Un decennio dopo che la rivoluzione del 2010-2011 spodestò l’odiato dittatore Ben Ali, un’ondata di proteste anti-governative ha scosso la Tunisia. Il governo è stato deposto da una congiura di palazzo, ma non si può fare affidamento in nessuna delle fazioni borghesi. Le masse possono affidarsi solo alle proprie forze. È necessario una nuova insurrezione rivoluzionaria da parte dei lavoratori e dei giovani per conquistare un vero futuro.
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In Tunisia, dopo giorni di proteste di massa contro il governo, il 25 luglio è intervenuto il presidente del paese, Kais Saied. Ha licenziato il governo e sospeso il parlamento, assumendo i poteri d’emergenza.
Dispiegando l’esercito nelle strade, Saied ha rafforzato il divieto di riunioni pubbliche e il coprifuoco notturno.
In un discorso alla nazione trasmesso in televisione, Saied ha annunciato che avrebbe assunto i poteri esecutivi del governo e anche le funzioni di Procuratore Generale della Repubblica.
Saied ha inoltre avvertito che “coloro che insultano il capo dello Stato se ne assumeranno pienamente la responsabilità di fronte ai tribunali”. Un avvertimento agli oppositori politici e a chiunque osi mettere in discussione la legittimità di questo provvedimento.
Per scoraggiare qualsiasi ulteriore resistenza, ha aggiunto: “Avverto chiunque pensi di ricorrere alle armi… e chiunque spari, che le forze armate risponderanno con i loro proiettili”.
Dieci anni dopo il rovesciamento dell’odiato Ben Ali, quest’ultima crisi politica sottolinea come il capitalismo sia stato incapace di risolvere i problemi che portarono i lavoratori e i giovani in piazza durante la rivoluzione tunisina del 2010-2011.
La scintilla
La scintilla immediata di questi avvenimenti è una combinazione tra il collasso economico (aggravato dall’impatto della pandemia di Covid-19 in un paese che dipende dal turismo) e la mala gestione della pandemia da parte del governo.
Il golpe di palazzo non emerge dal nulla, ma è il culmine di una crisi politica prolungata. Il sistema politico è stato paralizzato da un conflitto tra il presidente Kais Saied e il governo, controllato dal primo ministro Hichem Mechichi e da Rached Ghannouchi. Quest’ultimo è alla testa del più grande partito nel parlamento: il partito islamico Ennahda, che ha governato la Tunisia in maniera quasi ininterrotta dalla Rivoluzione del 2011.
Oltre allo stallo politico, la Tunisia ha sofferto una crisi economica rovinosa, esacerbata dalla pandemia di Covid-19. Prima che la pandemia scoppiasse, l’economia del paese era già a pezzi. Secondo le cifre della Banca Mondiale, la crescita economica media annua tra il 2011 e il 2019 è stata di un misero 1,5%.
Questo è quanto abbiamo scritto nel 2019:
“L’economia è in stagnazione. Con il 7,5%, l’inflazione è al suo livello più alto degli ultimi 30 anni circa. La disoccupazione rimane complessivamente al 15%, sebbene raggiunga il 30% in alcune delle regioni più povere, con la disoccupazione giovanile al 34%. Più di un terzo dei disoccupati del paese possiede una laurea, la qual cosa ha giocato un ruolo chiave nella sollevazione rivoluzionaria del 2011”.
Questa situazione è il risultato della crisi profonda del capitalismo tunisino. Numerosi governi borghesi (“islamici” o “secolari”) hanno perseguito allo stesso modo una politica di richiesta di prestiti dal Fmi, che sono arrivati con un corollario di imposizioni stringenti: tagli alla spesa pubblica, privatizzazione delle aziende di stato, soppressione dei sussidi sui prodotti essenziali e licenziamenti di massa dei lavoratori del settore pubblico.
Queste politiche hanno ulteriormente aggravato la crisi economica, facendone pagare lo scotto per intero ai lavoratori e ai poveri, oltre che approfondire il dominio dell’imperialismo sul paese.
Durante gli ultimi dieci anni, ci sono state ondate ripetute di proteste di massa da parte dei lavoratori e dei giovani contro una dozzina di governi deboli, che si sono succeduti uno dopo l’altro. La Rivoluzione tunisina rivendicava “posti di lavoro, pane e libertà”. Il rovesciamento di Ben Ali fu una vittoria importante, che le masse conquistarono al prezzo del sangue. Il tiranno se ne andò, ma il regime capitalista rimase intatto.
