In un annuncio shock, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato ai media russi di stato: “La NATO, in sostanza, è impegnata in una guerra di procura con la Russia e sta armando quel ‘procuratore’“. In un tono insolitamente acceso, ha accusato la NATO di combattere una guerra per procura fornendo aiuti militari all’Ucraina, proprio in un momento in cui i ministri della difesa occidentali si sono riuniti, ospitati dagli Stati Uniti, in Germania per una serie di colloqui, al fine sostenere l’Ucraina in quello che un generale statunitense ha chiamato un periodo “molto critico”.
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L’obiettivo principale dei colloqui sponsorizzati dagli Stati Uniti è quello di coordinare l’assistenza alla sicurezza di Kiev, che include armi pesanti, come gli obici, così come droni da combattimento e munizioni.
“Le prossime settimane saranno molto, molto critiche”, ha detto Milley. “(gli ucraini)Hanno bisogno di un sostegno continuo per avere successo sul campo di battaglia. E questo è il vero scopo di questa conferenza”.
Ciò segnerebbe una significativa intensificazione della guerra in Ucraina, il che spiega l’ira con cui è stata accolta a Mosca.
Alla domanda sull’importanza di evitare una terza guerra mondiale, Lavrov ha risposto: “Non vorrei sollevare artificialmente questi rischi. Molti lo vorrebbero. Il pericolo è serio, reale. E non dobbiamo sottovalutarlo”.
Ma la cricca di Zelensky a Kiev era in tripudio. Il ministro degli esteri ucraino, Dmytri Kuleba, ha detto che questo dimostra che Mosca ha perso la sua “ultima speranza di impedire con la minaccia al mondo di appoggiare all’Ucraina”.
“Guerra significa guerra”, ha avvertito Lavrov.
Le nuove armi di guerra
In realtà, le misure già prese dagli americani contro la Russia sarebbero state viste in qualsiasi momento del passato come atti di guerra. L’imposizione di sanzioni aveva lo scopo di paralizzare l’economia russa.
Clausewitz diceva che la guerra è solo la continuazione della politica con altri mezzi. Washington ha una nuova variante di questa idea. Oggi, l’economia è solo una continuazione della guerra.
L’imperialismo statunitense ha trasformato il commercio in un’arma di guerra. Ai bei tempi, quando l’impero britannico aveva un problema, mandava una nave da guerra. Oggi, gli americani mandano una lettera del Ministero del Commercio.
Ma le loro sanzioni, tanto decantate, non sono riuscite a mettere in ginocchio l’economia russa e non hanno avuto alcun effetto sui piani di guerra di Putin.
Nella misura in cui hanno avuto qualche effetto, è stato quello di spingere la maggior parte dei russi a fianco di Putin e della guerra. Quando a una giovane donna a Mosca è stato chiesto chi fosse responsabile dell’aumento dei prezzi, ha risposto senza esitazione: “Quelli che hanno imposto le sanzioni”.
Inoltre, le sanzioni sono un’arma a doppio taglio. Hanno già fatto danni molto gravi alla fragile struttura del commercio mondiale, con l’interruzione delle catene di approvvigionamento, causando carenze di molti prodotti di base e facendo salire i prezzi.
Naturalmente, gli americani sono del tutto indifferenti alla carenza di petrolio e di gas in Europa. Hanno le proprie scorte non trascurabili. Ma gli altri paesi non sono nella stessa situazione di comfort
Gli Stati Uniti stanno esercitando forti pressioni su paesi come la Germania per porre fine alla sua dipendenza dal petrolio e dal gas russo. Ma nonostante tutte le affermazioni contrarie, la Germania non riesce a trovare fonti alternative adeguate a prezzi sostenibili.
E, come sappiamo, i principi sono principi, ma gli affari sono affari. Per quanto riguarda la rinuncia a qualsiasi utilizzo del petrolio e del gas russo, la risposta della Germania fa venire in mente le celebri parole di Sant’Agostino: “Signore, rendimi casto – ma non ancora…”
Nel frattempo, la guerra non sta andando bene per l’Ucraina. I russi stanno concentrando le loro forze per un’offensiva totale nel Donbass e Mariupol è a tutti gli effetti caduta.
