Il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale: Netanyahu sarà portato in tribunale?

Ieri i media di tutto il mondo sono stati scossi dalla notizia inattesa che il procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Karim Khan, ha richiesto un mandato di arresto con l’accusa di crimini di guerra nei confronti di Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele, e per Yoav Gallant, ministro della Difesa di Israele.

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L’accusa contro di essi include:

– Affamare i civili come mezzo di guerra;
– Provocare intenzionalmente grande sofferenza, o grave danno al corpo o alla salute;
– Omicidio intenzionale;
– Dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile;
– Sterminio e/o omicidio;
– Persecuzione;
– Altri atti disumani considerati crimini contro l’umanità.

Se i mandati venissero emessi, ciò significherebbe che i 124 Stati che riconoscono la CPI sarebbero obbligati ad arrestare e trasferire queste persone, una volta messo piede sul loro territorio. La grande domanda è: questi mandati verranno mai emessi? È una domanda spinosa.

In tutta la sua storia, questa è la prima volta che la Corte prende in considerazione di emettere un mandato di arresto nei confronti di un paese che non solo intrattiene rapporti amichevoli con gli Stati Uniti, ma è persino uno dei suoi principali alleati e complici criminali.

L’ufficio di Karim Khan, il procuratore capo, ha indagato i crimini commessi in relazione agli obblighi legali di Israele nella Striscia di Gaza. Israele combatte da tempo contro le critiche internazionali alla sua campagna militare nella Striscia di Gaza, che ha ucciso più di 35mila persone e creato 1,7 milioni di profughi. Inoltre, ha ignorato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un immediato cessate il fuoco entro aprile.

La Corte Internazionale di Giustizia [CIG, corte dell’Onu, da non confondere con la Corte Penale Internazionale di cui sopra, Ndt] ha disposto “misure immediate ed effettive” per proteggere i palestinesi nella Striscia di Gaza occupata dal rischio di genocidio, garantendo “sufficiente assistenza umanitaria e attivando i servizi basilari”. Israele non ha preso neanche le misure minime per soddisfare questa richiesta.

L’ordine di fornire aiuti era una delle sei misure provvisorie disposte dalla CIG il 26 gennaio, che aveva concesso a Israele un mese per rendere conto della sua osservanza di queste misure. In quel periodo, Israele ha continuato a ignorare i suoi obblighi, in quanto potenza occupante, di garantire che i bisogni primari dei palestinesi a Gaza venissero soddisfatte.

Bene. Ma cosa è stato fatto al riguardo?

Né Israele né gli Stati Uniti rientrano tra i 124 Stati che riconoscono la Corte Penale Internazionale. Gli Stati Uniti hanno già detto che si oppongono all’indagine della CPI sui presunti crimini di guerra di Israele a Gaza, dicendo che non credono che questo “sia di competenza” della principale corte penale.

Gli Stati Uniti hanno anche difeso Israele nella causa che è stata portata davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, un organismo separato dell’Aja, in cui si accusavano le forze israeliane di commettere un genocidio a Gaza.

Questo è l’ennesimo esempio della relazione incestuosa tra Israele e l’imperialismo americano. È precisamente questo appoggio incondizionato e permanente che ha permesso a Israele di uccidere -nel vero senso della parola – impunemente per decenni.

È questo a dare a Netanyahu e alla sua cricca quel senso di assoluta invulnerabilità che guida ogni loro azione, fino a includere un atteggiamento aperto di sfida nei confronti degli stessi Stati Uniti. Netanyahu sente di avere il diritto di sputare in faccia al presidente di quel paese, per il semplice motivo che Joe Biden non ha mai voluto prendere alcun passo decisivo per impedire alla cricca dominante di Israele di fare tutto ciò che vuole.

L’uomo alla Casa Bianca può incolpare solo se stesso per questa situazione. L’ha creata con le proprie mani, con le sue azioni totalmente idiote dopo il 7 ottobre dello scorso anno. In quella situazione, era inevitabile che Washington esprimesse il suo appoggio a Israele, difendendo il suo “diritto alla difesa”. Ma Joe Biden è andato ben più in là.

In una mossa completamente senza precedenti, il vecchio della Casa Bianca è saltato su due piedi su un jet ed è corso da Netanyahu, abbracciandolo pubblicamente di fronte alla telecamere, promettendo di fornire a Israele un appoggio incondizionato.

Una simile sceneggiata inopportuna era completamente fuori luogo e totalmente evitabile. Avrebbe tranquillamente potuto inviare Tony Blinken o uno qualunque dei suoi altri lacchè per trasmettere un messaggio formale di appoggio a Israele. Tuttavia, facendo questo passo, egli ha legato permanentemente le mani alla politica estera americana e ha gonfiato l’ego di Netanyahu e della sua cricca, che a questo punto hanno libero gioco di fare assolutamente tutto quello che volevano.