In seguito, è scoppiata la pandemia, che ha mandato l’economia a picco. Il pil della Tunisia è crollato dell’8,6% l’ultimo anno, e di un ulteriore 3% nel primo trimestre di quest’anno. Il turismo, una delle principali fonti di valuta straniera, è collassato, così come la produzione manifatturiera d’esportazione.
Già a gennaio ci sono state proteste di massa contro la disoccupazione, la corruzione, la cattiva gestione della pandemia da parte del governo, per il lavoro, etc. Le masse stavano chiedendo “la caduta del regime”, come avevano fatto nel 2010-2011.
Poi, è iniziata a giugno una terza ondata letale di Covid-19. Il sistema sanitario, sconquassato da decenni di finanziamenti insufficienti e dieci anni di controriforme e tagli, si è trovato in sovraccarico, con le persone che morivano nei corridoi e fuori dagli ospedali per la carenza di risorse (letti in terapia intensiva, ventilatori polmonari, ossigeno, dispositivi di protezione personale).
Il ministro della sanità ha ammesso che il sistema sanitario è “collassato”. Il numero delle persone uccise dal Covid-19 (ufficialmente più di 18,000) è tra i più alti al mondo in proporzione alla popolazione.
Di fronte a una situazione disastrosa e a un tasso di vaccinazione molto basso, il governo ha deciso di aprire dei centri vaccinali di emergenza durante la festa di Eid al-Adha. Migliaia di persone si sono messe in fila per ore sotto il sole rovente e con temperature da record, solo per tornare indietro per l’assenza di vaccini. Questa è la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Proteste di massa contro il governo sono state convocate per il 25 luglio.
I lavoratori e i giovani entrano in scena
I lavoratori e i giovani sono scesi nelle piazze spontaneamente in tutto il paese. In molte città le sedi dell’Ennahda sono state incendiate dalla folla.
Il presidente Kais Saied, un professore di legge e aspirante despota che è salito al potere sulla base di una piattaforma contro la corruzione, è un abile demagogo che si è avvantaggiato della situazione per intervenire, utilizzando i poteri di emergenza per sospendere il parlamento e licenziare il governo. Si discute molto sui media capitalisti se questa mossa sia costituzionale o no. Questo è irrilevante. Ciò che importa sono i rapporti di forza reali.
Ovviamente, Saied conta sull’appoggio dell’esercito. Fuori dal parlamento sono stati piazzati i carrarmati. Il governo godeva di un sostegno molto ridotto e il primo ministro deposto non ha fatto resistenza, dichiarando che avrebbe volontariamente lasciato il potere.
All’inizio, c’è stato una diffusa soddisfazione tra i protestanti, che esultavano per la cacciata del governo contro il quale stavano lottando. I burocrati sindacali a capo del UGTT hanno applaudito davanti all’azione di Saied. Anche alcuni dei partiti nasseristi [nazionalisti panarabi] hanno espresso il loro sostegno. Questa è una posizione molto pericolosa da prendere.
Il governo capitalista di Ennahda era a buona ragione odiato dalle masse, ma anche Saied è un politico borghese di cui non bisognerebbe fidarsi. La sua elezione nel 2019 è stata in se stessa un rigetto dell’intero processo della “transizione democratica”.
Il primo turno si è caratterizzato per un’astensione di massa e per la sconfitta di tutti i partiti dominanti (sia “laici” che “islamici”). Due “outsider” sono arrivati al secondo turno: il demagogo borghese Saied e il ricco magnate televisivo Karoui che, dietro la sua facciata di “indipendenza”, era in realtà il candidato del vecchio regime di Ben Ali.
Saied, un esperto costituzionalista, ha coltivato una sua immagine di “lealtà ai martiri della rivoluzione”, combinando proposte di “brillanti” riforme costituzionali con un programma reazionario sui temi democratici (uguaglianza di genere, decriminalizzazione dell’omosessualità, etc.).
Saied rappresenta il tentativo di una parte della classe dominante di portare “ordine e stabilità”, di mettere fine alle continue dispute politiche, alla frammentazione del parlamento e di governare il paese con una “mano forte e ferma” … per il profitto del Capitale.
Non è ancora del tutto chiaro quale ruolo abbiano giocato gli attori stranieri nel colpo di mano di Saied, ma possiamo dire con certezza che la Turchia e il Qatar, che hanno sostenuto e finanziato l’Ennahda, ne sono usciti perdenti.
Il Partito dei Lavoratori (Parti des Travailleurs, precedentemente Partito Comunista degli Operai di Tunisia) si è opposto correttamente alla presa del potere di Saied in una dichiarazione dal titolo: “Non si correggerà il cammino della rivoluzione con colpi di stato o con il governo assoluto di un individuo”.