La disperazione di Zelensky
Non molto tempo fa la macchina della propaganda imperialista insisteva che l’Ucraina stesse vincendo la guerra su tutti i fronti. Ma i fatti puntano in un’altra direzione. Se la Russia vincesse la battaglia del Donbass, sarebbe un colpo decisivo per l’Ucraina, ed è per questo che Zelensky continua a chiedere ai suoi amici della NATO più armi, tra cui carri armati, artiglieria pesante e persino moderni jet da combattimento. Quello che davvero vorrebbe (lo ha ripetuto molte volte) è che la NATO intervenisse direttamente, o con l’invio delle truppe per combattere a fianco del suo esercito, o almeno con l’istituzione della cosiddetta “no-fly zone” sull’Ucraina.
Il presidente ucraino. Sotto assedio, è sempre più indignato dal fatto che i suoi amici di Washington sono pronti a combattere fino all’ultima goccia di sangue ucraino, senza impegnarsi in alcun combattimento in prima persona.
E la sua frustrazione trova sempre più spesso un’espressione pubblica nei suoi discorsi, in cui ripete costantemente il suo desiderio di parlare direttamente con Vladimir Putin (“l’unico uomo che può fermare la guerra”).
Infine, Joe Biden ha deciso di agire. È determinato a mostrare una “forte leadership”, a prescindere dalle conseguenze.
Il segretario alla difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin è stato inviato a Kiev dove ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e altri alti funzionari. Lunedì, parlando in Polonia, ha assicurato che gli Stati Uniti vogliono “vedere l’Ucraina rimanere un paese sovrano, un paese democratico in grado di proteggere il suo territorio sovrano“, il che è molto bello.
Ma ha anche detto un po’ più di quello che intendeva riguardo ai veri obiettivi di guerra dell’imperialismo statunitense, cioè: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto di non poter fare il tipo di cose che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina“.
“Il primo passo per vincere è credere di poter vincere“, e sia gli Stati Uniti che gli ucraini “credono che noi – loro – possono vincere, se hanno il giusto equipaggiamento, il giusto sostegno“, ha detto “E faremo tutto il possibile e continueremo a fare tutto il possibile“.
Si nota con interesse il lapsus freudiano, immediatamente corretto dal segretario alla difesa statunitense. Ha detto che era importante che “sia gli Stati Uniti che gli ucraini credano che noi – loro – possono vincere”.
La parola “noi” si riferisce chiaramente agli Stati Uniti, mentre gli ucraini sono aggiunti a mo’ di ripensamento. E non ci può essere alcun dubbio su quale pensiero fosse prioritario nella mente del signor Lloyd Austin.
La politica cinica dell’imperialismo statunitense
È tutto molto chiaro. In fondo, questa non è una guerra tra Russia e Ucraina. È una guerra per procura tra la Russia e gli Stati Uniti. Questioni come la democrazia, i diritti umani e la sovranità nazionale non sono di minimo interesse per gli imperialisti, se non come terreno di propaganda a buon mercato. Ma sono molto interessati a prolungare la guerra, indipendentemente da tutta la sofferenza umana, poiché sperano che serva a indebolire la Russia.
A differenza degli ipocriti imperialisti, la classe operaia in Occidente prova una autentica simpatia per le terribili sofferenze di milioni di poveri in Ucraina. Donano denaro, vestiti e cibo, che non possono permettersi, per aiutare le vittime della guerra. Aprono le loro case e condividono tutto quello che hanno con i rifugiati senza casa. E questo va a loro merito.
Ma una cosa è esprimere solidarietà con le vittime della guerra. Un’altra cosa è appoggiare, direttamente o indirettamente, la politica cinica dell’imperialismo, che sfrutta il supplizio di milioni di uomini, donne e bambini, prolungando deliberatamente il conflitto per i propri interessi egoistici.
Autodeterminazione?
L’elemento chiave dell’argomentazione dei guerrafondai pacifisti è che dobbiamo difendere la sovranità dell’Ucraina, cioè il suo diritto all’autodeterminazione. Poiché questa è la scusa abituale per sostenere l’Ucraina nella guerra attuale, ci occuperemo prima di questo.
La questione è presentata così: il popolo ucraino ha il diritto all’autodeterminazione. L’Ucraina è uno stato sovrano. La sua sovranità è stata violata da un’invasione brutale lanciata da un vicino potente e aggressivo. Dobbiamo quindi stare dalla parte della vittima contro l’aggressore.
La questione è posta come un semplice bianco e nero. È inoltre sostenuta da ripetuti riferimenti a presunti crimini di guerra e atrocità .
Ma per Marx, Engels e Lenin, la questione nazionale non è mai stata una panacea – una sorta di assegno in bianco che poteva essere incassato da chiunque in qualsiasi circostanza.
Qual è l’atteggiamento marxista nei confronti dell’autodeterminazione? Gli scritti di Lenin trattano questa importante questione in grande dettaglio, e ci forniscono ancora una solida base per affrontare questa complicatissima questione.