Nelle parole del celebre diplomatico francese Tellayrand, “C’est pire qu’un crime, c’est une faute” – “è peggio di un crimine, è un errore”. E l’imperialismo americano sta pagando da allora questo stupido errore. Peraltro, questo è semplicemente un esempio estremo delle politiche che Washington persegue da decenni.

Le amministrazioni americane che si sono susseguite – tanto repubblicane quanto democratiche – hanno perseguito una politica di appoggio ininterrotto ad Israele. Questo ha fornito alla cricca dominante di Israele un senso eccezionale di impunità. Questi uomini al potere sono ben consapevoli che, non importa quanti crimini commettano – e i loro crimini sono innumerevoli e mostruosi –, essi non verranno chiamati a risponderne. I loro amici a Washington si assicureranno che ciò non avvenga.

L’interdipendenza tra gli Stati Uniti e Israele è ancora più grande oggi che in qualunque altro momento del passato. Quest’ultimo è ora l’unico alleato affidabile di cui l’imperialismo americano dispone nella regione. Regimi prima obbedienti, come quelli di Arabia Saudita e Turchia, sono gradualmente diventati insofferenti rispetto all’atteggiamento arrogante e dispotico di Washington. Si stanno orientando sempre più verso una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti, il che inevitabilmente significa scivolare nella sfera di influenza di Russia e Cina.

Il cieco attaccamento a quello che non è altro che un appoggio incondizionato a Israele è pertanto diventato una chiave di volta ancora più importante della politica americana nel Medio Oriente. Ciò viene ulteriormente incoraggiato dalla potente lobby ebraica e “cristiano-sionista”, che conta sull’appoggio di fondi illimitati e di quella che, per qualche strano motivo, viene chiamata “stampa libera”.

Tuttavia, questa politica non è priva di rischi considerevoli. Il Medio Oriente è un campo minato nel quale l’irrisolta questione palestinese agisce come un potenziale detonatore permanente. Gli eventi degli ultimi sette mesi hanno mostrato quanto la situazione possa diventare pericolosa.

Per Benjamin Netanyahu, gli eventi sanguinosi del 7 ottobre sono caduti come una manna dal cielo. Gli hanno fornito la scusa perfetta per fare quello che intendeva fare fin dall’inizio: lanciare una guerra devastante contro Gaza, con lo scopo di sradicare Hamas.

Ma sette mesi dopo, egli non è riuscito a raggiungere nessuno dei suoi obiettivi. Gaza è stata praticamente distrutta e migliaia dei suoi abitanti uccisi. Ma Hamas, benché indebolito, non è stato sconfitto e continua a resistere. Gli ostaggi non sono stati rilasciati e Israele si ritrova più isolato a livello internazionale di quanto non sia mai stato dall’epoca della sua fondazione.

Per molti mesi, Benjamin Netanyahu ha ignorato le critiche internazionali nei confronti di Israele, sapendo bene che il Presidente dell’America gli aveva offerto “incrollabile appoggio”. Egli ha un unico scopo in tutto ciò. E quale esso sia è subito detto: salvarsi la pelle.

La sua posizione come primo ministro è estremamente instabile. Infatti, il consenso nei suoi confronti sta crollando rapidamente e ci sono fratture aperte che stanno emergendo nella coalizione di guerra. Se hai la Casa Bianca alle tue spalle, che importa della Corte Internazionale di Giustizia, dei Sudafricani o degli studenti dell’Università della Columbia?

Ma persino l’amministrazione Biden ha i suoi limiti. L’ondata di rivolta negli Stati Uniti sta crescendo giorno dopo giorno. La ribellione degli studenti è scoppiata apparentemente dal nulla e ha acquistato forza nonostante la repressione brutale, o persino a causa di essa. C’è un malcontento crescente nelle fila del Partito Democratico e anche all’interno della stessa amministrazione.

La determinazione del governo di Netanyahu nel tirare dritto con un attacco in piena regola su Rafah ha, alla fine, spinto gli Stati Uniti ad aumentare la pressione su Israele e persino a interrompere alcuni degli aiuti militari che invia al paese. Ma tutto ciò non ha sortito assolutamente alcun effetto.

Netanyahu ha risposto alla decisione americana con uno sprezzo insolente e con spavalderia. Israele sta procedendo con il suo attacco a Rafah utilizzando il suo arsenale già formidabile. Si vanta del fatto che nessuna potenza esterna può impedire alla sua nazione di difendersi come ritiene opportuno. Israele “farà da solo” se necessario.

