazioni incluse nello slogan popolare “donne, vita e libertà” – vale a dire il ritiro delle misure di austerità, l’erogazione di un salario minimo di sussistenza e di pensioni dignitose, i diritti democratici di sciopero, di protesta e di riunione, la legalizzazione di sindacati indipendenti e la vera uguaglianza tra i sessi – possono essere garantite alle generazioni future solo con l’abolizione del capitalismo.
I banditi capitalisti iraniani non hanno nulla da offrire se non povertà e dittatura. La caduta della Repubblica islamica deve diventare il primo passo per la presa del potere da parte della classe operaia iraniana. Per farlo, è necessario iniziare a costruire una direzione rivoluzionaria, forte della teoria marxista, con un programma audace volto alla trasformazione socialista della società.