Gli argomenti di Lenin sono generalmente conosciuti. Ma, come disse una volta Hegel, ciò che è noto non è necessariamente compreso. Infatti, le proposizioni più “note” sono spesso fraintese per il fatto stesso che sono così familiari che il loro reale contenuto è stato completamente trascurato.
Come sottolineava Hegel, e come citava spesso Lenin, la verità è sempre concreta. Il primo errore è immaginare che si debba difendere l’autodeterminazione in ogni circostanza, come un principio fisso e immutabile. Ma una tale idea non ha nulla in comune con il marxismo e commette due errori fondamentali. Il diritto delle nazioni all’autodeterminazione è una rivendicazione di carattere democratico e i marxisti la sostengono, come sosteniamo qualsiasi altra rivendicazione democratica. Ma il sostegno alle rivendicazioni democratiche in generale non è mai stato considerato dai marxisti come una sorta di Imperativo categorico.
Le rivendicazioni democratiche sono sempre subordinate agli interessi generali della classe operaia e alla lotta per il socialismo.
È sempre necessario valutare le condizioni concrete e imparare a distinguere tra ciò che è progressivo e ciò che è reazionario in ogni dato movimento.
Progressivo o reazionario?
La questione nazionale può avere un contenuto progressivo o reazionario, a seconda delle circostanze concrete, del contesto internazionale e delle implicazioni che ha per i lavoratori coscienti della classe e delle relazioni tra le classi.
Tutti questi fattori concreti devono essere attentamente considerati prima di poter prendere una posizione su una particolare lotta nazionale. Tali lotte possono, naturalmente, avere un ruolo progressivo, come nel caso della lotta dei popoli polacco e irlandese per l’indipendenza nel XIX secolo, o la lotta per l’indipendenza delle colonie schiavizzate in tempi più recenti.
Ma non tutte le lotte nazionali hanno un carattere progressista, e molto spesso la questione nazionale può essere usata come copertura per gli scopi più reazionari.
Al contrario di personaggi come Proudhon, Marx ed Engels hanno tenuto in debito conto la questione nazionale, ma l’hanno sempre considerata subordinata alla “questione operaia“. Cioè, l’hanno sempre considerata esclusivamente dal punto di vista della classe operaia e della rivoluzione socialista.
Così, mentre sostenevano la lotta del popolo polacco per l’indipendenza, poiché questa colpiva lo zarismo russo, il principale baluardo della reazione europea, Marx ed Engels rifiutavano di sostenere la lotta nazionale degli slavi del sud e dei cechi, proprio perché vedevano dietro di loro la lunga mano di San Pietroburgo.
Come Marx, Lenin aveva una posizione molto flessibile sulla questione nazionale, che affrontava sempre dal punto di vista degli interessi generali del proletariato e della rivoluzione internazionale.
Lenin sulla guerra e la questione nazionale
Gli scritti di Lenin sulla guerra e la questione nazionale definiscono la posizione marxista di base su questo tema, che egli sviluppò in modo molto ricco, onnicomprensivo e dialettico. Eppure, anche il minimo sguardo alla letteratura dei gruppi che oggi rivendicano l’eredità di Lenin è sufficiente per convincersi che nessuno legge più Lenin, e se leggono i suoi articoli, non ne capiscono una sola parola.
La dialettica, come Lenin ha spiegato molte volte, tratta i fenomeni in modo complessivo. Astrarre un singolo elemento in un’equazione complessa, e contrapporlo a tutti gli altri elementi di quell’equazione, è un abuso infantile della dialettica, noto alla storia della filosofia come sofisma.
Tali abusi portano ad errori del tipo più grossolano nella logica. E in politica, e in particolare nella politica della questione nazionale, portano direttamente alla difesa di posizioni reazionarie e al abbandono completo del socialismo.
Questo è dimostrato molto chiaramente dalla guerra in Ucraina. Qui vediamo come la totale incapacità dei cosiddetti “marxisti” di comprendere l’atteggiamento marxista verso la guerra li ha portati ad abbandonare completamente la posizione di classe.
Ma l’atteggiamento dei marxisti verso la guerra non può essere determinato da considerazioni sentimentali, tanto meno dalla propaganda isterica con cui gli imperialisti cercano di nascondere i loro veri obiettivi.
C’è un caso specifico in cui Lenin chiarisce che non sostiene il diritto delle nazioni all’autodeterminazione: Considera la rivendicazione di sostenere l’autodeterminazione (anche se era giustificata in sé e per sé), se significasse trascinare le grandi potenze in una guerra, come una proposta mostruosa.