Il ministro israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir ha condannato l’annuncio di Biden, scrivendo su X: “Hamas ama Biden”. Netanyahu in precedenza potrebbe aver dato per assodato che gli Stati Uniti si sarebbero sempre schierati dietro Israele, fornendo il necessario appoggio militare. Ma le azioni di Biden suggeriscono che questo non è più così scontato.

Gli Stati Uniti forniranno sempre a Israele armi difensive, come missili anti-balistici. Ma il rifornimento di munizioni di artiglieria e di potenti bombe per operazioni offensive non può più essere dato per certo. In questo contesto, la dichiarazione della CPI, improvvisa e inattesa, è caduta come una bomba sulla società israeliana.

Riuscendo chiaramente a percepire il fiato dell’imperialismo sul collo, la CPI ha tentato di mantenersi in equilibrio, con l’emissione simultanea di mandati di arresto anche nei confronti dei dirigenti di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh.

Se ciò era inteso ad attutire il colpo e ad evitare le critiche, ha mancato l’obiettivo. Le notizie dell’azione della Corte si sono immediatamente scontrate con un’ondata di indignazione da parte di Israele. La CPI è stata accusata di “cecità morale” da parte dei membri del gabinetto di guerra israeliano.

La ferocia dei commenti fatti da virtualmente tutte le fazioni e i partiti politici indica un livello di sorpresa e di furia che mostra quanto le azioni della CPI fossero completamente inaspettate. Il presidente di Israele, Herzog, ha detto che la decisione della CPI va “ben oltre lo scandaloso” e che “incoraggia i terroristi in tutto il mondo”. Egli ha chiesto rabbiosamente che gli Stati Uniti e gli altri membri di quello che viene chiamato l’“Occidente collettivo” agiscano per evitare che vengano emessi i mandati di cattura.

Le sue parole non sono rimaste inascoltate. Gli Stati Uniti non si sono fatti aspettare a cogliere il suggerimento. La mossa del procuratore della CPI è stata immediatamente condannata dai sostenitori di Israele nel Congresso americano. C’è poco di cui sorprendersi, dal momento che ancora prima che le notizie dei mandati di arresto diventassero pubbliche, erano in corso manovre frenetiche nel Congresso per sabotarli in anticipo.

Il presidente della Camera, Michael Johnson, sostenuto da praticamente tutti i Repubblicani e un bel po’ di Democratici, ha redatto una proposta di legge volta a impedire l’ingresso negli Stati Uniti a qualsiasi funzionario della Corte o a chiunque altro sia coinvolto nel processo. Questo potrebbe avere potenzialmente un effetto molto dannoso sulle stesse Nazioni Unite – una cosa che molti a destra negli Stati uniti e in Israele vedrebbero di buon occhio.

Netanyahu ha definito la decisione della CPI “scandalosa”. Ed ha aggiunto: “Questo non fermerà né me né noi”. Se con ciò intende lo sterminio totale dell’intera popolazione di Gaza e la sua distruzione totale, allora sia!

Gli altri complici criminali di Israele si sono immediatamente uniti al coro di indignazione. Le reazioni in Europa sono state diversificate – variando dall’appoggio a dichiarazioni per cui la decisione è “scioccante” e “incomprensibile”.

Il ministero degli Esteri francese ha detto di aver “avvertito per molti mesi dell’imperativo di una stretta osservanza delle leggi umanitarie internazionali e in particolare della natura inaccettabile delle vittime civili nella Striscia di Gaza e dell’insufficiente accesso umanitario”, aggiungendo che “la Francia appoggia la Corte Penale Internazionale, la sua indipendenza, e la lotta contro l’impunità in ogni contesto”.

Ma a Londra, il portavoce di Rishi Sunak ha detto che i mandati di arresto della CPI non sono “di aiuto” e che non aiuteranno a raggiungere una interruzione dei combattimenti. Sfortunatamente, non ha voluto dirci cosa esattamente aiuterebbe a tale scopo.

Lord Cameron, il ministro degli Esteri inglese, ha già chiarito abbondantemente che crede che Israele non sia colpevole di nulla e di conseguenza la Gran Bretagna continuerà a inviare bombe, munizioni e altri utili strumenti a Israele per aiutarlo a servire la causa della pace e dell’armonia a Gaza.

Dopo alcune esitazioni, il governo tedesco ha provato a coprirsi le spalle con un’ipocrita dichiarazione per cui esso “rispetta” la Corte, ma aggiunge: “La richiesta simultanea di mandati di arresto nei confronti dei dirigenti di Hamas da un lato e di due funzionari israeliani dall’altro dà la falsa impressione di equivalenza”. Esso ha poi enumerato i crimini perpetrati da Hamas e ha espresso appoggio al “diritto a difendersi” di Israele.