La dichiarazione denuncia correttamente il governo dell’Ennahda deposto “per aver causato devastazione economica, bancarotta finanziaria, corruzione rampante, terrorismo, assassini politici, per aver fatto sprofondare il paese nella dipendenza e nel debito, e per aver distrutto tutti gli aspetti della vita delle donne e degli uomini tunisini”.
Poi aggiunge correttamente: “il cambio sperato non arriverà dall’appoggio al golpe di Kais Saied Né alleandosi con il movimento dell’Ennahda in qualsiasi maniera”.
Tuttavia, il Partito dei Lavoratori si appella poi alle masse: “a continuare a esprimere le proprie posizioni in modi pacifici e a rigettare gli appelli allo scontro”. Fa poi appello a “tutte le forze, i partiti, le organizzazioni, gli attori e le personalità democratiche e progressiste ad unirsi velocemente attorno a un meccanismo di consultazione per formulare una visione unificata”.
Al posto dell’unità delle forze “e delle personalità democratiche e progressiste”, un’organizzazione comunista dovrebbe fare appello ai lavoratori e ai giovani ad affidarsi solo alle proprie forze e ad agire indipendentemente da tutte le fazioni borghesi, per quanto “democratiche e progressiste” esse tentino di apparire”.
Per un nuovo movimento rivoluzionario!
Dieci anni fa, quando le masse tunisine dei lavoratori e dei giovani rovesciarono l’odiato Ben Ali, scrivemmo:
“Se la rivoluzione deve essere portata alle sue conclusioni logiche e le richieste di lavoro e dignità devono essere soddisfatte, l’opulenta classe capitalistica tunisina, le banche, le industrie e le aziende che hanno supportato, sostenuto, finanziato e tratto vantaggio approfittato della dittatura devono essere espropriate. Solo in questo modo, la ricchezza del paese creata dai lavoratori può essere posta sotto il controllo dei lavoratori stessi, al fine di soddisfare i bisogni della popolazione. Le aspirazioni delle masse tunisine possono essere veramente soddisfatte solo attraverso una rivoluzione tanto sociale quanto politica: una rivoluzione socialista” (‘Tunisia: reject the farce of national unity – continue the revolution until victory’, 18 January 2011).
Qui risiede la tragedia della Rivoluzione Tunisina. Il dittatore è stato rovesciato, ma il regime capitalista sotto il dominio imperialista che egli rappresentava è rimasto al suo posto. Come risultato, la situazione delle masse fondamentalmente non è cambiata.
La Tunisia è stata presentata come un modello di “transizione democratica”, completata con un’Assemblea Costituente e una nuova Costituzione. Il paese è stato un “raro esempio di successo”, così ci hanno detto i commentatori borghesi, dal momento che è stato l’unico a non essere sprofondato in una guerra civile o essere ritornato alla dittatura dopo la Primavera Araba.
Ma la gioventù rimane disoccupata, obbligata a intraprendere la strada irta di pericoli della migrazione in cerca di un futuro. Non c’è futuro né dignità per le masse lavoratrici sotto il capitalismo. Queste sono precisamente le condizioni che portarono alla sollevazione rivoluzionaria del 2010-2011. Adesso la situazione è stata ancora peggiorata dall’impatto della pandemia di Covid-19 e dalla maniera criminale con cui il governo ha gestito le vaccinazioni.
Serve una nuova rivoluzione, che spazzi via l’intero edificio del regime capitalista e ponga i lavoratori solidamente al potere. La Tunisia ha avuto la sua Rivoluzione di Febbraio. Ora ha bisogno di una Rivoluzione di Ottobre e, per fare questo, è necessario costruire un Partito Bolscevico.
I lavoratori e i giovani tunisini non devono fidarsi dei politici borghesi. “Correggere il corso della rivoluzione” richiede una nuova sollevazione rivoluzionaria, che ponga la classe operaia al potere e dia inizio alla trasformazione socialista della società: espropriare i capitalisti e le multinazionali, mettere sotto processo i rimasugli del vecchio regime, ripudiare il debito e impiegare le risorse del paese per il beneficio della maggioranza sotto un piano democratico di produzione.
Una tale rivoluzione rappresenterebbe una forza di attrazione potente per le masse di tutto il Maghreb, che dieci anni dopo la Primavera Araba sono ancora desiderosi di posti di lavoro, pane e giustizia.
Il compito più urgente per i settori avanzati dei lavoratori tunisini e della gioventù rivoluzionaria, che hanno mostrato uno slancio, un eroismo e una resistenza straordinari per oltre un decennio, è quello di costruire una tendenza marxista, armata di un chiaro programma socialista rivoluzionario che può condurre la nostra classe alla vittoria.