Nel 1916, raccomandò ai polacchi di subordinare la loro lotta per l’autodeterminazione alla prospettiva della rivoluzione in Russia e Germania:
“Lanciare la parola d’οrdine dell’indipendenza della Polonia oggi, nelle condizioni degli attuali rapporti fra le potenze imperialistiche limitrofe, significa veramente correre dietro a un’utopia, cader in un angusto nazionalismo, dimenticare la premessa necessaria, quella della rivoluzione generale in Europa, o, per lo meno, in Russia e in Germania.” (Lenin, L’autodecisione delle nazioni, Editori riuniti, pag 195, corsivo mio AW.)
Questo suggerimento suonò astratto e utopistico a molte persone a quel tempo? Senza dubbio sì. Ma la storia ha dimostrato che Lenin aveva ragione al cento per cento. Fu solo la Rivoluzione Russa a creare le condizioni per la creazione di uno stato polacco indipendente, mentre ogni altro tentativo era finito in un disastro.
Allo stesso modo, in relazione alla lotta dei serbi contro l’Austria durante la Prima Guerra Mondiale, Lenin scrisse quanto segue:
“L’elemento nazionale, nella guerra attuale, è rappresentato solamente dalla guerra della Serbia contro l’Austria (ciò che, fra l’altro, è stato rilevato anche dalla risoluzione della Conferenza di Berna del nostro partito). Solo in Serbia e tra i serbi abbiamo già da parecchi anni un movimento di liberazione nazionale al quale partecipa una “massa popolare” di parecchi milioni e la cui “continuazione” è la guerra della Serbia contro l’Austria. Se questa guerra fosse isolata, vale a dire non collegata con la guerra europea e con gli avidi scopi di rapina dell’Inghilterra, della Russia, ecc., tutti i socialisti avrebbero l’obbligo di desiderare il successo della borghesia serba. Questa è l’unica deduzione giusta e assolutamente indispensabile, derivante dal fattore nazionale della guerra attuale. Tuttavia, è questa conclusione che il sofista Kautsky, che ora è al servizio della borghesia austriaca, dei clericali e dei militaristi, non è riuscito a trarre.
“La dialettica di Marx, la quale rappresenta l’ultima parola del metodo evoluzionista scientifico, proscrive appunto l’esame isolato, vale a dire unilaterale e mostruosamente deformato d’un oggetto. Il fattore nazionale della guerra serbo-austriaca non ha e non può avere alcuna seria importanza nella guerra europea. Se vincerà la Germania, essa si annetterà il Belgio, ancora una parte della Polonia e, forse anche, parte della Francia, ecc. Se vincerà la Russia, essa si annetterà la Galizia, un’altra parte della Polonia, l’Armenia, ecc. Se la guerra sarà “pari e patta”, sussisterà la vecchia oppressione nazionale. Per la Serbia, ossia per questa centesima parte dei partecipanti alla guerra odierna, la guerra è la “continuazione della politica” del movimento di liberazione borghese. Per il resto (99 per cento) la guerra è la continuazione della politica imperialista, ossia della politica di una borghesia giunta allo stato di senescenza, la quale è capace di violentare le nazionalità ma non di liberarle. La Triplice Intesa, “liberando” la Serbia, vende all’imperialismo italiano gli interessi della libertà serba in compenso del suo aiuto per la spoliazione dell’Austria.”. (da “Il fallimento della seconda internazionale”, maggio-giugno 1915)
Questo è abbastanza chiaro. Se prendessimo la lotta del popolo serbo per l’autodeterminazione contro l’imperialismo austriaco in modo isolato dal contesto internazionale generale, dovremmo sostenere i serbi. Ma nel contesto di una guerra europea, che si riduce a una lotta tra diversi gruppi di banditi imperialisti, e in cui le piccole nazioni diventano solo moneta di scambio di questo o quell’imperialismo, non possiamo dare il nostro sostegno.
In particolare, dobbiamo ricordare ciò che Lenin disse sull’inammissibilità di appoggiare la lotta per l’autodeterminazione se ciò significava trascinare i lavoratori d’Europa in una guerra generale.
E nell’attuale momento storico, in che modo l’estensione del conflitto ucraino in una conflagrazione generale europea, o addirittura in una guerra mondiale, potrebbe essere utile agli interessi dei lavoratori d’Europa e della rivoluzione socialista mondiale? Lasciamo che siano i nostri lettori a deciderlo. La verità è sempre concreta.