Nonostante la sua pubblica ostentazione di spavalderia, Netanyahu è evidentemente molto preoccupato dal fatto che lui e alcuni suoi colleghi possano essere incriminati dalla CPI. Israele vuole che gli Stati Uniti tramino dietro le quinte per fare pressione alla CPI. E ha bisogno anche che gli Stati Uniti forniscano appoggio contro le accuse generalizzate secondo cui Israele ha commesso crimini di guerra o un genocidio.

Nessun problema! Biden ha definito la richiesta di mandati di arresto nei confronti dei leader israeliani da parte della CPI “scandalosa”. Questo è stato solo l’inizio di quella che sarà un’operazione ben studiata e finanziata per impedire alla Corte di emettere qualsiasi cosa che assomigli lontanamente a un mandato di cattura nei confronti di qualsiasi cittadino israeliano.

È del tutto certo che nel giro di poche settimane, la Corte, il procuratore e i giudici verranno sottoposti a una pressione tremenda da parte di Washington per ritirare la richiesta dei mandati di arresto o per respingerli una volta arrivassero a giudizio. Rimane da vedere se questa pressione avrà l’effetto desiderato sulla CPI.

Finora, avevo dato per scontato che la pressione avrebbe avuto come risultato probabile una marcia indietro. Tuttavia, adesso ciò non mi sembra così evidente. La Corte stessa era ben consapevole che qualsiasi decisione di questo tipo avrebbe provocato una reazione violenta dall’altra parte, con conseguenze potenzialmente molto gravi.

Tuttavia, per questo stesso motivo, ce l’hanno messa tutta per fornire un’enorme quantità di fatti e prove solide, dichiarazioni di testimoni, fotografie e filmati, incluse immagini satellitari. Inoltre, hanno messo in piedi una giuria composta da un ampio numero di eminenti avvocati provenienti da paesi differenti, che hanno convalidato la decisione del procuratore.

Di fronte a una tale montagna di prove, se la Corte dovesse fare un passo indietro, si screditerebbe completamente in quanto organismo legale indipendente. Una tale condotta la esporrebbe immediatamente alle accuse di spudorata ipocrisia e di doppiopesismo.

Permettetemi di ricordare che quando Vladmir Putin venne accusato di crimini di guerra in Ucraina (il presunto “rapimento” di bambini ucraini) gli americani e altri si sono precipitati frettolosamente a chiedere l’emissione di un mandato di cattura, cosa che la Corte ha obbedientemente accettato.

Le prove molto scarse fornite in quel caso stagliano in netto contrasto con l’enorme montagna di prove che incriminano chiaramente Israele di crimini di guerra della peggiore specie. Pertanto, che lo voglia o meno, la Corte non avrà alcuna opzione se non quella di accettare le prove incontrovertibili fornite dal procuratore, a meno che non voglia abbandonare completamente qualsiasi pretesa di essere un organismo legale oggettivo e legittimo.

Una cosa è assolutamente chiara. La decisione della Corte non avrà alcun effetto sui calcoli della cricca dominante di Israele o sulla guerra contro la popolazione di Gaza. Se qualcuno pensasse che le azioni della CPI possano avere un qualche effetto nel fermare i massacri e le atrocità che vengono quotidianamente inflitte da tempo agli uomini le donne e i bambini di Gaza, si sbaglia di grosso.

All’incirca nello stesso momento in cui la CPI annunciava la sua decisione, il ministero della Sanità di Gaza diceva che più di 35.562 palestinesi erano stati uccisi nella Striscia dal 7 ottobre e 79.652 feriti nel corso dell’offensiva militare israeliana. Altri 106 palestinesi erano stati uccisi nelle 24 ore precedenti.

Benjamin Netanyahu comprende che arrestare le ostilità adesso vorrebbe dire non solo la perdita del potere politico, bensì la totale caduta in disgrazia, seguita da un processo per corruzione e la fine della sua carriera politica. È pertanto determinato a continuare il suo lavoro da macellaio fino alla suo tragico finale.

Né processi legali, né indagini, né risoluzioni dell’Onu, né qualsiasi altro giochino legale può salvare lo sfortunato popolo della Palestina dalla sua tragica sorte. Questo può essere raggiunto solo dall’azione unita della classe lavoratrice e della gioventù rivoluzionaria in tutti i paesi per rovesciare l’imperialismo – la causa che sta alla radice di tutti questo orrori abominevoli nel mondo.