La scorsa settimana, oltre 20.000 lavoratori sono scesi nelle strade del Bangladesh per rivendicare il pagamento dei loro salari dopo che le fabbriche di abbigliamento hanno smesso di pagare le maestranze a causa della mancanza di ordinativi. Con la pandemia globale di coronavirus che ha portato le grandi multinazionali come H&M, Walmart e Tesco a cancellare i loro ordini, molti lavoratori nelle fabbriche del Bangladesh sono da due mesi che non percepiscono alcun reddito. Ora, nonostante il “lockdown” imposto a livello nazionale, i lavoratori hanno organizzato massicce proteste rivendicando i propri salari e rischiando l’infezione per lottare contro i padroni.
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Con oltre l’80% delle esportazioni del paese provenienti dall’industria dell’abbigliamento, il blocco globale ha accelerato la crisi dell’economia del Bangladesh. Naturalmente, i padroni hanno cercato di scaricare il peso della crisi sui lavoratori, rifiutando di pagare i salari e sperando che i lavoratori riuscissero a cavarsela fino al termine del blocco. Ciò ha portato a un incremento esponenziale della coscienza di classe tra i lavoratori del Bangladesh, con i manifestanti che sfidano le restrizioni del governo e organizzano enormi proteste. Slogan come “vogliamo i nostri salari” e “spezzare lo sfruttamento dei proprietari” mostrano che i lavoratori sanno esattamente da chi dare la colpa alla crisi attuale. Finora le espressioni della rabbia hanno assunto la forma di manifestazioni di massa, con alcuni operai che hanno demolito porte e finestre nelle fabbriche. È chiaro che la ritenuta alla fonte dei salari è diventata un catalizzatore per la rabbia precedentemente repressa di un ampio settore di operai nel paese.
Il rischio rappresentato dal coronavirus nel periodo attuale mostra sia l’incredibile coraggio che l’estrema insicurezza delle masse in Bangladesh. Sajedul Islam, un operaio in una fabbrica di 21 anni ha detto ai giornalisti: “Non abbiamo scelta. Stiamo morendo di fame. Se restiamo a casa, potremmo salvarci dal virus. Ma chi ci salverà dalla fame? ” Allo stesso modo, un altro lavoratore ha dichiarato: “Se non abbiamo cibo nello stomaco, a che serve osservare questo lockdown?” La coscienza di classe ha chiaramente superato la paura delle masse per l’attuale pandemia. Con le condizioni di vita che diventano sempre più disastrose, ai lavoratori è stata lasciata poca scelta se non quella di rischiare la vita per combattere l’avidità e lo sfruttamento dei padroni. Con il governo del Bangladesh che ha esteso il blocco almeno fino al 25 aprile, sembra improbabile che questa lotta termini presto.
In effetti, le proteste contro i bassi salari e le cattive condizioni di lavoro nelle fabbriche di abbigliamento in Bangladesh non sono una novità. I lavoratori hanno partecipato a diverse ondate di proteste da oltre 10 anni contro il loro sfruttamento sistematico da parte dei padroni. Inoltre, la stragrande maggioranza dei lavoratori nel settore dell’abbigliamento del Bangladesh sono donne, che sono ulteriormente sfruttate e sottopagate a causa del loro ruolo oppresso nella società. Questi fatti vengono convenientemente dimenticati dai monopoli europei e americani dell’abbigliamento, che ignorano le terribili condizioni di lavoro e la mancanza di diritti dei lavoratori al fine di ridurre i costi di produzione. Il recente rifiuto da parte dei padroni di pagare i salari dei lavoratori, pertanto, ha solo aggiunto benzina al fuoco. La rabbia che ha portato alle attuali proteste, sebbene sia scoppiata in risposta alle pressioni specifiche della pandemia globale, ha covato sotto la cenere per anni.
Un sistema ingiusto
In risposta al movimento dei lavoratori, sono stati annunciati prestiti per un importo di 590 milioni di dollari per finanziare il pagamento degli stipendi da parte delle aziende. Sebbene ciò possa contribuire in qualche modo ad alleviare la fame generalizzata, è evidente che queste misure non sono il prodotto dalla generosità della classe dominante. Va ricordato che la classe dirigente non dà nulla ai lavoratori a gratis. Non abbiamo dubbi che questi soldi dovranno alla fine essere restituiti, attraverso una maggiore austerità o tramite tagli ai salari dopo la fine del blocco. Il governo del Bangladesh intende chiaramente utilizzare questi prestiti per placare le masse fino alla riapertura delle fabbriche, solo per chiedere ai lavoratori di rimborsare i soldi che hanno preteso per la loro sopravvivenza in maniera così egoistica.
In effetti, questo sostegno del governo ai lavoratori non retribuiti è arrivato solo dopo la crescita di un movimento di massa in una delle industrie più importanti del paese, dimostra chiaramente la paura dei padroni che la lotta di classe si possa intensificare nel periodo attuale. Alla classe dominante del Bangladesh non interessava affatto che i lavoratori passassero due mesi senza alcun sostegno finanziario, ma quando le tensioni sono aumentate, si sono affrettati a cercare di pacificare le masse ad ogni costo. Il Bangladesh è il secondo produttore mondiale di abbigliamento, e questo settore contribuisce alle entrate del paese per oltre 35 miliardi di dollari all’anno. Gli interessi del governo non potrebbero essere più evidenti, con il mantenimento dei profitti futuri posti al di sopra dei bisogni fondamentali della classe lavoratrice.
In definitiva, questa lotta è l’ennesima dimostrazione che il capitalismo non è in grado di gestire una crisi di questa portata. L’incapacità dell’economia di provvedere a questi lavoratori mostra la necessità della nazionalizzazione e pianificazione dell’industria, in modo tale che si possa provvedere al benessere dei lavoratori e si faccia sì che il blocco della produzione non essenziale non significhi assoluta insicurezza finanziaria per la maggior parte delle persone. Ciò che viene dimostrato in Bangladesh, come in molti paesi in tutto il mondo, è che, in tempi di crisi sociale ed economica, sono i lavoratori a subire il peso delle crisi. Eventuali concessioni conquistate dal coraggioso movimento in corso verranno ritirate senza esitazione una volta che il blocco è stato revocato.
Ciò che è diventato chiaro nel caso degli operai in Bangladesh è che mentre una malattia non discrimina tra le vittime, la classe dominante lo fa. La lotta per un tenore di vita dignitoso e l’assistenza sanitaria in un periodo di pandemia globale è una lotta di classe che deve continuare oltre la fine dell’attuale blocco.