Sosteniamo l’autodeterminazione ucraina?
Sosteniamo l’autodeterminazione ucraina? Certo che sì. Il popolo ucraino ha il diritto di decidere il proprio futuro come stato indipendente? Rispondiamo inequivocabilmente: sì, hanno questo diritto. Hanno dimostrato il loro diritto di esistere come stato separato per lungo tempo.
Ma questo non esaurisce la questione. Poniamo ora un’altra domanda. Gli ucraini hanno il diritto di opprimere gente di altre nazionalità che vivono sul loro territorio nazionale? Per esempio, hanno il diritto di imporre leggi discriminatorie contro le tante persone in Ucraina che parlano il russo come prima lingua? A questa domanda rispondiamo altrettanto enfaticamente in modo negativo.
Ricordiamoci che una delle prime misure adottate dal regime nazionalista ucraino salito al potere dopo il colpo di stato di Maidan è stata quella di imporre ogni sorta di leggi discriminatorie dirette contro i russofoni. È stato questo, più di ogni altra cosa, che ha portato alla rivolta nel Donbass, che si è conclusa con la divisione delle due aree ribelli a est.
La rapida ascesa dei movimenti nazionalisti ucraini fascisti e di altri estremisti ha anche causato allarme in Crimea, dove la maggioranza è costituita da persone di lingua russa, che non sentono alcuna particolare affinità con l’Ucraina. Ciò si è concluso con la secessione della Crimea, che, nonostante tutta la propaganda sull’annessione russa, è stata sostenuta dalla grande maggioranza degli abitanti di quella regione e approvata successivamente in un referendum.
Così, la vittoria del nazionalismo in Ucraina ha provocato immediatamente l’effetto della perdita di una parte significativa del suo territorio. In seguito hanno tentato di riconquistare le terre perdute a est con una feroce campagna di bombardamenti che ha ucciso migliaia di persone. Questo fatto è stato a lungo ignorato o minimizzato dai media occidentali, ma ha giocato un ruolo significativo nel l’innescare l’attuale invasione.
Una lotta di forze vive
È difficile dire come si stia sviluppando la guerra. Le informazioni sulla situazione militare nei media sono così scarse da essere quasi inesistenti. E le previsioni continue di sconfitte russe devono essere considerate con cautela.
L’ultima spedizione di armi, compreso l’armamento moderno dagli Stati Uniti, può dare un po’ di respiro alla parte ucraina, ma difficilmente compenserà la schiacciante superiorità delle forze russe che sono ora concentrate nel Donbass. Le prospettive per le forze ucraine non sono molto rosee.
Ma la guerra è una lotta di forze vive, e in un senso più ampio, la parte russa potrebbe trovarsi di fronte a difficoltà più gravi. In ultima analisi, il peso della Russia, la sua grande forza industriale e la sua popolazione maggiore devono alla fine prevalere. Ma la guerra non è mai una questione semplice, e ci possono essere ancora molti elementi di complicazione.
La questione del morale può giocare un ruolo cruciale. Secondo tutte i dati disponibili, la guerra ha il sostegno della grande maggioranza delle persone in Russia. Per il momento, almeno, la posizione di Putin sembra sicura.
Tuttavia, secondo le mie fonti in Russia, i livelli più alti di sostegno si trovano tra i settori più anziani della popolazione, mentre il sostegno tra i giovani è solamente del 30-40%. circa. Ma è tra questo settore che dovranno essere trovati i futuri coscritti per combattere in Ucraina.
Per tutte queste ragioni, Putin potrebbe doversi accontentare della conquista di una grande fetta di territorio nel Donbass e lungo la regione costiera. Questo può essere considerato una specie di successo, ma non sarà una vittoria completa e avrà conseguenze negative per la classe operaia di entrambi i paesi.
Un danno terribile sarà stato fatto allo spirito di fratellanza e solidarietà secolare tra il popolo russo e quello ucraino. Gli stati d’animo di reciproca sfiducia, amarezza e sospetto non saranno facili da sradicare.
E su un terreno così velenoso, gli sciovinisti estremi di entrambe le parti possono trarre nuova forza e diventare ancora più aggressivi e arroganti.
Queste sono le ragioni per cui ci opponiamo a questa guerra. Qualunque sia il risultato finale, il bilancio dal punto di vista della classe operaia e della rivoluzione socialista sarà negativo. Tuttavia, tutta la storia dimostra che la nebbia della guerra alla fine si diraderà. La questione di classe tornerà in primo piano, creando condizioni favorevoli al riemergere della lotta di classe sia in Russia che in Ucraina.
Possiamo sostenere Zelensky?
La natura reazionaria del regime di Putin è piuttosto chiara. Ma quella della parte ucraina è stata sistematicamente nascosta dalla macchina della propaganda. I banditi fascisti della brigata Azov, che Washington non molto tempo fa voleva inserire nella lista delle organizzazioni terroristiche, sono ora presentati come eroici combattenti per la libertà e persino difensori della democrazia (!)
Per quanto riguarda la cosiddetta democrazia ucraina: è più apparente che reale. Ricordiamoci che una delle ragioni per cui la NATO ha ritardato l’accettazione dell’adesione dell’Ucraina era a causa di un “deficit di democrazia”.
E la sovranità dell’Ucraina? Anche questo è un mito. La guerra ha mostrato chiaramente che il regime di Zelensky è totalmente dipendente dai padroni stranieri. Gli americani saldano i conti e forniscono le armi con cui sperano che gli ucraini combattano fino all’ultima goccia del loro sangue per difendere gli interessi dell’imperialismo statunitense contro il suo nemico, la Russia. E chi paga l’orchestra sceglie sempre la musica.
L’attuale regime di Kiev è interamente alla mercé dell’imperialismo statunitense. Con tutta la sua spavalderia e i suoi audaci discorsi, Zelensky non può fare nulla e decidere nulla se non ciò che gli viene dettato da Washington. E Washington ha deciso che è meglio che l’Ucraina continui a morire dissanguata per indebolire il suo principale avversario, la Russia. Le vite e le sofferenze del popolo ucraino semplicemente non rientrano nei suoi calcoli.
Questa è una lotta di potere tra l’imperialismo statunitense e la Russia. Solo un pazzo o una canaglia potrebbe negarlo. Purtroppo, non ce ne sono pochi di entrambi i tipi – specialmente in quella che una volta si chiamava “la sinistra”.
Il deterioramento netto della posizione dell’Ucraina sul fronte orientale significa che Zelensky continua a insistere nelle sue richieste, apparentemente ignaro delle conseguenze per il resto del mondo. Come disse una volta Lenin, un uomo in piedi sull’orlo di un precipizio non ragiona.
Giocare con il fuoco
Il rischio di una guerra totale in Europa è qualcosa che gli americani e i loro alleati europei hanno, fino ad ora, trovato troppo terrificante da contemplare. A questo punto, gli interessi dell’imperialismo occidentale e del regime di Zelensky cominciano ad allontanarsi.
Nonostante tutta la propaganda ipocrita e le lacrime di coccodrillo sulle sofferenze del povero popolo ucraino (sofferenze del tutto autentiche, ovviamente), non avevano (e non hanno) alcuna intenzione di correre dei pericoli.
Ricordiamoci dei fondamentali. I capitalisti non fanno la guerra per il patriottismo, la democrazia o altri principi altisonanti. Fanno la guerra per il profitto, per impossessarsi dei mercati stranieri e di fonti di materie prime (come il petrolio), e per espandere le sfere d’influenza.
Una guerra nucleare non significherebbe nessuna di queste cose, ma solo la distruzione reciproca di entrambe le parti. Hanno anche coniato una frase per descrivere questo: MAD (Mutually Assured Destruction = distruzione reciproca assicurata). Questa è una questione che dovrebbe far passare la sbornia anche alle menti più deliranti.
Ma alcuni sembrano essere più in preda al delirio di altri. Joe Biden – mai stato il cervello più acuto di Washington – sembra soffrire di alcuni sintomi di decadimento senile avanzato. È evidentemente ossessionato dalla visione dell’ex presidente Trump, la cui megalomania si esprimeva abitualmente in attacchi di autostima da macho-man – con palese orrore dei suoi consiglieri.
Il tentativo di Biden di calarsi nei panni ingombranti del suo predecessore non sembra particolarmente convincente dal punto di vista delle pubbliche relazioni. Ma le parole pronunciate dal presidente della nazione più potente del mondo avranno inevitabilmente effetti di vasta portata – e non tutti previsti dall’uomo che le ha pronunciate.
Accusare il presidente della Federazione Russa di essere un criminale di guerra non è proprio tipico delle consuetudini della diplomazia o delle buone maniere presidenziali. Dopo tutto, prima o poi, lo zio Joe dovrà sedersi al tavolo delle trattative proprio con l’uomo che ha accusato di essere un criminale.
Persino Zelensky lo capisce. Non c’è da stupirsi che i funzionari della Casa Bianca si siano subito dati da fare per dire che non intendeva veramente dire quello che ha detto. Il giorno dopo l’ha ripetuto. Questo è avere grinta, socio!
Ora Joe, lo spaccone, è andato oltre, provocando Mosca fino al limite della tolleranza. Le conseguenze non tarderanno ad arrivare.
Ma quali saranno? Gli americani hanno spinto le cose a un punto in cui la Russia sarà costretta a rispondere. In diverse occasioni Putin ha ricordato all’Occidente che la Russia possiede sia armi nucleari che il potere di lanciarle a grandi distanze.
È diventato un’abitudine nei media occidentali ritrarre il leader russo, non solo come un criminale di guerra, ma anche come un uomo completamente squilibrato. Ma qualunque cosa si possa dire dell’uomo al Cremlino, non è pazzo, ed è capace di fare valutazioni razionali. Lo stesso non si può dire dell’attuale inquilino della Casa Bianca.
La probabilità che la Russia ricorra presto alle armi nucleari è molto bassa. Ma hanno già avvertito che le consegne promesse di armi sofisticate da parte della NATO saranno prese di mira.
Questo era prevedibile ed è stato spiegato da Lavrov, che ha detto: “Queste armi saranno un obiettivo legittimo per i militari russi che agiscono nel contesto dell’operazione speciale”.
E la Russia può intensificare il suo sforzo bellico in molti modi piuttosto che entrare in un percorso che possa portare alla terza guerra mondiale.
Cosa questo significhi in pratica, solo il tempo lo dirà. Ma come dice la Bibbia: “Si può portare il fuoco sul petto senza bruciarsi le vesti ?
La domanda si risponde naturalmente da sola.
Vladimir Putin – l’erede di Stalin
Alcuni sciocchi hanno l’illusione che in qualche modo Putin rappresenti una forza progressista nel mondo. Questo è il massimo della stupidità. L’attuale stato russo è uno stato borghese? Certo che lo è!
La Russia è ora un regime capitalista, dominato da un’oligarchia rapace che è diventata favolosamente ricca appropriandosi di tutta la ricchezza creata dalla classe operaia sovietica. È governata da una banda di ladri il cui unico interesse è quello di riempire il proprio conto in banca a spese del popolo russo.
Dopo tre decenni, nulla è rimasto di ciò che era progressista nella vecchia Unione Sovietica. La ricchezza del popolo è stata rubata da un branco di ladri e alla sua testa c’è un uomo che imita i peggiori aspetti del marcio regime zarista e del suo erede stalinista.
Ma almeno Stalin, in ultima analisi, si poggiava sulle conquiste storiche della Rivoluzione d’Ottobre: un’economia pianificata nazionalizzata. Ma ora quell’ultima vestigia del passato socialista è stata cancellata.
Vladimir Putin rappresenta gli interessi della classe operaia russa o di quella ucraina? Neanche lontanamente! Egli rappresenta gli interessi dell’oligarchia corrotta e vorace a cui fornisce una base centrale di appoggio e che, a sua volta, lo mantiene al potere.
Da un regime così velenoso non ci si può aspettare nulla di progressista. E la politica estera è solo il riflesso della politica interna. Questo deve essere tenuto ben presente quando si analizza la situazione attuale.
Ricordiamoci le stesse parole che Lenin usò nel suo conflitto con Stalin, che paragonò a “quell’uomo veramente russo, da quello sciovinista sciovinista grande-russo, in sostanza vile e violento, che è il tipico burocrate russo”. Queste parole sono una descrizione molto accurata dell’uomo che ora siede alla scrivania di Stalin al Cremlino.
Come propone Vladimir Putin di risolvere la “questione ucraina”? Con lo stesso mezzo che usa per risolvere ogni problema: con la forza bruta. Questo ex agente del KGB è, in questo senso, un fedele discepolo di Stalin.
Se i lavoratori russi fossero al potere, l’intera situazione sarebbe diversa. Dopo aver spazzato via il dominio di un’oligarchia corrotta e degenerata e aver stabilito una vera democrazia dei lavoratori, la Russia fungerebbe ancora una volta da faro, incoraggiando i lavoratori dell’Ucraina a liberarsi dal giogo dei loro stessi oligarchi ladri e dei loro burattini politici.
Ma il regime di Putin non può avere alcun potere di attrazione per il popolo ucraino. Al contrario, Putin li sta spingendo nelle braccia del nazionalismo reazionario.
Robespierre una volta ha notoriamente osservato che “nessuno ama i missionari armati”. Lo disse in un momento in cui la grande rivoluzione francese era ancora in una fase sana e progressiva. Ma tutto questo cambiò sotto Napoleone, il cui regime oppressivo provocò un’ondata generale di rivolta nazionalista in Europa, che giocò un ruolo chiave nella sua caduta finale.
Non c’è bisogno di prendere per buone le accuse ovviamente calunniose dei media occidentali, a libro paga della borghesia, sui presunti crimini di guerra russi. Né dobbiamo accettare per oro colato tutto ciò che gli stessi media bugiardi dicono sui presunti fallimenti della campagna militare russa.
Ma un regime bonapartista può solo fare la guerra in modo bonapartista. Non è difficile immaginare che un buon numero di problemi nella campagna ucraina da parte della Russia siano collegati alla corruzione endemica, al clientelismo e all’inefficienza di quel regime.
Una vera Armata Rossa combinerebbe la lotta armata con un appello di classe alla classe operaia ucraina. Ma c’è ben poco di tutto ciò. Questo significa che gli ucraini continueranno a opporre resistenza. La guerra sarà inutilmente prolungata e sanguinosa.
Per una posizione di classe!
Per noi la domanda più importante è: quale classe e nell’interesse di chi conduce la guerra? Questa è la domanda essenziale a cui bisogna rispondere come condizione preliminare per assumere una posizione di classe di principio.
Allontanarsi di un solo millimetro dalla posizione di classe significa entrare in un terreno scivoloso che porta inevitabilmente alla palude del tradimento e della reazione. Se dimentichiamo questo fatto elementare, lo facciamo a nostro rischio e pericolo.
Nei giorni immediatamente successivi allo scoppio della guerra, ho scritto quanto segue:
“Va da sé che Putin e l’oligarchia di cui difende gli interessi sono i nemici dei lavoratori russi. E la sua base di sostegno è in costante declino, il che è stato ovviamente uno dei motivi per cui ha deciso di giocare la carta dell’invasione dell’Ucraina. È anche vero che questa mossa, ad un certo punto, potrebbe ritorcersi contro di lui.
Tuttavia, qualsiasi allusione al fatto che gli imperialisti reazionari possano, in qualsiasi modo, forma o modo, difendere gli interessi del popolo della Russia, dell’Ucraina o di qualsiasi altro paese è una menzogna spregevole.
Il popolo ucraino ha scoperto quanto valeva l’aiuto promesso e la solidarietà della NATO e dell’Occidente quando è giunto il momento decisivo. Vedono il popolo ucraino come semplici pedine di un gioco cinico, carne da cannone che può essere utilmente sacrificata per gettare discredito sulla Russia, senza che questo costi loro la vita di un solo soldato.
Non bisogna riporre alcuna fiducia in questi gangster. E ciò è particolarmente vero per i lavoratori e i socialisti dell’Occidente. Il compito di lottare contro la banda reazionaria del Cremlino è compito dei soli lavoratori russi. Il nostro compito è combattere contro la nostra borghesia, contro la NATO e contro l’imperialismo americano – la forza più controrivoluzionaria del pianeta.”.
La nostra opposizione non ha nulla in comune con l’ipocrisia a disgustosa degli imperialisti. E per quanto reazionario possa essere Putin, i suoi crimini non sono nulla in confronto all’infame brutalità dell’imperialismo statunitense, le cui mani saranno per sempre macchiate dal sangue di innumerevoli vittime innocenti in ogni parte del mondo.
L’11 marzo ho scritto quanto segue:
“È stata la NATO – specialmente gli americani e i britannici – ad aver spinto l’Ucraina nell’attuale conflitto con la Russia per i propri fini, e poi cinicamente è rimasta a guardare mentre il popolo ucraino affogava in un mare di sangue. Sono stati responsabili di questa guerra inutile – e ora sono responsabili di prolungarla deliberatamente per i loro interessi. Quello che vuole ottenere è creare problemi alla Russia, e ritardare l’inevitabile risultato finale, che sarà una vittoria russa, al costo di prolungare l’agonia degli ucraini.
La nostra solidarietà è interamente dalla parte del popolo ucraino che soffre, la vittima innocente di questo cinico gioco politico delle grandi potenze. Ma la sofferenza finirà solo quando la guerra stessa sarà terminata. Coloro che spingono per la continuazione dei combattimenti, quando sanno perfettamente come andrà a finire e non hanno la minima intenzione di alzare un dito per fornire un aiuto militare, non sono amici del popolo ucraino. Sono i loro peggiori nemici.”
Non vedo oggi alcuna ragione per cambiarne una sola parola.
Londra, 26 aprile 2022